Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 07-06-2012, n. 9190 Espropriazione per pubblica utilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 2.2.2008 il TRAP presso la Corte di Appello di Napoli, in accoglimento della domanda proposta da I.R. contro G.O.I. liquidava l’indennità di occupazione temporanea di 2 fasce laterali dell’area (di proprietà dello I.) oggetto di esproprio, il cui termine di efficacia era fissato al 31 dicembre 1991, per la realizzazione di un tratto del nuovo acquedotto del (OMISSIS), nell’ambito del programma previsto dalla L. n. 219 del 1981, ritenendo che la relativa occupazione, decorrente dalla data materiale del possesso, fosse stata prorogata dapprima fino al 31 dicembre 1996 e poi, per effetto della sanatoria disposta dal D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, comma 2, fino al 31.12.2007, anche in relazione ai termini di occupazione delle fasce destinate al cantiere e non all’espropriazione.

Interponeva appello l’ARIN (Azienda Risorse Idriche di Napoli s.p.a.), subentrata a GOL Resisteva I.R., che proponeva appello incidentale. Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con sentenza depositata il 3.3.2011 rigettava entrambi gli appelli.

Quanto alla censura secondo cui il primo giudice non aveva deciso sull’eccezione di prescrizione, riteneva il TSAP che l’appellante assumeva genericamente di aver proposto tale eccezione, senza tuttavia indicare in quale atto, tenuto conto delle preclusioni a tale eccezione in senso stretto; e che, in ogni caso l’eccezione era infondata, in quanto la GOI aveva ammesso implicitamente che l’adempimento le era stato richiesto, poichè essa aveva sempre negato di essere obbligata al pagamento.

Quanto alla rinunzia all’indennità per l’occupazione temporanea, contenuta nel verbale di accordo sull’indennità di espropriazione, riteneva il TSAP che, stante la sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2009, per la validità della stessa occorreva provare la validità del decreto di esproprio e, quindi, che quest’ultimo era stato emesso in pendenza del termine finale per il compimento delle opere, scaduto il quale la dichiarazione di pubblica utilità diveniva inefficace, con conseguente inefficacia della rinunzia e che tale prova non era stata fornita.

Avverso questa decisione ha proposto ricorso per cassazione l’ARIN, che ha anche presentato memoria.

Resiste con controricorso I.R., che ha anche proposto ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1.1. Preliminarmente va rigettata la richiesta del P.G. di dichiarazione di inammissibilità (per tardività) del ricorso principale e di quello incidentale. Infatti la comunicazione del 3.3.2011, inoltrata dalla cancelleria del TSAP del dispositivo della sentenza, perchè le parti provvedessero alla registrazione non integra nella fattispecie la notifica per estratto del dispositivo integrale della sentenza, da cui decorre il termine per la proposizione del ricorso per cassazione R.D. n. 1775 del 1993, ex art. 201 (cfr. Cass. S.U. n. 7607 del 2010; Cass. N. 24413 del 2011;

Cass. S.U. n. 5993 del 2012);

1.2. Va poi rigettata l’eccezione del resistente di nullità della notifica del ricorso per cassazione, eseguita presso la cancelleria del TSAP e non presso il suo domicilio eletto.

Infatti il principio, sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c., comma 3, secondo il quale la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato, vale anche per le notificazioni, come espressamente previsto dall’art. 160 c.p.c., con la conseguenza che la costituzione in giudizio del convenuto, anche se intervenuta al solo scopo di eccepire la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, produce una sanatoria del vizio con efficacia retroattiva che esclude ogni decadenza (Cass. 02/05/2006, n. 10119).

Nella fattispecie l’intimato ha svolto attività difensiva con il controricorso, con la conseguenza che ogni eventuale nullità della notificazione del ricorso è sanata.

2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c., nella formulazione anteriore a quella poi modificata con il D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 3, lett. B – ter, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9, comma 2, come interpretato autenticamente dal D.Lgs. n. 300 del 2006, art. 3, comma 3 bis, nonchè degli artt. 2934, 2943 e 2946 c.c.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c..

Assume la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che sussistessero preclusioni per proporre l’eccezione di prescrizione, trattandosi di procedimento anteriore alla modifica apportata al D.L. n. 35 del 2005, art. 167. Inoltre secondo la ricorrente, con l’atto di appello non aveva alcun onere di precisare in quale atto del giudizio si trovasse formulata l’eccezione, non vigendo il principio dell’autosufficienza nel ricorso al TSAP. Lamenta poi la ricorrente che è errata anche la seconda ratio decidendi e consistente nell’assunto che la dante causa di essa ARIN aveva reiterata mente negato di essere obbligata al pagamento dell’indennità, in tal modo riconoscendo che l’adempimento era stato richiesto.

