Cass. civ. Sez. I, Sent., 07-06-2012, n. 9233 Consegna dei lavori Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Farsura Costruzioni S.p.a. convenne in giudizio il Comune di Palermo, chiedendo la dichiarazione d’illegittimità del provvedimento di risoluzione del contratto di appalto stipulato il 29 febbraio 1988 avente ad oggetto i lavori di costruzione del raccordo tra la circonvallazione di Palermo e la strada (OMISSIS), ed il pagamento degl’importi relativi alle riserve formulate successivamente alla redazione del primo stato di avanzamento dei lavori.

Si costituì il Comune, chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni derivanti dal ritardo nell’esecuzione dei lavori e la restituzione della somma anticipata per lavori commissionati e non eseguiti.

1.1. – Con sentenza del 3 agosto 2002, il Tribunale di Palermo dichiarò legittima la risoluzione del contratto e condannò il Comune al pagamento della somma di Euro 205.730,25, oltre interessi legali.

2. – L’impugnazione proposta dall’attrice è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Palermo, che con sentenza del 30 settembre 2009 ha accolto l’appello incidentale proposto dal Comune, condannando la Farsura al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, nonchè al pagamento degli interessi legali ed anatocistici sulle somme percepite a titolo di anticipazione.

Premesso che la società appaltatrice aveva sottoscritto senza riserve il verbale di consegna dei lavori, nel quale si dava atto della fattibilità dell’opera commissionata e del carattere marginale dell’area interessata da una variante imposta dalla presenza di una discarica, la Corte del merito ha ritenuto che tale circostanza, unitamente al fatto che le modifiche progettuali richieste non riguardavano le categorie di lavori ma la quantità degli stessi, consentisse di escludere che le nuove opere potessero intralciare l’avvio dei lavori, testimoniando altresì che l’impresa, pur a conoscenza dello stato dei luoghi, aveva assunto l’obbligo di realizzare l’opera nei tempi contrattualmente previsti. Rilevato inoltre che il ritardo nella redazione della perizia di variante era stato determinato dalla mancata tempestiva esecuzione delle operazioni topografiche per il tracciamento piano-altimetrico e del calcolo delle strutture resistenti, che la Farsura si era obbligata ad effettuare prima di ottenere la piena disponibilità dell’area, la stessa Corte ha ritenuto giustificato lo scioglimento unilaterale del contratto, escludendo, alla luce dei chiarimenti resi dal c.t.u.

nominato nel corso del giudizio, la fondatezza dei rilievi sollevati dall’attrice in ordine all’adeguatezza del progetto ed alla sufficienza dell’importo a base d’asta.

Ha pertanto rigettato la domanda di pagamento dell’importo di cui alla riserva n. 1, osservando, quanto alla riserva n. 2, che l’attrice non aveva contestato la riduzione del 30% operata dal c.t.u. sul prezzo unitario indicato dal contratto di appalto per i lavori di scavo in roccia dura; ha dichiarato inammissibili, in quanto generiche, le censure riguardanti la decorrenza degl’interessi, cui si riferiva la riserva n. 3, ed ha rigettato quelle relative alla riserva n. 4, avente ad oggetto la rivalutazione del corrispettivo contrattuale, osservando che quest’ultimo costituiva debito di valuta.

3. – Avverso la predetta sentenza la Farsura propone ricorso per cassazione, articolato in sette motivi. Il Comune resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia l’omessa motivazione in ordine ai primi quattro motivi di appello, sostenendo che la specificità dei profili di censura con gli stessi prospettati avrebbe imposto un esame attento e ponderato di ciascuno di essi da parte della Corte d’Appello, la quale ha invece provveduto irragionevolmente alla trattazione congiunta.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

