Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-06-2012, n. 9207 Pensione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di G. R. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 20 maggio 2008, di rigetto della domanda del G. volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del provvedimento dell’INPS di ripetizione dell’indebita pensione di invalidità riscossa nel periodo 1 gennaio 1998-30 aprile 2007.

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la pretesa genericità del provvedimento dell’INPS in oggetto in realtà è prospettata non in riferimento alla insufficiente indicazione dei motivi dell’indebito (chiaramente specificati), ma con riguardo alla quantificazione della somma richiesta;

b) tuttavia, l’importo richiesto in restituzione risulta quantificato nel provvedimento medesimo e l’esattezza del relativo calcolo è facilmente verificabile sommando i ratei di pensione illegittimamente percepiti nel periodo indicato;

c) comunque, il ricorrente non ha mai contestato la correttezza della quantificazione medesima, ma si è limitato a sostenerne la genericità;

d) va respinto anche il motivo di appello riguardante la condanna al pagamento delle spese processuali perchè nella dichiarazione in atti manca l’impegno ad indicare successive variazioni reddituali, come richiesto dalla norma invocata.

2- Il ricorso di G.R. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, l’INPS.

Motivi della decisione

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ., della L. 31 dicembre 1991, n. 412, art. 13, comma 1, nonchè dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326.

Si sostiene che il provvedimento dell’INPS in oggetto sia privo di specifica e dettagliata quantificazione dell’indebito e ciò avrebbe impedito l’effettuazione di un’adeguata verifica dei calcoli posti alla base della richiesta di restituzione.

Comunque, ad avviso del ricorrente, l’Istituto era a conoscenza dell’errore che ha dato luogo all’indebito e quindi esso sarebbe irripetibile.

2.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa pronuncia e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento alla mancata e inesatta valutazione della posizione reddituale del ricorrente, ai fini dell’esenzione dalle spese del primo grado di giudizio.

Si rileva che, a fronte dell’allegata dichiarazione dei redditi posseduti nel 2007 (di importo adeguato a poter beneficiare dell’esonero dal pagamento delle spese processuali), la Corte territoriale non ha considerato che la previsione dell’impegno a comunicare eventuali variazioni reddituali non poteva che riguardare i redditi del 2008 e quindi non poteva che essere effettuata alla fine di tale anno, mentre il giudizio di primo grado è terminato prima di tale momento.

Ne consegue che il giudice di primo grado non avrebbe potuto esimersi dall’attribuire valore alla suddetta dichiarazione, pur se priva dell’impegno a comunicare eventuali variazioni del reddito, essendo impossibile che vi fossero stati mutamenti. Quindi, anche in primo grado, come è avvenuto in appello, le spese avrebbero dovuto essere compensate, in assenza della manifesta infondatezza della domanda.

3 – Esame delle censure.

3. – Il primo motivo del ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

3.1.- Per quel che riguarda la relativa formulazione, il motivo non appare conforme al principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione.

Infatti, in base all’orientamento di questa Corte in materia di interpretazione del combinato disposto dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 369 c.p.c., comma 3, e art. 366 c.p.c., n. 6, – recentemente consolidatosi con la sentenza delle Sezioni unite 3 novembre 2011, n. 22726, cui la successiva giurisprudenza si è uniformata e che il Collegio condivide – la disposizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, secondo cui, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 7 il ricorrente ha l’onere di depositare, insieme con il ricorso, a pena di improcedibilità, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda", va coordinata con la disposizione dello stesso art. 369 cod. proc. civ., comma 3 secondo cui il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata la trasmissione del fascicolo di ufficio e deve depositare (anche) tale richiesta insieme col ricorso. Dalla suddetta combinazione di desume che gli atti processuali, come i documenti dei quali il legislatore ha imposto il deposito unitamente al ricorso a pena di improcedibilità sono quelli che non fanno parte del fascicolo d’ufficio del giudizio nel quale è stata pronunciata la sentenza impugnata; fascicolo che il ricorrente ha l’onere di richiedere, depositando la relativa richiesta unitamente al ricorso.