3.1. Il motivo è inammissibile.

E’ esatto l’assunto della ricorrente secondo cui nella fattispecie non sussistevano preclusioni alla proposizione di eccezioni in primo grado. Infatti il disposto dell’art. 167 c.p.c., comma 2, attualmente vigente secondo il quale il convenuto: "A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio" è stato così modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. b-ter), convertito, con modificazioni, con L. 14 maggio 2005, n. 80, a decorrere dal 1 marzo 2006, ai sensi di quanto previsto dal comma 3-quinquies del suddetto art. 2 – aggiunto dal D.L. 30 giugno 2005, n. 115, art. 8, convertito, con modificazioni, con L. 17 agosto 2005, n. 168, sostituito dal comma 6, art. 1, L. 28 dicembre 2005, n. 263 e modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39-quater, convertito, con modificazioni, con L. 23 febbraio 2006, n. 51 – che così dispone: "3-quinquies. Le disposizioni di cui ai commi 3, lettere b-bis), b-ter), c-bis), c-ter), c-quater), c-quinquies), e- bis) ed e-ter), 3-bis, e 3-ter, lettera a), entrano in vigore il 1 marzo 2006 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data di entrata in vigore".

Ne consegue che la preclusione in relazione alla proposizione di eccezioni, attualmente disposta dall’art. 167, comma 2, non si applica ratione temporis nella fattispecie in cui l’atto introduttivo del giudizio venne notificato il 25.7.2005.

3.2. Sennonchè la sentenza di appello ha ritenuto inammissibile la censura, perchè era stato dedotto genericamente che l’eccezione di prescrizione era stata formulata, senza precisare in quale atto del giudizio essa era stata prospettata.

Pur essendo esatta la censura della ricorrente, secondo cui Egli non aveva un onere di indicare in quale atto tale prescrizione era stata sollevata, stante la mancanza in appello del principio dell’autosufficienza dell’atto di impugnazione (Cass. 1 dicembre 2005,n. 26192), va rilevato che tuttavia, ai fini della ammissibilità del presente motivo, in questa sede di legittimità, sarebbe stato necessario che la ricorrente avesse indicato in quale atto, quando ed in quali termini tale eccezione di prescrizione era stata presentata, poichè per il ricorso in cassazione va rispettato il principio di autosufficienza dello stesso.

Invece la ricorrente anche nel primo motivo del ricorso per cassazione si limita genericamente a sostenere di avere eccepito….

"nel corso del giudizio di primo grado" la prescrizione, "senza tuttavia che il tribunale si sia pronunziato su tale eccezione" (pag.

7).

Il mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, nei termini suddetti, rende il motivo inammissibile.

3.3. Nè può fondare una diversa conclusione l’assunto della ricorrente a pag. 9 del ricorso secondo cui tale eccezione "venne puntualizzata dall’Arin nella comparsa conclusionale depositata il 12.11.2007".

Infatti, ove la detta eccezione non fosse stata prospettata, anche tenendo conto del rito all’epoca vigente, quanto meno con la precisazione delle conclusioni, la sola proposizione della stessa con la comparsa conclusionale di cui all’art. 190 cod. proc. civ. (che ha la sola funzione di illustrare le domande e le eccezioni già ritualmente proposte), avrebbe comportato che il primo giudice non potesse e non dovesse pronunciarsi al riguardo e che il giudice di appello avrebbe dovuto in ogni caso dichiarare inammissibile la censura di omessa pronunzia (Cass. 05/08/2005, n. 16582).

3.4. L’inammissibilità della censura avverso la prima delle due rationes decidendi che autonomamente sostengono il rigetto del motivo di appello attinente alla prescrizione rende inammissibile anche la censura avverso la seconda ratio.

Infatti va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la decisione impugnata si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle "rationes decidendi" rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 24/05/2006, n. 12372; Cass. 16/08/2006, n. 18170; Cass. 29/09/2005, n. 19161).

4. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2692 e 2909 c.c., violazione e falsa applicazione del D.L. 28 dicembre 2006, n. 300, art. 3, comma 3, anche in relazione alla sentenza della corte costituzionale n. 24 del 30.1.2009, violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., ed artt. 1362 e 1366 e 1371 c.c..

