Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-06-2012, n. 9209 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con nota del 27.06.2002 la Ykk Mediterraneo S.p.A. inviava al proprio dipendente, O.A., contestazione di addebito, con cui, dopo avere puntualizzato di avere, con nota del 14/06/2002, contestato alcuni addebiti di natura disciplinare riconducibili alla fattispecie dello scarso rendimento, osservava che le giustificazioni su detti addebiti erano avvenute con nota del 19.06.2002, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, aggiungendo che, con il relativo plico, l’ O. aveva contemporaneamente inviato copia di "tutte le comunicazioni scritte, riguardanti le attività di ricerca e sviluppo intercorse" nei 60 giorni che separavano la prima e la seconda contestazione di addebiti, costituite da ben 37 pagine.

Pertanto, sul presupposto che trattavasi di documenti aziendali di contenuto quanto mai riservato riguardanti una delle fondamentali attività dell’azienda, cioè quella di ricerca e sviluppo, la Società contestava l’addebito di trafugamento di documenti riservati dell’azienda stessa, oltre alla recidiva per le mancanze addebitate con le note dell’8/4/2002 e del 14/06/2002 e sanzionate con i provvedimenti di sospensione del 17.04.2002 e del 21.06.2002.

Ricevute (e non accolte) le giustificazioni del dipendente, la parte datoriale, con lettera del 9.7.2002 gli intimava il licenziamento per giusta causa.

L’ O. impugnava giudizialmente il suddetto licenziamento e, nelle more del relativo giudizio di primo grado, l’YKK, con nota del 21.10.2005, gli intimava un secondo licenziamento per fatti costituiti da accessi abusivi al persona computer di altro dipendente per prendere visione di documentazione aziendale riservata, trasferimento di detta documentazione sul suo pc e successiva soppressione della documentazione medesima.

Con sentenza pronunciata il 25.10.2005, il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Ascoli Piceno annullava il licenziamento impugnato e condannava la parte datoriale all’immediata reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro.

Con nota del 26.10.2005 TYkk inviava all’ O. contestazione di addebiti di natura disciplinare con cui si faceva presente che in pari data, intorno alle ore 13,45, si era presentato insieme alla propria moglie ed al suo difensore, Avv. Ot.Sa., e ad altra persona presso la portineria d’ingresso allo stabilimento, dicendo al portiere di essere stato reintegrato nel posto di lavoro con sentenza pronunciata il giorno precedente dal Tribunale di Ascoli Piceno e di volere entrare in azienda. Si precisava che, alla risposta data dal portiere, previa consultazione con la Direzione Aziendale e con il legale fiduciario, che tale sentenza era incoercibile, l’ O., per mezzo del predetto avv. Ot., rispondeva: "Chiameremo i carabinieri"; ed infatti intorno alle ore 15:00 passava presso l’azienda l’ispettore superiore della DIGOS, sig. S.P..

Accanto a tale contestazione la società, dopo avere dichiarato di mantenere fermi sia il licenziamento intimato il 09/07/2002 e sia quello successivamente intimato il 21/10/2005, stante l’avvenuta ricostituzione del rapporto anche de facto oltre che de jure per effetto della predetta sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno, aggiungeva altra contestazione per fatti relativi al periodo 1/3/2002- 10/6/2002, costituiti da quanto già contestato con nota del 21.10.2005 ("accessi abusivi al personal computer di altro dipendente per prendere visione di documentazione aziendale riservata, trasferimento di detta documentazione sul suo pc e successiva soppressione della documentazione medesima"), nonchè, tra l’altro, da espresso proposito di boicottare l’attività di ricerca e sviluppo demandata allo stabilimento. Veniva anche contestata la recidiva per le mancanze addebitate con nota dell’8/4/2002 e del 14/6/2002 e sanzionate con i provvedimenti di sospensione del 14/4/2002 e del 21/6/2002.

Ricevute e non accolte le giustificazioni dell’ O., con nota del 3.11.2005 l’lkk gli intimava licenziamento per giusta causa che, su impugnativa del lavoratore, veniva annullato dal Tribunale di Ascoli Piceno.