Il fascicolo di ufficio è formato dal cancelliere, contiene gli atti indicati nell’art. 168 cod. proc. civ., tra cui rientrano i provvedimenti dell’Istituto previdenziale nei giudizi del tipo di quello attuale.

Conseguentemente, ove risulti che il ricorrente abbia provveduto a richiedere la trasmissione del fascicolo di ufficio del giudizio d’appello conclusosi con la sentenza impugnata non è configurabile la suddetta improcedibilità (vedi, per tutte: Cass. 1 marzo 2010, n. 4898).

Resta, però, la necessità di rispettare a pena di inammissibilità – l’art. 366 c.p.c., nn. 3, 4 e 6, e, quindi, di trascrivere nel ricorso i passaggi essenziali del documento sulla cui interpretazione sono incentrate le censure oltre all’indicazione dei dati necessari al reperimento del documento stesso.

Nella specie, nel primo motivo, il ricorrente sostiene che diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello – il provvedimento dell’INPS di recupero del credito, si sia limitato a contestare genericamente l’indebito senza consentire al debitore di effettuare i necessari controlli sulla correttezza della pretesa.

Ora, poichè come si è detto il suddetto provvedimento è compreso tra gli atti inclusi nel fascicolo d’ufficio e poichè il ricorrente ha ritualmente chiesto la trasmissione di tale fascicolo e ha depositato la relativa richiesta, non si pongono problemi di improcedibilità.

Va, tuttavia, rilevato che il ricorrente non ha trascritto integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti del suddetto provvedimento, al fine di evidenziare gli errori, a suo parere, commessi dal Giudice del merito nel considerane il contenuto adeguato, onde mettere in condizione questa Corte di valutare le relative contestazioni direttamente sulla base del ricorso; infatti, diversamente il sindacato richiesto in questa sede si risolve nella prospettazione di una valutazione di merito, inammissibile in sede di legittimità (ex plurimis: Cass. 4 maggio 2009, n. 10222; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845; Cass. 6 settembre 2007, n. 18688; Cass. 28 marzo 2006, n. 7078; Cass. 26 luglio 2002, n. 11047).

In linea generale, secondo un orientamento consolidato e condiviso di questa Corte, il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di cui all’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, impone al ricorrente la specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonchè la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori con eventuale trascrizione dei passi salienti (vedi, per tutte, da ultimo: Cass. 7 febbraio 2012, n, 1716; Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).

3.2.- Comunque, anche nel merito, il motivo non merita accoglimento.

Va, in proposito, ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) in tema d’indebito previdenziale, nel giudizio instaurato, in qualità d’attore, dal pensionato che miri ad ottenere l’accertamento negativo del suo obbligo di restituire quanto l’ente previdenziale abbia ritenuto indebitamente percepito, l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto, è a suo esclusivo carico (vedi, per tutte: Cass. SU 4 agosto 2010, n. 18046);

b) in tema di indebito previdenziale, il pensionato, ove chieda, quale attore, l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta, la cui esistenza consente di qualificare come adempimento quanto corrispostogli dall’Istituto convenuto, ferma, peraltro, la necessità che quest’ultimo, nel provvedimento amministrativo di recupero del credito, non si sia limitato a contestare genericamente l’indebito ma abbia precisato gli estremi del pagamento, corredati dall’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che non legittimerebbero la corresponsione delle somme erogate, così da consentire al debitore di effettuare i necessari controlli sulla correttezza della pretesa, il cui accertamento ha carattere doveroso per il giudice, rispondendo a imprescindibili esigenze di garanzia del destinatario dell’atto di soppressione o riduzione del trattamento pensionistico in godimento (Cass. 5 gennaio 2011, n. 198);

c) in tema di indebito previdenziale, il pensionato, ove chieda, quale attore, l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli, senza che assuma rilievo l’inosservanza, da parte dell’Istituto, dell’obbligo L. n. 412 del 1991, ex art. 13, comma 2, di verificare annualmente l’esistenza di situazioni reddituali del pensionato incidenti sul diritto o sulla misura della pensione, la cui operatività è condizionata alla preventiva segnalazione, ai sensi della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, dei relativi fatti da parte dell’interessato (Cass. 20 gennaio 2011, n. 1228).