Assume la ricorrente che nella fattispecie lo I. aveva accettato l’indennità di esproprio espressamente rinunziando a qualsiasi altra pretesa relativa anche all’occupazione temporanea che la sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2009, che aveva subordinato la validità delle rinunzie a quella del decreto di esproprio era invece intervenuta solo nel corso del giudizio davanti al TSAP; che nella fattispecie la circostanza che il decreto di esproprio era intervenuto in costanza di occupazione legittima era pacifico, tra le parti e che lo stesso TRAP aveva rilevato che era "stato tempestivamente emesso il decreto di espropriazione del 29.8.2003".

5. Il motivo è infondato.

Come queste S.U. (n. 7035 del 24/03/2009) hanno già statuito, in tema di espropriazione per la realizzazione degli interventi di cui al titolo 8^ della L. n. 219 del 1981, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2009, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 300 del 2006, art. 3, comma 3, conv. in L. n. 17 del 2007, ai sensi del quale i verbali di concordamento dell’indennità di espropriazione e di rinuncia a qualunque pretesa connessa alla procedura di esproprio conservano la loro efficacia "indipendentemente dall’emanazione del decreto di espropriazione", l’accordo raggiunto tra l’espropriante e il proprietario è totalmente inefficace, anche relativamente all’indennità di occupazione legittima, con la conseguenza che alla domanda proposta dal proprietario di un immobile irreversibilmente trasformato e diretta al pagamento dell’indennità per il periodo di legittima occupazione non può opporsi la pretesa rinunzia al suo pagamento contenuta in un verbale di concordamento delle indennità di espropriazione, ove detto verbale sta divenuto inefficace per la tardiva emissione del decreto di esproprio.

5.2. Ne consegue, anzitutto, che è irrilevante che la sentenza della Corte Costituzionale sia intervenuta, quando già era pendente il giudizio davanti al TSAP. Le sentenze della Corte Costituzionale con le quali sia stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di una norma hanno effetto retroattivo ed incidono, pertanto, su tutte le situazioni giuridiche non esaurite. Ne consegue che le suddette sentenze producono i propri effetti su tutti i giudizi in corso e possono essere fatte valere per la prima volta anche in sede di legittimità. Correttamente, quindi, il TSAP ha ritenuto che l’ARIN per poter far valere la rinunzia dello I. all’indennità di occupazione, contenuta nel verbale recante l’accordo sull’indennità di espropriazione, avrebbe dovuto provare che il decreto di esproprio era stato emesso in pendenza del termine finale del compimento delle opere, scaduto il quale la dichiarazione di pubblica utilità diventa inefficace.

5.3. A fronte di tale rilievo la ricorrente assume che era pacifico tra le parti che il decreto di esproprio era avvenuto in costanza dell’occupazione legittima e che tanto emergeva anche dalla sentenza del tribunale.

Sennonchè dalla sentenza impugnata emerge anzitutto (a pag. 9), che lo I. ha contestato l’efficacia della rinunzia proprio fondandosi sulla sopraggiunta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità per decorso del termine: quindi sotto il profilo dell’autosufficienza del ricorso la ricorrente avrebbe dovuto riportare nel ricorso le assunte ammissioni del convenuto sulla validità e tempestività del decreto di esproprio.

5.4. Inoltre la sentenza impugnata ha fondato la sua decisione di rigetto proprio sul rilievo che non era stato provato che il decreto di esproprio era stato emesso in pendenza del termine finale del compimento delle opere, mostrando di scindere tra i termini per il compimento delle operazioni espropriative e quelli di ultimazione dei lavori e quindi di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.

La censura della ricorrente da una parte non investe questa argomentazione giuridica, ma si limita a sostenere che il decreto di esproprio è stato tempestivo, perchè avvenuto in pendenza di occupazione legittima e dall’altra, però, non assume di aver provato documentalmente la data fissata per l’ultimazione dei lavori, alla quale scadenza il TSAP ha collegato la perdita di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità e, quindi, di validità del decreto di esproprio.

6.Con il ricorso incidentale I.R. lamenta che è stato rigettato il suo motivo di appello con il quale lamentava che erroneamente l’indennità di occupazione sia per la fascia sottoposta ad occupazione permanente preordinata all’esproprio, sia per le fasce laterali asservite al cantiere ed al transito era stata calcolata sull’indennità di esproprio, depurata però del 50% riconosciuto dalla L. n. 865 del 1971, art. 12, per il "concordamento bonario".