La Corte d’appello di Ancona, su gravame della Società, esclusa ogni rilevanza alla frase "Chiameremo i Carabinieri", pronunciata, peraltro, dall’avvocato dell’ O., riteneva illegittimo il licenziamento fondandosi i fatti contestati su accertamenti eseguiti sul personal computer già in dotazione all’ O. successivi al suo (primo) licenziamento e, in larga parte, addirittura a distanza di quasi 3 anni. Trattandosi, dunque, di accertamenti relativi ad eventi asseritamente avvenuti prima del licenziamento dell’ O., ma eseguiti dopo il suo allontanamento dal posto di lavoro e quando il medesimo non aveva più la disponibilità del pc su cui tali accertamenti venivano svolti, stante il tempo ormai trascorso e l’indisponibilità dei mezzi oggetto dell’indagine, doveva ritenersi pregiudicata qualsivoglia difesa in ordine alle modalità di svolgimento dei fatti contestati.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Ykk Mediterraneo SpA con tre motivi.

Resiste l’ O. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la Società Ykk Mediterraneo, denunciando vizio di "violazione e falsa applicazione degli artt. 346 c.p.c., art. 116 c.p.c., comma 3, art. 436 c.p.c., comma 2, e art. 437 c.p.c. oltre che dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c.", sostiene che la Corte d’Appello di Ancona avrebbe erroneamente ritenuto illegittimo il licenziamento sotto il profilo della violazione del diritto di difesa, conseguente alla violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, nonostante l’attuale resistente non avesse riproposto la relativa eccezione ex art. 346 c.p.c. e art. 436 c.p.c., comma 2, nella propria memoria difensiva in appello, ed anzi non l’avesse mai proposta nemmeno in primo grado.

Il motivo è infondato.

Invero, la società ora ricorrente aveva impugnato, con il ricorso in appello, l’espressa statuizione della sentenza di primo grado sul punto, come risulta dalla narrativa relativa allo svolgimento del processo, tratta dalla stessa sentenza d’appello, ove si sintetizza il motivo di appello formulato dalla stessa Società, secondo cui "erroneamente il Tribunale aveva ritenuto l’intempestività della contestazione del 26.10.2005, poichè la tempestività di un tale atto deve essere letta e interpretata con riferimento all’intervallo di tempo che intercorre tra la scoperta dell’illecito e l’inizio della procedura, nella specie avviata subito dopo la sentenza di annullamento del primo licenziamento".

La sentenza di primo grado ha, dunque, ritenuto sussistente una ragione di illegittimità del licenziamento e, pertanto, la sentenza della Corte d’appello, nel confermare quella di primo grado, lungi dall’esaminare un’eccezione non riproposta dall’appellato, ha esaminato lo specifico motivo di appello formulato, avverso la statuizione de qua, dalla stessa Società, rigettandolo, in quanto erroneo. Non appare esatto, dunque, che l’odierno resistente non avesse sollevato in primo grado l’eccezione di violazione del principio di immediatezza della contestazione (con conseguente violazione del diritto di difesa) e non l’avesse riproposta in grado d’appello, oltretutto senza che ve ne fosse alcun bisogno, posto che -e la circostanza è assorbente- l’eccezione era stata accolta dalla sentenza di primo grado, ed oggetto di apposito motivo di appello della Società ora ricorrente (motivo rigettato dalla sentenza impugnata).

Con il secondo motivo la Società, denunciando violazione e dell’art. 2119 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7 e degli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta che il Giudice a quo, rigettando il gravame, non abbia tenuto conto che il principio della immediatezza della contestazione disciplinare trova il suo fondamento nelle regole della correttezza e buona fede poste rispettivamente dai richiamati artt. 1175 e 1375 c.c., sicchè, in questa prospettiva, erronea risulterebbe la valutazione espressa dalla Corte territoriale sul punto.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Invero, dopo aver ritenuto irrilevante che i fatti oggetto del licenziamento in esame fossero stati dedotti nel corso del giudizio di impugnazione del primo licenziamento e che i fatti oggetto delle due contestazioni fossero strettamente connessi, la Corte d’appello di Ancona ha provveduto a prendere espressamente in considerazione, confutandole, le difese svolte in appello dalla Società ora ricorrente (e reiterate in sede di legittimità), secondo cui "non potrebbe porsi una questione di tempestività della contestazione dei fatti posti a base del licenziamento del 3.11.2005, poichè il decorso del tempo non potrebbe ritenersi significativo, in assenza del rapporto di lavoro, della acquiescenza di essa appellante rispetto alla condotta del lavoratore", rilevando "che tale assunto è solo in parte condivisibile e, comunque, non decisivo.