La sentenza impugnata risulta sul punto pienamente conforme ai su richiamati principi in quanto, come risulta anche dal presente ricorso, il G. assume che il provvedimento dell’INPS di ripetizione dell’indebita pensione di invalidità riscossa nel periodo 1 gennaio 1998-30 aprile 2007 sia privo di specifica e dettagliata quantificazione della somma da restituire e ciò abbia impedito l’effettuazione di un’adeguata verifica sulla correttezza dei calcoli effettuati dall’Istituto.

Ma – fermo restando che l’onere di provare i fatti costitutivi del preteso diritto alla prestazione è a carico del pensionato, come si è detto – va anche precisato che, nella specie, l’INPS, come riconosce implicitamente anche il ricorrente, non si è limitato a contestare genericamente l’indebito ma ha precisato gli estremi del pagamento, corredati dall’indicazione, sia pure sintetica, delle ragioni che rendono illegittima la corresponsione delle somme erogate, sicchè il relativo provvedimento – pur prescindendo dalla sua diretta lettura – appare, sulla base delle stesse indicazioni del ricorrente, ictu oculi da considerare adeguato al rispetto delle esigenze di garanzia del destinatario dell’atto.

4.- Il secondo motivo è, invece, fondato, nei limiti di seguito indicati.

4.1.- Come più volte affermato da questa Corte, il beneficio dell’esonero dalle spese giudiziali, previsto dall’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. in favore del lavoratore soccombente nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, è applicabile nei confronti di qualunque ricorrente e non solo in favore di chi possa vantare l’effettiva esistenza del rapporto assicurativo o abbia comunque diritto all’assistenza pubblica, atteso che la ratio della norma, desumibile anche dalle sentenze n 85 del 1979 e n. 207 del 1994 della Corte costituzionale, è quella di evitare che il timore della soccombenza sulle spese impedisca l’esercizio di diritti garantiti dalla Costituzione, fermo il limite della manifesta infondatezza e temerarietà della lite (Cass. 6 agosto 2003, n. 11880; Cass. 12 novembre 2003, n. 17061).

La ratio della disposizione è rimasta inalterata anche in seguito alla sostituzione – applicabile ai procedimenti incardinati successivamente al 2 ottobre 2003 (Cass. 1 marzo 2004, n. 4165) – introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, nonchè in seguito all’aggiunta dell’ultimo periodo disposta – con decorrenza dal 4 luglio 2009 – dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 52.

In particolare, per effetto della suddetta sostituzione, è stato posto a carico della parte ricorrente nei giudizi per prestazioni previdenziali o assistenziali l’onere di effettuare fin dalle conclusioni dell’atto introduttivo – un’apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante il possesso delle condizioni reddituali previste dalla norma stessa per ottenere l’esenzione dal pagamento delle spese processuali.

E’ stato anche previsto che la parte stessa si impegni a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente, operandosi, al riguardo, un rinvio al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 79, commi 2 e 3, e art. 88 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).

Come già affermato da questa Corte in un caso analogo all’attuale (Cass. 17 giugno 2011, n. 13367) l’interpretazione letterale e logico- finalistica della norma rende evidente che il legislatore non ha voluto stabilire alcuna rigida formula per il soddisfacimento del suddetto onere e soprattutto che si è limitato a subordinare l’esenzione esclusivamente alla tempestiva presentazione della dichiarazione suindicata, senza prevedere che, nell’ambito della dichiarazione stessa, debba essere contenuto sempre e comunque – anche l’impegno di comunicare le variazioni reddituali rilevanti.

Di ciò si trova ulteriore conferma nel fatto che il rinvio al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79 è limitato ai commi 2 e 3 di tale articolo e non riguarda, quindi, il comma 1 ove – ai fini ivi previsti, di ammissione al patrocinio a spese dello Stato – è specificamente indicato il contenuto dell’istanza, stabilito a pena di inammissibilità e comprendente anche l’impegno ad effettuare la comunicazione delle variazioni reddituali rilevanti (peraltro, per una interpretazione non formalistica del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 1, vedi, mutatis mutandis: Corte costituzionale, ordinanza n. 144 del 2004).