7. Il motivo è fondato.

Queste S.U (n. 24303 del 01/12/2010) hanno statuito che l’indennità di occupazione legittima, che, in base alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, comma 3, è pari, per ciascun anno di occupazione, ad un dodicesimo dell’indennità che sarebbe dovuta per l’espropriazione dell’area da occupare, "calcolata a norma dell’art. 16" della stessa legge, va commisurata alla definitiva indennità di espropriazione effettivamente dovuta, dovendo ad essa attribuirsi quella stessa qualificazione di indennità provvisoria che si rinviene nell’art. 12, comma 1, della medesima Legge n. 865, il quale rinvia, per la relativa determinazione, proprio all’art. 16 anzidetto. Siffatta determinazione non trova deroga nell’ambito della disciplina indennitaria posta dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80, il cui carattere speciale non è elemento sufficiente a spezzare il nesso logico ed economico che, per legge, lega tutte le indennità, sia di espropriazione che di occupazione legittima, posto che la anzidetta normativa di riferimento, fissa l’entità delle indennità di occupazione in misura strettamente percentuale all’indennità di espropriazione parimenti dovuta.

Il suddetto principio è stato affermato tanto per l’indennità di occupazione legittima del suolo destinato all’esproprio quanto per quello utilizzato per le fasce laterali occupate per le necessità del "cantiere" e transito (come nella fattispecie). Esso è da condividere, poichè si fonda sulla considerazione che – in presenza di legittimo procedimento di occupazione e di esproprio – il sistema prevede un nesso (logico e, soprattutto, economico) che, per la legge, lega, sempre e comunque, tutte le indennità (sia di espropriazione che di occupazione legittima), con la conseguenza che le disposizioni attinenti alle indennità da occupazione provvisoria legittima, perchè tendono al ristoro del reddito perduto durante l’occupazione del bene, non possono che fissare l’entità delle indennità di occupazione in misura strettamente percentuale all’indennità di espropriazione parimenti dovuta: quella annuale di "un dodicesimo" corrisponde, infatti e comunque, ad una redditività predeterminata in misura percentuale fissa (8,33% all’anno) dallo stesso legislatore, a cui va aggiunto l’aumento del 50% per il concordamento bonario di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 12.

Tale principio va qui ribadito, dovendosi solo specificare che qui non rileva se il decreto di esproprio sia stato tempestivamente emesso (rilevante – invece – in relazione alla tematica affrontata da Corte cost. n. 24/2009), ma solo se l’indennità di espropriazione sia stata effettivamente accettata e quindi sia dovuta con l’aumento del 50% per il concordamento bonario.

Rimane, invece, fuori da questa regolamentazione il caso di imposizione di fatto di servitù pubblica di acquedotto, a seguito di realizzazione dell’opera idraulica senza una procedura ablatoria, in cui, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte trova applicazione analogica l’art. 1038 cod. civ., che distingue, ai fini della determinazione dell’indennità, tra le parti fisicamente occupate dall’opera idraulica e quelle costituenti le cosiddette fasce di rispetto necessarie per lo spurgo e per la manutenzione delle condotte, stabilendo che per le prime sia corrisposto al proprietario l’intero valore e per le altre soltanto la metà di tale valore (Cass.S.U. n. 51 del 13/02/2001).

Quindi va accolto il ricorso incidentale.

8. L’accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale comporta anche l’accoglimento del secondo motivo, con cui il ricorrente incidentale lamenta che la Corte di merito ha disposto la compensazione delle spese del grado sulla base della reciproca soccombenza.

Essendo tale soccombenza dello I. venuta meno, in favore dello stesso vanno liquidate anche le spese del grado di appello.

9.In definitiva, va rigettato il ricorso principale e va accolto il ricorso incidentale. Va cassata in relazione, l’impugnata sentenza e, decidendo la causa nel merito, va condannata l’ARIN a corrispondere allo I. le indennità di occupazione legittima per la fascia sottoposta successivamente ad esproprio e per le fasce laterali asservite al cantiere, per ciascun anno, in misura pari ad un dodicesimo dell’indennità dovuta per l’espropriazione, comprensiva della "maggiorazione del 50% per la cessione volontaria". La ricorrente principale va condannata al pagamento delle spese del grado di appello e del giudizio di cassazione in favore del resistente.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale. Cassa, in relazione, l’impugnata sentenza e, decidendo la causa nel merito, condanna l’ARIN a corrispondere a I.R. tutte le indennità di occupazione, per ciascun anno, in misura pari ad un dodicesimo dell’indennità dovuta per l’espropriazione, comprensiva della "maggiorazione del 50% per la cessione volontaria".

Condanna l’Arin al pagamento in favore di I.R. delle spese processuali da quest’ultimo sostenute per il grado di appello, liquidate in complessivi Euro 4000,00, di cui Euro 300,00 per spese, Euro 1200,00 per diritti ed Euro 2500,00 per onorario, e del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3500,00, di cui Euro 200,00, per spese, oltre, per entrambe, spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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