In proposito, ha considerato che, secondo il condiviso insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in materia di licenziamento disciplinare la tempestività della reazione del datore di lavoro all’inadempimento del lavoratore rileva sotto due distinti profili:

sotto un primo aspetto, quando si tratti di licenziamento per giusta causa, il tempo trascorso tra l’intimazione del licenziamento disciplinare e l’accertamento del fatto contestato al lavoratore può indicare l’assenza di un requisito della fattispecie prevista dall’art. 2119 c.c. (incompatibilità del fatto contestato con la prosecuzione del rapporto di lavoro), in quanto il ritardo nella contestazione può indicare la mancanza di interesse all’esercizio del diritto potestativo di licenziare; sotto un secondo profilo, la tempestività della contestazione permette al lavoratore un più preciso ricordo dei fatti e gli consente di predisporre una più efficace difesa in relazione agli addebiti contestati: con la conseguenza che la mancanza di una tempestiva contestazione può tradursi in una violazione delle garanzie procedimentali fissate dalla L. n. 300 del 1970, art. 7 (nei termini: Cass. n. 5393/2006).

Orbene, nella specie – prosegue il Giudice d’appello-, doveva ritenersi acclarato – in base alle allegazioni in tal senso della stessa parte datoriale – che i fatti contestati riposavano su accertamenti eseguiti sul personal computer già in dotazione all’ O. successivi al suo (primo) licenziamento e, in larga parte, disposti addirittura a distanza di quasi 3 anni; ciò in quanto solo il 14.4.2005 il pc. già utilizzato dall’ O. venne consegnato per le opportune indagini al Dipartimento di Ingegneria Informatica Gestionale e dell’Automazione dell’Università Politecnica delle Marche.

Trattandosi, dunque, di accertamenti relativi ad eventi asseritamente avvenuti prima del licenziamento dell’ O., ma eseguiti dopo il suo allontanamento dal posto di lavoro e quando il medesimo non aveva più, pertanto, la disponibilità del pc. su cui tali accertamenti venivano svolti, l’ O. -osserva la Corte di merito- è stato chiamato a difendersi da addebiti relativi ad accadimenti asseritamente verificatisi circa tre anni prima, senza avere la possibilità di predisporre, stante il tempo ormai trascorso e l’indisponibilità dei mezzi oggetto dell’indagine, qualsivoglia difesa in ordine alle modalità di svolgimento dei fatti contestati, con conseguente violazione del diritto del lavoratore ad un efficace approntamento dei mezzi difensivi.

Nè giova all’appellante, sotto l’esaminato profilo, la circostanza secondo cui tali fatti non avrebbero potuto utilmente essergli in precedenza contestati per l’assenza – medio tempore – del rapporto di lavoro. Correttamente, su tale punto, si osserva nella sentenza impugnata che detta impossibilità discendeva solo dall’illegittima condotta della parte datoriale, costituita dall’intimazione del primo licenziamento. Cosicchè tale illegittima condotta non poteva condurre al sacrificio dei diritti di difesa della parte a danno della quale è stata perpetrata e a vantaggio di quella che l’ha posta in essere.

Non risultando, nell’iter argomentativo seguito dal Giudice d’appello, i vizi e le violazioni denunciate negli esaminati due motivi il ricorso va rigettato, rimanendo assorbito il terzo motivo, con cui la Società censura, sotto il profilo del vizio di motivazione, la linea comportamentale, che secondo i suggerimenti offerti dallo stesso Giudice- avrebbe dovuto avere per rispettare il diritto di difesa, e, cioè, "avrebbe dovuto prima revocare l’originario licenziamento intimato il 9.07.2002" e "quindi procedere alla contestazione dei nuovi e diversi fatti".

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 4.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 18 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

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