L’esame congiunto, nella sentenza che decide sull’impugnazione, delle censu-re distintamente sollevate con i motivi di gravame non è di per sè sufficiente ad inficiare la relativa motivazione, in quanto l’individuazione dell’ordine di trattazione delle questioni insorte nel processo è rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui apprezzamento è censurabile esclusivamente nell’ipotesi in cui l’alterazione della sequenza imposta dalla priorità logico-giuridica di alcune questioni rispetto ad altre si sia tradotto nell’insufficienza o contraddittorietà dell’iter argomentativo seguito ai fini della decisione (cfr. Cass., Sez. lav., 7 maggio 2004, n. 8720; Cass., Sez. 1, 5 luglio 1995, n. 7411). La deduzione di tale vizio in sede di legittimità postula pertanto che la parte non si limiti, come nella specie, a riportare più o meno pedissequamente nel ricorso i motivi d’impugnazione, ma individui, in relazione a ciascuno di essi, le lacune o le incongruenze argomentative della sentenza impugnata, in modo da evidenziare le conseguenze negative derivanti, sul piano logico, dalla trattazione unitaria delle censure proposte.

2. – Con il secondo motivo la ricorrente deduce l’omessa motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ricondotto alla sottoscrizione senza riserve del verbale di consegna dei lavori da parte dell’appaltatrice l’assunzione dell’obbligo di realizzare l’opera nei tempi contrattualmente previsti, senza considerare che l’apposizione della riserva è necessaria soltanto nel caso in cui non vi sia concordanza tra l’appaltatore ed il direttore dei lavori in ordine alla differenza tra le condizioni di fatto e le previsioni progettuali, e senza fare alcun cenno alle assicurazioni fornite dal direttore dei lavori in ordine alla pronta eliminazione delle cause ostative alla realizzazione dell’opera, all’avvenuta immissione dell’appaltatrice nel possesso dell’area con tredici mesi di ritardo, alla circostanza che un rinterro apparentemente presente nell’area si era rivelato in realtà una discarica abusiva, alla non veridicità delle dichiarazioni rese dal direttore dei lavori in ordine alla persistenza delle condizioni di fatto sulle quali era basato il progetto dell’opera.

2.1. – La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha confermato la legittimità del provvedimento di risoluzione unilaterale del contratto di appalto in virtù dell’accertata inosservanza del termine fissato per l’esecuzione dei lavori, reputando irrilevante, a tal fine, il ritardo con cui la società ricorrente aveva conseguito la piena disponibilità dell’intera area destinata alla realizzazione dell’opera pubblica. In particolare, essa ha escluso che il comportamento dell’appaitatrice fosse giustificato dal ritardo del Comune nell’espropriazione di alcuni immobili insistenti sull’area e dalla presenza nella stessa di un rinterro, tale da richiedere la predisposizione di una perizia di variante, ritenendo che, a dispetto di tali inconvenienti, la ricorrente avesse assunto ugualmente l’obbligo di eseguire i lavori nel termine contrattualmente previsto, avendo sottoscritto il verbale di consegna dell’area, dal quale risultavano la fattibilità dell’opera ed il carattere marginale della zona interessata dalla variante.

Tale conclusione appare conforme alla disciplina del ritardo nell’esecuzione dei lavori dettata dal D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (pacificamente ritenuto applicabile nella specie), ed in particolare dall’art. 29, il quale prevede che l’appaltatore deve ultimare i lavori nel termine stabilito nel contratto, decorrente dalla data del verbale di consegna, essendo altrimenti tenuto a rimborsare all’Amministrazione le relative spese di assistenza e sottostare alla penale eventualmente prevista dal capitolato speciale, salvo che, com’è accaduto nella specie, l’Amministrazione non provveda, ai sensi del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 27 alla rescissione del contratto o all’esecuzione d’ufficio. La consegna dei lavori assume pertanto un rilievo fondamentale nello svolgimento del rapporto, segnando la decorrenza del termine per la realizzazione dell’opera, la cui certezza, indispensabile al fine di assicurare all’Amministrazione il controllo in ordine ai tempi di esecuzione, esige che il predetto adempimento sia fatto risultare da un apposito verbale, sottoscritto in contraddittorio tra le parti.

