Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-10-2011) 24-11-2011, n. 43373

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 28.3.2011 veniva dichiarato inammissibile l’appello proposto da D.C.G. e D.C.C. avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 20.3.2008 che li aveva dichiarati colpevoli del reato di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, avendo portato in luogo pubblico una pistola cal. 357 magnum.

Secondo la Corte territoriale l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado era stato notificato agli imputati il 14.5.2008, con consegna a familiare capace e convivente, e il termine per l’impugnazione scadeva quindi quarantacinque giorni dopo la notificazione, laddove l’appello venne invece presentato il 16.7.2008, quindi ben oltre il termine fissato a pena di decadenza.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato per dedurre prima di tutto che il reato sarebbe prescritto e poi per sviluppare due motivi:

2.1 nullità della notificazione dell’estratto della sentenza di primo grado ad entrambi gli imputati, con il che l’appello doveva considerarsi tempestivo. La notifica avvenne a mani del fratello M. dei due imputati e quindi sarebbe nulla perchè gli imputati non vivevano in famiglia, ma dimoravano presso il luogo di lavoro, ovverosia in un cantiere edile in (OMISSIS). Inoltre non sarebbero state rispettate le formalità di consegna, atteso che il plico non venne consegnato in busta chiusa, per cui si sarebbe verificata a suo opinare una nullità relativa ex art. 180 c.p.p..

Proprio a fronte di tale nullità ritiene la difesa che gli imputati possano pretendere la restituzione nel termine per impugnare.

2.2 illegittimità della pronuncia di inammissibilità, senza aver provveduto alla rimessione in termini: l’estratto della sentenza non venne notificato al difensore, per cui il ritardo nell’impugnazione sarebbe dovuto a caso fortuito.

Sono poi state svolte considerazioni sulla valutazione delle prove nel giudizio di primo grado ed è stato dedotto vizio della sentenza per mancata assunzione di prova decisiva.

Motivi della decisione

Il ricorso è palesemente inammissibile.

Innanzitutto va detto che il reato non è estinto per decorso del tempo, avendosi riguardo a fatto commesso il (OMISSIS), punibile con pena di anni sei e mesi otto di reclusione, il cui termine di prescrizione, che comunque non potrebbe operare per l’inammissibilità del gravame, pari ad anni otto e mesi quattro non è ancora scaduto.

Va poi sottolineato che assolutamente regolare è stata la procedura di notificazione dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado, correttamente effettuata solo nei confronti dei due imputati e non del difensore, che tra l’altro fu presente al momento della lettura del dispositivo e quindi era perfettamente a conoscenza della decisione. L’atto venne rimesso a mani del fratello dei due imputati, che accettò la notifica presso il comune luogo di residenza, a nulla potendo rilevare che i due ricorrenti fossero temporaneamente assenti per ragioni di lavoro. Nessuna conseguenza in termini di legittimità dell’atto poteva derivare dalla circostanza che non sia stato consegnato in plico chiuso. Pertanto, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che dalla data di consegna dell’estratto dovesse decorrere il termine per l’impugnazione e che poichè il gravame fu presentato quando detto termine era ampiamente decorso, più che legittima è stata la dichiarazione di inammissibilità dell’appello interposto.

Non ricorrevano i presupposti per far luogo alla rimessione in termini del difensore. I motivi sulla valutazione della prova sono del tutto improponibili in detta sede, dove il thema decidendum è la legittimità o meno della dichiarazione di inammissibilità dell’appello pronunciata dal giudice di seconde cure, senza entrare nella valutazione dei motivi di merito.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa dei ricorrenti, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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