Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-10-2011) 24-11-2011, n. 43363

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il GUP del Tribunale di Modica con sentenza resa il 23 gennaio 2009, all’esito di giudizio abbreviato, condannava F. A., F.E. e F.M., imputati, in concorso tra loro, del reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 23, commi 2 e 3, per la detenzione ed il porto in luogo pubblico di un fucile a canne mozze con matricola abrasa ed una pistola cal. 7,65, nonchè del reato di omicidio volontario in danno di D.G., attinto dai colpi delle armi anzidette, alla pena, i primi due, di anni venti di reclusione ed Euro 500,00 di multa e l’ultima, contestato a suo carico il concorso di cui all’art. 116 c.p., alla pena di anni sedici di reclusione ed Euro 500,00 di multa. Con la stessa sentenza il GUP condannava, altresì, P.G., imputato degli stessi reati e dell’omicidio a titolo di concorso di cui all’art. 116 c.p., alla pena di anni dodici di reclusione ed Euro 1000,00 di multa, ritenuta per tutti gli imputati la continuazione tra le condotte ed applicata la diminuente del rito. Tutti gli imputati venivano infine condannati al risarcimento del danno in favore delle numerose parti civili costituite ed alle sanzioni accessorie previste dalla legge.

2.1 La Corte di Assise di Appello di Catania, ritualmente adita da ciascuno degli imputati, in data 25.3.2010, pur confermando la ricostruzione della vicenda operata in prime cure e pur condividendo i giudizi di colpevolezza ivi espressi, in riforma della sentenza impugnata riconosceva, in favore di F.A., F. E. e F.M., l’attenuante della provocazione, ritenuta, per i primi due, equivalente alla contestata recidiva e, per F.M., aggiuntiva a quella di cui all’art. 116 c.p., già riconosciuta in prime cure e con i medesimi effetti di prevalenza sulla contestata recidiva. Sempre in riforma della sentenza impugnata la Corte territoriale riqualificava la condotta consumata da P. G. e di cui al capo b) della rubrica, in favoreggiamento personale con esclusione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 2 e per l’effetto delle esposte diverse delibazioni, rideterminava la pena a carico di F.A. e F.E. in anni quindici e giorni venti di reclusione ciascuno, quella a carico di F.M. in anni dieci di reclusione e la pena a carico del P. in anni quattro di reclusione ed Euro 600,00 di multa, confermando nel resto la sentenza appellata, vi comprese le condanne risarcitorie in favore delle pp.cc, dalle quali escludeva P. G., attesa la riqualificazione giuridica della sua condotta.

2.2 I giudici di merito – sulla base del verbale di arresto degli imputati, delle dichiarazioni dagli stessi rese nell’immediatezza dei fatti ed in sede di interrogatorio di garanzia, delle intercettazioni eseguite sull’apparecchio di F.A. nell’ambito di diverso procedimento penale, delle testimonianze acquisite da parte dei vari protagonisti della vicenda ed in particolare di G. K., testimone oculare dell’omicidio e degli spari tanto da essere da essi coinvolta marginalmente subendo lievi lesioni personali unitamente alla figlioletta in quei frangenti tenuta in braccio – concordemente, ricostruivano i fatti di causa nel modo seguente.

2.3 Tra D.V. e la famiglia F. da tempo si erano creati rapporti di forte contrasto per l’atteggiamento litigioso e minaccioso della vittima – tossicodipendente e comunque assuntore di sostanze stupefacenti – nei confronti dei F., ai quali insistentemente chiedeva fornitura di metadone. Il D. viene descritto dai giudicanti come piccolo pregiudicato a fronte dei F., viceversa gravati da precedenti gravi e molteplici a riprova di una ben più consistente caratura criminale e coinvolti in reati contro il patrimonio, contro la persona ed in traffici illeciti di stupefacenti.