E’ pur vero che alla sottoscrizione del verbale deve fare riscontro l’attribuzione dell’effettiva disponibilità dell’area interessata dai lavori, la cui consegna rientra nel dovere di cooperazione gravante sul committente ai fini dell’adempimento del contratto, non essendo l’appaltatore tenuto a farsi carico dell’attività all’uopo necessaria; essa non può quindi tradursi in un atto meramente simbolico, postulando invece la rimozione (già avvenuta o da effettuarsi in tempi ragionevoli) di tutti gli ostacoli o impedimenti che rendano di fatto impossibile l’inizio dei lavori. Nella specie, tuttavia, tale impossibilità è stata correttamente esclusa dalla sentenza impugnata in virtù del richiamo, logicamente ineccepibile, delle risultanze del verbale di consegna, nel quale la ricorrente si era astenuta dal formulare qualsiasi riserva, concordando con il direttore dei lavori in ordine alla fattibilità dell’opera, nonostante la presenza degl’immobili da espropriare ed il rinvenimento del rinterro che rendeva necessaria la perizia di variante. Infatti, anche a voler ritenere che le dichiarazioni rese dal direttore dei lavori fossero viziate dalla mancata effettuazione della verifica preventiva prevista dal R.D. n. 350 del 1895, art. 5 l’accettazione incondizionata della consegna da parte dell’appaltatrice, all’esito del sopralluogo previsto dal D.P.R. n. 1063, art. 10 cit., escludeva l’ammissibilità di successive contestazioni in ordine alla possibilità di dare inizio ai lavori.

2.2. – Non merita consenso, al riguardo, la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui le dichiarazioni concordemente rese dalle parti in ordine allo stato dei luoghi avrebbero reso superflua l’apposizione della riserva, prescritta dal R.D. n. 350, art. 11 cit.

esclusivamente nel caso in cui non vi sia accordo tra l’appaltatore ed il direttore dei lavori relativamente ad eventuali differenze tra le condizioni locali e le previsioni di progetto.

La ratto della disciplina dettata dall’art. 11 consiste infatti nell’evitare che si producano gli effetti della consegna ove, all’atto della stessa, emergano differenze tali da rendere necessarie variazioni o addizioni al progetto, la cui esecuzione è subordinata all’approvazione di un’apposita perizia di variante da parte dell’Amministrazione committente; per tale ragione, la norma in esame attribuisce al direttore dei lavori il potere di sospendere la consegna, salvo che le differenze riscontrate non producano una diminuzione di lavoro inferiore al quinto dell’importo dell’appalto o che la consegna non abbia luogo in via d’urgenza; potendo peraltro insorgere tra le parti divergenze d’opinione, essa consente all’appaltatore, nell’ipotesi in cui sia disposta la prosecuzione della consegna, di formulare nel relativo verbale le proprie riserve, prevedendo che in mancanza delle stesse le risultanze del verbale si intendono definitivamente accertate. E poichè le riserve possono concernere tanto la sussistenza o la misura delle differenze quanto la loro incidenza sulla possibilità di dare inizio ai lavori, deve ritenersi che l’eventuale concordanza di opinioni tra le parti in ordine ai primi due aspetti non escluda la preclusione di contestazioni relativamente al terzo profilo, ogni qualvolta l’appaltatore abbia accettato la consegna senza sollevare riserve in proposito.

2.3. – In ogni caso, il ritardo nella consegna dei lavori per fatto imputabile all’Amministrazione non comporta l’automatico differimento del termine per l’ultimazione dell’opera, ma, a norma del D.P.R. n. 1063 cit., art. 10 attribuisce all’appaltatore soltanto la facoltà di presentare istanza di recesso, il cui mancato accoglimento da parte dell’Amministrazione giustifica il riconoscimento di un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo. Ai fini del predetto differimento, l’esigenza di certezza in ordine ai tempi di esecuzione dei lavori impone invece, ai sensi dell’art. 31 del medesimo D.P.R., la presentazione di un’istanza di proroga, da avanzarsi in data anteriore alla scadenza del termine contrattualmente fissato, in mancanza della quale deve presumersi che, nonostante il ritardo nell’inizio dei lavori, l’appaltatore abbia ritenuto ancora possibile il rispetto del predetto termine.

Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ricollegato alla consegna dei lavori la decorrenza del termine per l’ultimazione dell’opera, senza conferire rilievo alle circostanze che, ad avviso della ricorrente, avrebbero giustificato il ritardo nell’esecuzione dei lavori. Non può infatti trovare ingresso, in questa sede, il riferimento contenuto nel ricorso all’avvenuta presentazione di un’istanza di proroga da parte dell’appaltatrice, trattandosi di una circostanza non menzionata nella sentenza impugnata, ed alla quale la ricorrente ha peraltro accennato solo marginalmente, senza neppure precisare se essa sia stata fatta valere nel giudizio di merito.

3. – Con il terzo motivo d’impugnazione, la Farsura lamenta l’omessa motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che essa non avesse provveduto tempestivamente alle operazioni che si era obbligata ad effettuare prima di ottenere la disponibilità dell’area, in tal modo recependo acriticamente le conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., il quale, pur avendo riscontrato carenze nel progetto dell’opera e ritardi negli adempimenti a carico dell’Amministrazione, aveva contraddittoriamente escluso che gli stessi giustificassero i ritardi dell’impresa.

4. – La censura va esaminata congiuntamente a quella di cui al quarto motivo, con cui la ricorrente denuncia l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata, osservando che Corte d’Appello, dopo aver riconvocato il c.t.u. perchè rendesse chiarimenti in ordine alle critiche mosse da essa ricorrente alla relazione depositata in primo grado, ha omesso di esaminare i rilievi tecnici sollevati anche in ordine alla nuova relazione, astenendosi da qualsiasi cenno alle lamentate carenze del progetto, tali da comportare l’ineseguibilità dell’opera e da imporre all’appaltatrice l’effettuazione di operazioni che si erano tradotte in pratica nella redazione di un nuovo progetto esecutivo.

5. – Entrambi i motivi sono inammissibili.

Nell’escludere la rilevanza delle carenze progettuali e dei ritardi ascritti all’Amministrazione, la sentenza impugnata ha infatti aderito alle conclusioni cui era pervenuto il c.t.u., dando atto che nella relazione depositata il 25 febbraio 2008 quest’ultimo aveva convincentemente ed esaustivamente risposto ai rilievi critici formulati dalla società appellante in ordine alla precedente relazione, e rigettando l’istanza di rinnovazione delle indagini, in quanto non giustificata dall’allegazione di adeguate ragioni. La circostanza che il c.t.u. abbia preso in considerazione, replicandovi, le critiche mosse dai consulenti di parte risulta di per sè sufficiente ad escludere l’inadempimento dell’obbligo di motivazione, che deve ritenersi soddisfatto mediante il richiamo delle relative conclusioni da parte del giudice di merito:

quest’ultimo è infatti tenuto esclusivamente ad indicare le fonti del proprio convincimento, e non anche a soffermarsi sulle contrarie deduzioni delle parti, le quali, pur se non espressamente confutale, restano implicitamente disattese, in quanto incompatibili con le argomentazioni accolte (cfr. Cass., Sez. 1, 9 gennaio 2009, n. 282; 3 aprile 2007, n. 8355; Cass., Sez. 2, 13 settembre 2000, n. 12080).

Nè la decisione può ritenersi inficiata dalla mancanza di una specifica motivazione a sostegno del diniego di rinnovazione delle indagini, avendo il giudice di merito l’obbligo di spiegare le relative ragioni soltanto ove l’istanza sia accompagnata dall’indicazione di lacune istruttorie o carenze argomentative della relazione, non colmate dai chiarimenti eventualmente richiesti al c.t.u. (cfr. Cass., Sez. 1, 27 aprile 2011; Cass., Sez. 3, 2 agosto 2004, n. 14775).

