Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-06-2012, n. 9210 Lavoro subordinato

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Svolgimento del processo

Con ricorso, ritualmente depositato, P.N. proponeva domanda al giudice di lavoro del Tribunale di Napoli per sentir condannare C.D. al pagamento di L. 81.973.900 (pari ad Euro 42.336,03) per differenze retributive relative a rapporto di lavoro svolto quale autista addetto alla consegna di merci, rapporto che deduceva di avere svolto in regime di subordinazione, non avendo l’iniziale accordo le caratteristiche dell’autonomia.

Il Tribunale di Napoli con sentenza n. 19463 del 2004 respingeva il ricorso, non ritenendo provata la subordinazione del richiamato rapporto di lavoro, e compensava le spese.

Tale decisione veniva appellata dal P. con atto depositato il 128.02.2005 e notificato il 22.09.2006 al legale del C., già dichiarato fallito in data 4 novembre 2004.

Dopo la dichiarazione di interruzione del processo in relazione all’intervenuto fallimento del datore di lavoro C. e la riassunzione del giudizio- ad opera dell’appellante- nei confronti della curatela fallimentare, la Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 4815 del 2010, ha accolto parzialmente il gravame con condanna della stessa curatela al pagamento della somma di Euro 28.767,67, oltre accessori.

La Corte territoriale ha ritenuto, sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi, esistente il rapporto di lavoro subordinato e ha determinato le differenze retributive nell’anzidetta misura richiamando le risultanze della consulenza tecnica di ufficio.

Di questa sentenza la ricorrente curatela fallimentare domanda la cassazione sulla base di tre motivi.

Il P. resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente curatela deduce violazione della L. Fall., artt. 24, 43, degli artt. 75, 299 e 300 c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost..

Rileva al riguardo l’inesistenza della notifica effettuata dal P. direttamente all’Avv. Calcedonio Porzio nel settembre 2008, dopo la dichiarazione del fallimento del C..

Il motivo è infondato, giacchè non può considerarsi inesistente, ma nulla, la notifica dell’atto di appello fatta presso il procuratore domicilatario del fallito in bonis anzichè nei confronti della curatela del fallimento, essendo ravvisabile un collegamento tra la persona del curatore del fallimento e la persona del fallito, per cui correttamente il giudice di appello ha disposto la rinotifca del ricorso al curatore (cfr. in tal senso Cass. n. 11848 del 22 maggio 2007; Cass. n. 7252 del 29 marzo 2006; Cass. n. 2526 del 7 febbraio 2006).

Nè nel caso di specie può dedursi alcuna violazione di diritto di difesa della controparte che è stata notiziata ritualmente con riferimento all’impugnazione avanzata dall’altra parte.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 24, 52,93, 94, nonchè vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

In particolare la curatela fallimentare deduce la violazione della L. Fall., art. 24, assumendo che, una volta accertata all’udienza collegiale del 21.10.2008 l’intervenuto fallimento, la Corte di appello avrebbe erroneamente dichiarato l’interruzione del processo, pur avendo contezza dell’istanza di ammissione al passivo presentata in sede fallimentare da parte dell’appellante.

Il motivo è fondato.

Invero la giurisprudenza consolidata ha più volte ribadito che se in una controversia di lavoro si fa valere una domanda volta ad una pronuncia diretta alla condanna al pagamento di somma di denaro, è operante la c.d. vis actractiva del giudice fallimentare ai sensi della L. Fall., art. 24, dal che l’improcedibilità dell’impugnazione proposta nei confronti del fallimento (cfr Cass. n. 18867 del 2 agosto 2011, Cass. n. 7129 del 29 marzo 2011, Cass. n. 11674 del 1 giugno 2005).

Orbene nel caso di specie la competenza del giudice del lavoro era preclusa proprio dal fatto che la parte appellante aveva chiesto la condanna di differenze retributive e non si era limitata a sollecitare una pronuncia di accertamento. D’altro canto tale questione avrebbe dovuto essere esaminata e rilevata dal giudice di appello, una volta venuto a conoscenza dell’avvenuta presentazione di istanza di ammissione al passivo presentata dell’appellante, con carattere prioritario, prima ancora del profilo della competenza nei rapporti tra giudice del lavoro e quello fallimentare (cfr. sul punto Cass. n. 16867 del 2 agosto 2011 e Cass. n. 19718del 23 dicembre 2003, che configurano tale questione come una vicenda "litis ingressus impediens" , comportante non una dichiarazione di incompetenza, ma di inammissibilità, improcedibilità o improponibilità della domanda).

Nè poi la vis actractiva fallimentare avrebbe potuto essere esclusa in conseguenza della sentenza emessa in primo grado, non passata in giudicato, avendo la stessa rigettato la domanda del lavoratore volta ad ottenere la condanna al pagamento di differenze retributive in relazione al rivendicato rapporto di lavoro subordinato.

3. Con il terzo motivo la ricorrente, nel lamentare violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. civ., contesta la statuizione della sentenza impugnata con riguardo al riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro. Tale censura può ritenersi assorbita in conseguenza dell’accoglimento delle doglianze di cui al secondo motivo.

4. In conclusione merita accoglimento il secondo motivo del ricorso, mentre va rigettato il primo e dichiarato assorbito il terzo, con la conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto per improcedibilità dell’appello.

Ricorrono giustificate ragioni, in considerazione della particolarità della fattispecie, per dichiarare compensate le spese del giudizio di appello e quelle di legittimità, mentre resta ferma la statuizione sulle spese contenute nella sentenza di primo grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo; cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto per improcedibilità dell’appello;

compensa le spese del giudizio di appello e di legittimità, ferma restando la statuizione sulle spese del giudizio di primo grado.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

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