Intorno alle ore 19,50 gli imputati apprendevano telefonicamente che D.V. aveva scagliato una grossa pietra contro la finestra dell’abitazione dei genitori, infrangendola, e subito dopo aveva minacciato la loro madre, C.R., procurandole anche lesioni al braccio. A questo punto i prevenuti decidevano di affrontare l’aggressore preventivamente armandosi di un fucile a canne mozze con matricola abrasa e di una pistola semiautomatica e poi cercandolo a bordo della loro autovettura. Trovatolo finalmente, i tre affrontavano l’avversario, il quale, incurante di loro e delle armi (almeno il fucile fu immediatamente mostrato) rivolse ai rivali un tono di sfida, immediatamente raccolto da F.A. che ingaggiò con l’antagonista una violentissima colluttazione – i cui segni furono lasciati sul volto della vittima come provato dall’esame autoptico – nel corso della quale colpì al piede il contendente con un colpo di fucile. In aiuto del fratello intervenne a questo punto F.E., la quale sparò due colpi di pistola da brevissima distanza provocando la morte di D.G..

2.4 Sulla base di detta ricostruzione hanno ritenuto i giudici di merito provato il dolo omicidiario, dappoichè, armandosi per una sorta di spedizione volta a riparare l’ingiuria portata dalla vittima alla loro madre e, con essa, anche una serie di altre condotte violente in danno anche dei loro beni, gli imputati non potevano non rappresentarsi la possibilità di utilizzare dette armi micidiali, come puntualmente avvenuto, e le conseguenze di tale utilizzo.

I giudici territoriali hanno, altresì, escluso la ricorrenza, nella fattispecie, della esimente difensivamente invocata della legittima difesa, sul rilievo che furono gli imputati a cercare la vittima portando con sè le armi, con ciò determinando la situazione di pericolo che avrebbero invece potuto ben evitare e che v’è sproporzione tra la condotta aggressiva e quella difensiva. Le istanze di merito, inoltre, hanno dato credito alla testimonianza di G.K., teste oculare delle fasi relative alla colluttazione ed alla sparatoria, e negato viceversa credibilità alle dichiarazioni degli imputati, volte a negare ogni responsabilità delle sorelle e ad accreditare quella di F.A. come esecutore materiale degli spari omicidi.

Per la gravità dei fatti contestati e dei numerosi e gravi precedenti a loro carico, gli imputati non sono stati ritenuti meritevoli, infine, sia in prime cure che in fase di appello, della concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3. Avverso la pronuncia di secondo grado propongono ricorso per cassazione tutti gli imputati ad eccezione di F.M..

3.1 Denuncia F.A., con un unico ma articolato motivo personalmente illustrato, insufficiente motivazione e violazione di legge in ordine alla valutazione del materiale probatorio acquisito al processo.

Deduce in particolare il ricorrente che:

– la Corte di merito ha omesso di considerare e valutare gli esiti delle indagini difensive e nello specifico, le dichiarazioni dei testi C.R., B.P., M.G., I.M., tutte rilevanti ai fini di accreditare le tesi difensive sulla legittima difesa, sulla mancanza di dolo omicidiario e sulla inipotizzabilità di spedizioni punitive;

– la Corte ha assunto a fondamento probatorio privilegiato della sua ricostruzione dei fatti la testimonianza di G.K. nonostante la inverosimiglianza delle sue dichiarazioni puntualmente poste in evidenza difensivamente in sede di gravame di merito;

sulla base degli accertamenti del RIS non spiegano i giudicanti come possa il F.A. essere riscontrato privo di particelle di polvere pirica riferibile al fucile, pacificamente utilizzato e con polvere della pistola, che viceversa non avrebbe usato;

l’esclusione, da parte dei giudici di merito, della esimente della legittima difesa è conseguenza della errata valutazione del materiale probatorio;

le testimonianze raccolte con le indagini difensive dimostrano infatti che gli imputati, lungi dal porsi alla ricerca del D., si erano recati dalla madre per sincerarsi delle sue condizioni e qui, inopinatamente, trovarono la vittima, la quale aveva chiaramente teso loro una trappola per affrontarli fisicamente;

il possesso delle armi non può ritenersi decisivo al fine di escludere la tesi difensiva;