La parte che in sede di legittimità si dolga dell’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del c.t.u. non può d’altronde limitarsi ad evidenziare l’inadeguatezza della motivazione, in relazione alle critiche da essa specificamente mosse alla relazione peritale e non esaminate nella sentenza impugnata, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, è tenuta ad indicare quali siano le circostanze e gli elementi in ordine ai quali invoca il controllo di logicità, riportando per esteso i passi salienti della relazione, al fine di rendere possibile la comprensione delle censure sollevale e l’individuazione degli errori ascritti al giudice di merito, che abbia fatto proprie le valutazioni del c.t.u. (cfr. Cass., Sez. 2, 13 giugno 2007, n. 13845: Cass.: Sez. 1, 7 marzo 2006, n. 4885).

Tale onere nella specie non può ritenersi puntualmente adempiuto, essendosi la ricorrente limitata a ribadire le critiche mosse alla relazione del c.t.u. e ad evidenziare il contrasto delle conclusioni cui quest’ultimo è pervenuto con alcuni giudizi da lui espressi in ordine alle carenze del progetto appaltato ed all’imputabilità dei ritardi nell’esecuzione dei lavori, la cui estrazione dal contesto in cui erano inseriti rende impossibile qualsiasi valutazione in ordine all’effettiva sussistenza dei vizi logici ascritti alla relazione.

6. – E’ invece fondato il quinto motivo, con cui la ricorrente deduce l’omessa motivazione in ordine alle censure riguardanti il rigetto della domanda di cui alla riserva n. 2, osservando che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, il c.t.u. non aveva affatto proceduto alla riduzione del prezzo unitario dei lavori di scavo in roccia dura, ma, a fronte delle contestazioni sollevate da essa ricorrente in ordine alla riduzione operata dal Giudice di primo grado, si era limitato a dichiarare di non essere in grado d’individuare il criterio in base al quale la stessa era stata effettuata.

6.1. – Nell’atto di appello, riportato in parte qua nel ricorso, la Farsura aveva infatti censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui, pur avendo riconosciuto l’applicabilità del prezzo unitario previsto dall’art. 14 dell’elenco allegato al contratto d’appalto, aveva determinato l’importo dovuto per i lavori in questione in misura notevolmente inferiore a quella risultante dalla sottrazione della somma già corrisposta a tale titolo dal Comune da quella ottenuta attraverso la moltiplicazione del prezzo unitario per la quantità contabilizzata. La sentenza impugnata ha disatteso il motivo d’impugnazione, riconducendo tale differenza ad una riduzione del 30% asseritamele operata dal c.t.u. in considerazione dello stato di fessurazione della roccia asportata, senza però farsi carico di conciliare tale assunto con la dichiarazione del consulente, puntualmente trascritta nel ricorso, di non essere in grado di esprimere una valutazione al riguardo, in assenza dell’indicazione dei criteri a tal fine adottati. Tale affermazione, equivalente ad un disconoscimento della paternità della riduzione da parte del c.t.u., avrebbe infatti imposto alla Corte d’Appello una più puntuale indicazione della fonte del proprio convincimento, non apparendo sufficiente, a tal fine, il mero rilievo dell’assenza di contestazioni da parte della ricorrente, la quale aveva proposto uno specifico motivo di gravame.

7. – E’ altresì fondato il settimo recte: sesto motivo, con cui la ricorrente lamenta l’omessa motivazione in ordine alla genericità delle censure riguardanti il rigetto della domanda di cui alla riserva n. 3, concernente il riconoscimento degl’interessi per il ritardo nel pagamento di parte dell’anticipazione, precisando di aver sostenuto che a tal fine, oltre a non risultare necessaria la formulazione di apposite domande o riserve, era irrilevante l’avvenuta esecuzione di lavori per un importo inferiore a quello dell’anticipazione, essendo il ritardo imputabile all’Amministrazione.

