Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-06-2012, n. 9211 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Genova con sentenza n. 1093 del 2007 ha confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato il ricorso proposto da M.M., il quale aveva chiesto declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla datrice di lavoro SOGEGROSS S.p.A..

La Corte ha ravvisato gli estremi della giusta causa nella condotta del M. tenuta in data 15 marzo 2001, quando esso ricorrente, avente mansioni di responsabile del reparto macelleria, aveva redarguito un proprio sottoposto e agito con estrema violenza, tanto da lanciare contro di lui un coltello da cucina (con lama di 30 cm) facendogli percorrere una traiettoria di circa 2,5 metri, per poi urtare un frigorifero tanto da "bordarlo" e tornare indietro con uguale tragitto, finendo la sua corsa sotto il bancone. Il tutto in negozio aperto a pubblico e in presenza di clientela.

Di questa sentenza il M. domanda la cassazione affidandosi a dieci motivi.

La SOGEGROSS resiste con controrocorso.

Entrambe le parti hanno depositato rispettiva memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione della L. n. 604 del 1966, art. 1, degli artt. 2104, 2105 e 2119 cod. civ., mentre con il secondo motivo lamenta vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Al riguardo sostiene che il fatto, contestato dalla datrice di lavoro e diversamente ricostruito dal giudice di appello nel senso che il coltello non venne lanciato ma schizzò in conseguenza di un pugno sferrato di M. sul tavolo, denota mancanza di intenzionalità nella condotta da lui tenuta, sicchè la sanzione espulsiva inflitta non si giustifica, non essendo ispirata al principio della proporzionalità. Dal che anche contraddittorietà della decisione.

Questi motivi sono inammissibili per violazione dall’art. 366 bis c.p.c., essendo articolati su quesiti multipli e cumulativi con riferimento a diverse ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c. (cfr. Cass. n. 5471 del 29 febbraio 2008 nel senso che la formulazione del quesito di diritto deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o cumulativi).

In ogni caso gli stessi motivi vanno disattesi, perchè tendono ad una diversa valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

2. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e della L. n. 604 del 1966, art. 2, con il quarto motivo denuncia vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In particolare il M. deduce violazione del principio di immutabilità del fatto contestato, avendo la Corte di merito ritenuto esistente la giusta causa in base a fatti diversi ed ulteriori rispetto a quelli indicati dalla datrice di lavoro (questa aveva contestato al lavoratore di avere lanciato il coltello di grosse dimensioni, mentre la Corte ha parlato di pugno sferrato sul tavolo che avrebbe fatto schizzare lo steso coltello).

I motivi sono infondati, giacchè il giudice di appello, sulla base delle risultanze probatorie acquisite, ha proceduto ad una puntuale ricostruzione della modalità di svolgimento dei fatti e ha ritenuto sussistenti gli estremi anche di carattere soggettivo (identificati nella colpa grave) legittimanti il licenziamento per giusta causa, sicchè non è riscontrabile alcuna violazione del richiamato art. 7 riguardante la immutabilità del fatto contestato.

3. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 151 del CCNL commercio, mentre con il sesto motivo deduce vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il M. osserva che ai sensi delle richiamate disposizioni collettive il comportamento da lui tenuto non rientrava nelle fattispecie di illecito tipizzate in materia di sanzioni disciplinari espulsive, tanto che il giudice penale aveva accertato la mancanza di intenzionalità del gesto.

Il I ricorso è improcedibile, per non essere stato allegato allo stesso il contratto collettivo di cui si contesta la considerazione da parte del giudice di appello.

In ogni caso il medesimo ricorso è inammissibile, perchè si limita a contrapporre, con il richiamo alle norme collettive, una diversa valutazione di fatti rispetto a quella effettuata dal giudice di appello.

Neppure ha pregio il riferimento all’esito del giudizio penale, come più in dettaglio si precisa in sede di esame dell’ottavo motivo.

4. Con il settimo motivo il ricorrente il ricorrente lamenta vizio di motivazione su fatto decisivo per il giudizio, e ciò in relazione al diverso avvenimento accertato di giudice di appello rispetto a quanto contestato dalla datrice di lavoro al lavoratore.

Questo motivo, da ricomprendersi nell’ambito delle censure di cui al terzo e quarto motivo, va disatteso sulla base delle stesse argomentazioni ivi svolte.

5. Con l’ottavo motivo del ricorso il ricorrente denuncia vizio di motivazione, sostenendo che il giudice di appello ha del tutto trascurato la dinamica di fatti come accertata in sede penale.

La doglianza non merita di essere condivisa, in quanto il riferimento all’esito del giudizio penale non è decisivo, potendo il giudice in sede civile procedere ad una autonoma valutazione dei fatti e ad una diversa qualificazione per valutare la sussistenza della giusta causa di licenziamento. E nel caso di specie il giudice di appello si è attenuto a tale principio ricostruendo la condotta del lavoratore e qualificandola non conforme ai più elementari doveri civici, ciò anche in relazione al fatto che io stesso M. rivestiva la qualità di responsabile del settore macelleria e l’episodio in questione denotava incapacità di controllo, tale da far venire meno la fiducia del datore di lavoro nella prosecuzione del rapporto lavorativo.

6. Con il nono motivo il M. deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., mentre con il decimo motivo eccepisce vizio di motivazione, sostenendo che il giudice di appello ha valutato la condotta di esso ricorrente soltanto in base alla deposizione di alcuni testi, omettendo di considerare le dichiarazioni in senso contrario rese da altri.

Trattasi di censure inammissibili, perchè tendono ad una riesame, non consentito in sede di legittimità, delle risultanze processuali, avendo il giudice di appello valutato le prove secondo il suo libero apprezzamento e fornito spiegazione delle ragioni che lo avevano condotto a dare la prevalenza alle dichiarazioni di alcuni testi su quelle rese da altri.

7. In conclusione il ricorso destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 50,00 per esborsi, oltre Euro 3000,00 per onorari ed oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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