Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-10-2011) 24-11-2011, n. 43371

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 1 dicembre 2010, confermava quella resa il 3.8.2008 dal GUP del Tribunale della medesima sede e con essa la condanna ad anni sei e mesi otto di reclusione di O.F.O. ed O.B. O., imputati, in concorso tra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso: a) del reato di cui all’art. 416 c.p. finalizzato al favoreggiamento della prostituzione di ragazze nigeriane; b) del reato di cui all’art. 3 c.p., nn. 4, 5 ed 8 e di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 4, perchè aver reclutato ragazze straniere tra cui L.J., per indurle alla prostituzione; b2) del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 12, commi 3 e 3 ter, per aver compiuto atti idonei a procurare l’ingresso illegale in Italia di L.J. ed altre ragazze da avviare alla prostituzione, c) del reato di cui all’art. 601 c.p., per aver ridotto in stato di soggezione continuativa analoga alla schiavitù L.J.; dal (OMISSIS).

A sostegno della decisione i giudici di merito ponevano le dichiarazione della parte lesa L.J., nonchè le intercettazioni telefoniche eseguite in seguito alla sua denuncia, sia sulle utenze di due ragazze nigeriane di nome Q. e O., anch’esse avviate alla prostituzione, sia sulle utenze dei due imputati.

2. Si dolgono di tale sentenza e della sua motivazione gli imputati, assistiti dal comune difensore di fiducia, che ne chiede l’annullamento per violazione di legge e perchè illogica la motivazione a sostegno della condanna.

2.1 Assume, la difesa ricorrente, col primo motivo di ricorso, la violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2, art. 197 c.p.p., e segg., art. 530 c.p.p., commi 1 e 2, in relazione a tutti i reati contestati, in particolare deducendo che:

– la Corte di merito ha pedissequamente richiamato le argomentazioni svolte dal giudice di prime cure;

– le intercettazioni telefoniche non forniscono elementi tali da consentire il giudizio di colpevolezza;

– la Corte non ha motivato in ordine alla credibilità della persona offesa;

– le intercettazioni telefoniche non riscontrano affatto la denuncia della p.l., ma la smentiscono;

– le intercettazioni telefoniche accreditano con certezza che la p.l. era una ragazza ribelle, scappata di casa due volte;

– le denunce della p.l. trovano una loro giustificazione nel fatto che attraverso di esse la stessa ha ottenuto il permesso di soggiorno;

– il giudice di prime cure ha assolto U.J. perchè peritalmente smentita la riconducibilità alla p.l. della voce intercettata in una telefonata, circostanza che per il giudicante vanifica anche il riconoscimento fotografico di quella imputata da parte della medesima p.l.;

– tale decisiva circostanza non è stata trattata dal giudice dell’appello, nonostante le argomentazioni difensive sul punto volte a riconsiderare la credibilità delle accuse della stessa p.l. anche nei confronti degli attuali imputati;

– l’interpretazione data dai giudici di merito delle telefonate intercettate non è corretta e non tiene conto dei reali contenuti delle stesse;

– l’assoluzione della terza imputata rende non configurabile il reato di cui all’art. 416 c.p.;

– i reati di cui ai capi b) e b2) non sono stati provati, perchè posto in evidenza, con i motivi di appello, che le relative condotte sono state commesse da soggetti diversi dagli imputati;

– anche per il reato di cui al capo d) è stato provato il margine di libertà di cui godeva la p.l., incompatibile con la tipizzazione del reato di cui all’art. 601 c.p..

2.2 Con il secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al reato di cui all’art. 416 c.p., sul rilievo che nulla avrebbe replicato la Corte di merito in ordine al motivo di appello con il quale si chiedeva la derubricazione della contestazione, riferita al comma 1, in quella di cui al comma 2. 2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa istante violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’applicazione dell’aggravante di cui alla L. n. 158 del 1975, art. 4, n. 7, della quale la difesa ha chiesto l’esclusione al giudice di secondo grado sul rilievo che l’attività contestata non ha riguardato più persone, senza che il giudice adito desso al riguardo risposta alcuna.

2.4 Col quarto motivo di doglianza denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, in ordine alla mancata irrogazione del minimo di pena e degli aumenti minimi di pena a titolo di continuazione.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici.

Di qui il consequenziale principio, anch’esso costante nell’insegnamento di questa Corte, secondo il quale, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).

Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito di gran parte delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata.

3.2 Ed invero, quanto al primo motivo di impugnazione, esso risulta articolato attraverso generiche censure, per un verso, e valutazioni di merito per altro verso.

In tale ultimo insieme ricadono le negative valutazioni circa la credibilità delle denunce della p.l. e le differenti letture delle intercettazioni telefoniche. Quanto al primo punto osserva la Corte che diffusamente ha, viceversa, il giudice di merito motivato il proprio convincimento, valorizzando la genesi della denuncia medesima, ispirata da un sacerdote presso il quale la p.o. aveva cercato rifugio per sfuggire allo sfruttamento al quale era stata sottoposta, la precisione del racconto della sua triste esperienza, ricca di coerenti particolari e riscontrata puntualmente da numerose e significative intercettazioni partitamente analizzate dalle istanze di merito, il dato anch’esso di estrema significatività fornito dall’affannosa ricerca della p.l. stessa da parte degli imputati.