E’ questo un ulteriore sintomo della permanenza della originaria ratio di favorire la tutela di diritti costituzionalmente garantiti (come quelli che normalmente si fanno valere nelle controversie previdenziali o assistenziali): la nuova normativa, pur essendo diretta ad evitare e punire più efficacemente gli abusi, tuttavia, avuto riguardo anche ai peculiari connotati pubblicistici che caratterizzano le controversie in argomento, non impone all’interessato di formulare la dichiarazione sostitutiva di certificazione in oggetto secondo uno schema rigido e predeterminato per legge, così come non gli richiede di rinnovare la suddetta dichiarazione in tutti i diversi gradi del processo: è sufficiente adempiere l’onere autocertificativo con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado salvo restando comunque, fino all’esito definitivo del processo, l’impegno di comunicare le variazioni reddituali eventualmente rilevanti (Cass. 12 maggio 2009 n. 10875;

Cass. 21 luglio 2010, n. 17197).

Resta, ovviamente, salva l’applicabilità delle sanzioni penali indicate nel D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 76 ma va anche tenuto presente che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 3, il giudice procedente può sempre richiedere all’interessato a pena della inammissibilità dell’istanza di produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto indicato.

Ciò vale, ovviamente, anche rispetto al silenzio tenuto sulle sopravvenute variazioni reddituali rilevanti, visto che l’impegno a darne comunicazione è comunque sussistente, perchè prescritto per legge, anche se, in particolari situazioni, la relativa mancata esplicita menzione nella autocertificazione iniziale può non essere considerata ostativa per l’attribuzione del beneficio dell’esenzione de quo.

Ciò, naturalmente, non significa che l’assunzione del suddetto "impegno" sia sempre e comunque indifferente, ma soltanto che tale assunzione non debba essere considerata come una "vuota formalità", ma come un adempimento che – nella sua sostanza rafforzi il collegamento della dichiarazione sostitutiva, nella sua veridicità e attendibilità, al dovere di lealtà processuale cui le parti sono tenute ad attenersi in base all’art. 88 cod. proc. civ., la cui trasgressione è stata rafforzata a seguito della recente modifica dell’art. 92 cod. proc. civ..

In altri termini, ciò che conta – e deve contare – ai fini del beneficio di cui si tratta è che le condizioni reddituali di chi lo chiede risultino adeguate sulla base della prescritta dichiarazione sostitutiva che, di regola, deve essere accompagnata dall’assunzione dell’impegno a comunicare le eventuali variazioni.

Tuttavia ove per ragioni specifiche consistenti, nella specie, nel fatto che la dichiarazione dei redditi allegata si riferiva all’anno di imposta 2007 e il giudizio di primo grado è terminato con sentenza del 20 maggio 2008 e quindi prima del momento utile per comunicare eventuali variazioni, che avrebbero dovuto riguardare i redditi percepiti nell’anno di imposta 2008 – il beneficio non può essere negato soltanto per la mancanza dell’assunzione dell’impegno in argomento, tanto più che, come si è detto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 3, il giudice procedente può sempre richiedere all’interessato – a pena della inammissibilità dell’istanza – di produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto indicato.

4.2. – In base alle suddette considerazioni non – è da condividere la statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, con la quale è stato negato al G. il beneficio dell’esenzione in oggetto, sul rilievo che "nella dichiarazione in atti manca l’impegno ad indicare successive variazioni, come richiesto dalla norma invocata".

3 – Conclusioni.

6. In sintesi, il primo motivo del ricorso va rigettato e il secondo motivo deve, invece, essere accolto.

La sentenza della Corte d’appello di Roma va cassata, in relazione al motivo accolto, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., la causa può essere decisa nel merito, stabilendo, in considerazione della sostanziale novità della questione, la compensazione tra le parti delle spese del primo grado di giudizio e del grado di appello.

La medesima ragione giustifica la compensazione anche delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo motivo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, compensa tra le parti le spese del primo grado di giudizio e del grado di appello. Compensa anche le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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