ulteriore conferma della tesi difensiva è l’iniziale sparo alle gambe, posto che, se diversa l’intenzione del F., lo stesso vi avrebbe dato immediata esecuzione, sparando per uccidere e non per ferire e, soprattutto, cercando contesti di luogo e di tempo diversi per eseguire un omicidio;

i colpi di pistola, inoltre, sono stati sparati da distanza molto ravvicinata, a riprova che con gli stessi lo sparatore intendeva difendersi dalla violenza soverchiante messa in campo dalla vittima;

anche in diritto non può essere condivisa la tesi espressa dalla Corte territoriale al fine di escludere la ricorrenza della esimente di cui all’art. 52 c.p., come detto esclusa dai giudicanti per la volontaria creazione della situazione di pericolo da parte dei F.;

nella fattispecie, infatti, la situazione riferibile alla legittima difesa si è creata improvvisamente ed imprevedibilmente in seguito alla reazione violenta della vittima;

in particolare non poteva prevedersi che il D., nonostante la minaccia del fucile, si avventasse contro l’imputato facendo valere la sua netta superiorità fisica;

al momento degli spari omicidi il D. stava avendo il sopravvento sull’imputato e lo stava soffocando;

è questo il momento in cui F.A. recuperò la pistola che aveva con sè e sparò a bruciapelo contro l’avversario uccidendolo;

– palese, a questo punto, lo sviluppo improvviso ed imprevedibile degli accadimenti inizialmente programmati, il crearsi di un pericolo di gran lunga più grave di quello inizialmente prevedibile, che priva di fondamento la tesi dei giudicanti sulla situazione pericolosa creata dagli imputati;

– d’altra parte non può essere privo di effetti ermeneutici la circostanza oggettiva che, mentre per lo stato di necessità la norma impone che la situazione di pericolo non sia stata volontariamente causata, ciò non è previsto esplicitamente dalla norma che disciplina la legittima difesa;

3.1.2 Nell’interesse di F.A. ha proposto, altresì, ricorso per cassazione l’avv. Matteo Melfì, sviluppando quattro motivi di impugnazione, peraltro affidati ad atto fotocopiato in modo da renderli per gran parte poco leggibili.

A. Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al mancato riconoscimento in favore dell’imputato dell’esimente di cui all’art. 52 c.p., considerata la forza fisica del D., la sua indole violenta, la circostanza che girava armato di pistola e che gli spari al piede della vittima dimostrano l’assenza della volontà omicida in capo al prevenuto.

L’imputato inoltre ben può invocare la ricorrenza dell’esimente nella forma putativa, giacchè noto che la vittima girava armata.

Sui punti detti non v’è motivazione nella sentenza impugnata.

B. Col secondo motivo di ricorso deduce l’avv. Maffei che ricorrerebbero comunque nella fattispecie gli estremi dello stato di necessità, avendo l’imputato agito al fine di salvare dal pericolo di una danno ingiusto la propria madre.

C. Col terzo motivo di ricorso il predetto difensore invoca per il suo assistito la disciplina di favore di cui all’art. 114 c.p., considerata la minima rilevanza della condotta imputabile all’imputato, il quale non aveva intenzioni omicide.

D. Col quarto ed ultimo motivo di ricorso lamenta il difensore la mancata concessione all’imputato delle attenuanti generiche, sia sotto il profilo del difetto di motivazione che della violazione di legge, dappoichè non valutate dai giudicanti le motivazioni della condotta tenuta dall’imputato, volta a difendere la madre.

3.2 F.E., assistita dal difensore di fiducia, sviluppa un unico motivo di ricorso, in esso ricomprendendo più temi del processo e censurando di illogicità e contraddittorietà la motivazione su detti punti articolata dalla Corte di merito.