Nè a fronte di siffatto quadro argomentativo, robusto e logicamente coerente, può avere analoga forza contraria sul piano dialettico e probatorio, la circostanza che la terza imputata del reato associativo sia stata assolta in prime cure perchè dal perito smentita la corrispondenza in una certa intercettazione tra la voce riferibile alla p.o. e quella del soggetto chiamato J., circostanza processuale che ha poi indotto il GUP a vanificare la valenza del riconoscimento fotografico di detta terza imputata da parte della medesima p.o.. Trattasi, nella fattispecie, di un unico dato negativo, che cede irrimediabilmente nel bilanciamento con quelli, positivi, elencati e criticamente delibati dai giudicanti territoriali, di guisa che l’esito del giudizio risulta da un corretto e coerente sillogismo logico, dove la premessa si appalesa correttamente posta dal motivare impugnato, premessa che, giova sottolinearlo, regge, per quanto detto, il sillogismo articolato in sede di giudizio di condanna anche se non considerato dalla Corte di merito la parte del gravame in appello nel quale si valorizzava difensivamente il predetto dato negativo.

Ogni altro argomentare sviluppato col primo motivo si appalesa, come già detto, generico ed apodittico e tanto vale per la valutazione di insufficienza probatoria, sia dei reati contestati sotto le due lettere b), sia del reato contestato ai sensi dell’art. 601 c.p..

3.3 Del tutto generici appaiono poi il secondo ed il terzo motivo di impugnazione.

Quanto, in particolare, alla sussistenza del reato di cui all’art. 416 c.p., comma 1, in luogo della ipotesi di cui al comma successivo, nonchè al numero minimo di persone necessario per la configurabilità del reato (questo rilievo risulta illustrato in parte col primo motivo ed in parte col secondo motivo) osserva la Corte che: A) il giudice territoriale ha dedotto il ruolo e la funzione centrale degli imputati nel commercio umano loro contestato, dalle dichiarazioni della p.o. e dalle intercettazioni telefoniche a tal fine diffusamente richiamate ed illustrate in tal senso, mentre la censura si affida ad una mera asserzione; B) la circostanza che i componenti dell’associazione non siano stati identificati nel loro complesso e che i componenti individuati siano soltanto i due imputati, non rileva certo in ordine alla sussistenza del reato, che risulta legittimamente contestato anche in siffatta situazione processuale. Al riguardo va pertanto confermato l’indirizzo ermeneutico di questa Corte di legittimità, che già in passato ha avuto modo di affermare che, in tema di associazione per delinquere, il numero minimo degli associati previsto dalla legge per la configurabilità del reato deve essere valutato in senso oggettivo, ossia come componente umana effettiva ed esistente nel sodalizio e non con riferimento al numero degli imputati presenti nel processo;

ne consegue che vale ad integrare il reato anche la partecipazione degli individui rimasti ignoti, giudicati a parte o deceduti, e che è possibile dedurre l’esistenza della realtà associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due persone (Cass., Sez. 2, 30/04/1999, n. 7437, Cataldo); C) anche con riferimento alla censura relativa alla contestata aggravante di cui alla L. n. 158 del 1975, art. 4, giova, per un verso, sottolinearne la palese genericità ed apoditticità e, per altro verso, evidenziare che il supporto probatorio della condanna con il riconoscimento a carico degli imputati della contestata aggravante è stato legittimamente e correttamente indicato dai giudici di merito nelle dichiarazioni della denunciante e negli esiti delle intercettazioni telefoniche.

3.4 Rimane il quarto ed ultimo motivo, relativo, come detto, alla dosimetria della pena inflitta ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La doglianza è manifestamente infondata.

E’ noto l’insegnamento di questo giudice di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. 2, 22/02/2007, n. 8413; Cass., Sez. 2, 02/12/2008, n. 2769) giacchè il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. 2, 23/11/2005, n. 44322). Ciò premesso ed in applicazione degli esposti principi deve concludersi che, ai fini dell’applicabilità o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, ritenuti di particolare rilievo come elementi concreti della di lui personalità, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza nell’irrogazione della pena (Cass., Sez. 5, 06/09/2002, n.30284;

Cass., Sez. 2, 11/02/2010, n. 18158) ovvero, il che è lo stesso, la gravità della condotta giudicata.

Nel caso di specie la Corte ha dapprima illustrato le ragioni della doglianza e ad esse ha poi opposto la motivazione di prime cure, ribadendo non solo la estrema gravità dei fatti, ma anche le modalità delle condotte giudicate.

Palese pertanto, in applicazione dei principi innanzi scrupolosamente esposti, la manifesta infondatezza della censura in esame sia sotto il profilo del difetto di motivazione che della violazione di legge.

4. Il ricorso va pertanto rigettato ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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