7.1. – Sul punto, infatti, la Corte d’Appello ha richiamato la sentenza di primo grado, che aveva escluso la computabilità degl’interessi per il ritardo nel versamento dell’anticipazione, anche in considerazione dell’avvenuta corresponsione della stessa prima che fossero eseguiti lavori per un importo ad essa equivalente, aggiungendo soltanto che, a sostegno del motivo di gravame, la Farsura si era limitata a far valere il ritardo nel pagamento, senza neppure precisare la decorrenza degl’interessi.

La necessità di ulteriori precisazioni era peraltro esclusa dall’avvenuto accertamento, ad opera della sentenza di primo grado, della data in cui era stata presentata l’offerta e di quella d’inizio dei lavori, nonchè dall’applicabilità della disciplina dettata dalla L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 3 come modificato dalla L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 33: quest’ultimo, nel rendere obbligatoria la corresponsione dell’anticipazione, precedentemente rimessa dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 12 alla discrezionalità dell’Amministrazione, ne ha infatti imposto il pagamento entro sei mesi dalla data dell’offerta, subordinandolo, in via alternativa, all’avvenuto inizio dei lavori ovvero all’esecuzione della fornitura, ed escludendo la necessità di un’apposita richiesta dell’appaltatore. In presenza delle prescritte condizioni, il mero decorso del semestre vale dunque a costituire in mora l’Amministrazione, con la conseguenza che spettano all’appaltatore gl’interessi sulla somma dovuta, nella misura prevista dal codice civile, con decorrenza dalla data in cui la stessa è divenuta esigibile (cfr. Cass., Sez. 1, 10 maggio 2010, n. 11297; 6 novembre 2006, n. 23670), non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la circostanza che l’importo dei lavori eseguiti risulti inferiore a quello dell’anticipazione, dal momento che la norma che ne impone il versamento integra una deroga al principio di postnumerazione. che regola il pagamento del corrispettivo nel contratto d’appalto (cfr.

Cass. Sez. 1, 10 maggio 2010, n. 11297; 18 ottobre 1991, n. 11038).

8. – E’ invece infondato l’ottavo recte: settimo motivo, con cui la ricorrente denuncia l’omessa motivazione in ordine al rigetto della domanda di cui alla riserva n. 4, concernente l’errata contabilizzazione dei lavori di scavo e di sbancamento, sostenendo che erroneamente la Corte d’Appello ha negato, sulla somma dovuta a titolo di corrispettivo per tali lavori, il riconoscimento della rivalutazione monetaria e degl’interessi sulla somma rivalutata.

8.1. – Il corrispettivo dovuto all’appaltatore per l’opera realizzata, consistendo in una somma di denaro la cui prestazione costituisce oggetto di un’obbligazione contrattuale, integra un debito di valuta, soggetto quindi al principio nominalistico, in virtù del quale il ritardo nell’adempimento non comporta di per sè il riconoscimento della rivalutazione monetaria e degl’interessi sulla somma rivalutata, ma può giustificare esclusivamente la condanna del committente al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, nella misura in cui il creditore deduca e dimostri che il tempestivo pagamento lo avrebbe posto in condizione di evitare gli effetti pregiudizievoli dell’indisponibilità della somma dovuta (cfr. Cass., Sez. Un., 14 luglio 1983, n. 4814; Cass., Sez. 2 24 febbraio 1986, n. 1118). Nella specie, non risulta neppure dedotto che la ricorrente avesse specificamente fatto valere tale pregiudizio, il cui riconoscimento avrebbe dovuto comunque ritenersi precluso dall’applicabilità del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 35 e 36 i quali dettano una disciplina speciale che prevale su quella prevista dal codice civile, assicurando all’appaltatore un ristoro correlato al costo del denaro, che deve considerarsi comprensivo anche del maggior danno di cui all’art. 1224 cit. (cfr. Cass., Sez. 1, 29 settembre 2011, n. 19960; Cass., Sez. 3, 10 maggio 2005, n. 9747).

9. – Le sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dai motivi accolti, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Palermo, che provvedere, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative alla fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo del ricorso, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo, anche per la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 25 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

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