Lamenta in particolare la difesa ricorrente:

A. sulla dinamica e sulla colpevolezza dell’imputata, che:

– non avrebbe logicamente ricostruito la Corte di merito gli accadimenti, tenuto conto dei rilievi difensivi;

– la Corte ha privilegiato la testimonianza di G.K. senza spiegare esaustivamente la ragione per la quale sulle mani di colei che è stata indicata come l’autrice degli spari mortali non siano state trovate tracce di polvere da sparo;

– non può infatti darsi molto credito logico alle tesi sul punto sviluppate dai giudici di merito e cioè che l’imputata avrebbe avuto tutto il tempo, prima di essere fermata, di lavarsi accuratamente le mani, giacchè tempo hanno avuto anche altri protagonisti della vicenda, a cominciare dal maggiore imputato, che non provvide a lavarsi e sul quale sono state rinvenute tracce di polvere da sparo, per finire alla sorella M., che ebbe tempo ben maggiore e sulle cui mani vennero altresì trovate tracce di polvere da sparo;

– insufficiente è altresì la motivazione impugnata là dove non spiega come mai gli spari dell’imputata non abbiano colpito anche il fratello;

– gli spari furono pressocchè a bruciapelo ed uno di essi, quello che attinse la vittima alla cavità addominale, fuoriuscì dalla regione dorso lombare e questo mentre i due corpi erano avvinti, in movimento ed attaccati.

B. Sulla mancata concessione delle attenuanti ex artt. 114 e 116 c.p., che:

– non v’è prova della volontà omicida della F., considerato altresì che le armi erano nella sola disponibilità di F. A.;

– le armi furono ben occultate nell’automobile da F. A.;

– le sorelle accompagnarono il fratello temendo degenerazioni della vicenda;

– questo non comporta la prevedibilità dell’omicidio nei termini illustrati dalla Corte di merito, la quale non ha indicato quando, come e perchè le germane si resero conto della presenza delle armi ed accettarono il rischio del loro utilizzo.

C. Sulla legittima difesa, che:

– anche ad ammettere che a sparare sia stata F.E., l’imputata agì per difender il fratello nel momento in cui stava per essere sopraffatto dalla soverchiante forza fisica della vittima;

– non convincente è la motivazione di merito secondo cui i F. avrebbero creato la situazione di pericolo e questo perchè l’intento vero degli imputati era diverso e cioè quello di impaurire la vittima per portarlo a più miti consigli;

– il D. tese una trappola ai F. per scontrarsi con loro e non si fermò neppure dietro la minaccia del fucile e dei primi spari al piede, portando a termine una violentissima aggressione idonea a cagionare la morte del F.;

D. Sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, che – nessuna motivazione ha sviluppato la Corte di merito in ordine alla richiesta di applicazione in favore dell’imputata delle attenuanti generiche.

3.3 Ricorre infine P.G., con l’assistenza del difensore di fiducia, denunciando, con un unico motivo di impugnazione, violazione dell’art. 78 c.p., dappoichè insussistente nella fattispecie il reato in parola, ritenuto viceversa dal giudice di secondo grado, il quale ha in tal guisa riqualificato la condotta contestata inizialmente all’imputato a mente degli artt. 116 e 575 c.p..

Ad avviso della difesa ricorrente infatti l’imputato ebbe in consegna dal F.A. un involucro al cui interno erano raccolte le armi utilizzate per il precedente delitto, ma il prevenuto non era a conoscenza di tale circostanza, di cui si rese conto soltanto quando, accingendosi ad occultarle, le armi caddero a terra.

4. I ricorsi sono infondati.

4.1.1 Prendendo le mosse dall’impugnazione personalmente proposta da F.A. ed affrontando partitamente le questioni con essa trattate, osserva la Corte, in primo luogo, che non ha precisato il ricorrente la decisività delle dichiarazioni testimoniali raccolte con le indagini difensive e delle quali si denuncia la mancata considerazione da parte della Corte di merito, ed analoga valutazione di genericità ed aspecificità merita, altresì, la censura illustrata per conto dell’imputato in relazione alla testimonianza di G.K., la cui inverosimiglianza è stata difensivamente affermata in termini apodittici.

Quanto invece alle argomentazioni spese dall’istante in ordine agli esiti degli esami del RIS circa le tracce di polvere da sparo sullo stesso rilevate, non può non rilevarsene il travisamento a scopo difensivo, giacchè la polvere rilevata dallo stub è stata giudicata dai rilevatori come composita, con ciò smentendo l’assunto difensivo. La sentenza in esame usa infatti l’espressione "tracce residuate allo sparo, anche se non univoche in tal senso". Del tutto logicamente, pertanto, la considerazione che, comunque, l’imputato si è accusato degli spari di entrambe le armi, ha indotto la Corte territoriale, da una parte, a considerare la necessità di una valutazione critica del dato e, dall’altra, a richiamare la regola di comune esperienza secondo le quali, chi è aduso all’uso delle armi (e gli imputati lo sono) sa bene come liberarsi delle relative tracce all’occorrenza. Trattasi di argomentazione coerente con le regole della logica, oltre la quale v’è spazio soltanto per giudizi di merito, non casualmente evocati diffusamente dal dire difensivo.

Per il resto le deduzioni del ricorrente appaiono in fatto, palesemente volte ad offrire al giudicante una ricostruzione della vicenda diversa ed alternativa rispetto a quella motivatamente accreditata dai giudici di merito. Tale è la tesi secondo la quale le armi avrebbero dovuto servire ad intimorire semplicemente la vittima, rissosa e violenta, ovvero quella che la condotta tenuta dal F., il quale solo avrebbe portato con sè e solo avrebbe utilizzato le armi, fu determinata dalla esclusiva volontà di difendersi da una ingiusta aggressione che stava per concludersi per l’imputato in modo esiziale.

Giova qui allora ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, con la conseguenza che ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone;

Cass. 6.05.03 Curcillo).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha logicamente ed esaustivamente ritenuto la inverosimiglianza delle tesi difensive appena riferite, ponendo in serie fattuale logicissima l’offesa gravissima portata dalla vittima alla genitrice degli imputati, la volontà di rivalsa rispetto a questo accadimento e ad altri similari già in passato sopportati dalla famiglia F., l’essersi armati di tutto punto con pistola e fucile a canne mozze certamente non facilmente occultabili e, soprattutto, non contestualmente utilizzabili nel corso di una violenta colluttazione quale quella che impegnò F.A. e la vittima.

Del pari correttamente ha poi escluso la Corte di merito la ricorrenza nella fattispecie della esimente della legittima difesa, in considerazione proprio dello sviluppo fattuale della vicenda, motivatamente richiamando la circostanza che furono gli imputati a cercare il confronto-scontro con la vittima armati di strumenti micidiali e cha palese appare, nel caso in esame, la sproporzione tra condotta della vittima e quella degli imputati.

4.1.2 In riferimento, infine, alle censure articolate dal difensore di fiducia del F., osserva la Corte che trattasi di argomentazioni (innanzi sintetizzate al par. 3.1.2) palesemente generiche ed aspecifiche, anch’esse volte ad una peraltro sintetica riproposizione dei fatti di causa alterativa a quella puntualizzata dai giudicanti territoriali.

Non proposti poi in sede di gravame di merito risultano essere le tesi relative alla legittima difesa putativa e quella volta all’applicazione della disciplina di favore di cui all’art. 114 c.p., mentre, per quanto riguarda la critica della motivazione di seconde cure circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non può non rilevarsene la manifesta infondatezza in considerazione dell’ampia e compiuta trattazione sul punto della sentenza impugnata, perfettamente in linea con gli insegnamenti di questa Corte, anche di recente autorevolmente ribaditi (Cass., Sez. Unite, 25/02/2010, n. 10713).

4.2. Venendo ora all’impugnazione depositata da F.E., reitera il Collegio argomentazioni e considerazioni già innanzi articolate a margine della doglianza, dialetticamente parallela, del coimputato F.A..

Anche la ricorrente detta lamenta infatti la insufficiente motivazione della sentenza impugnata, dappoichè non considerate le tesi difensive, del pari premettendo la critica della valorizzazione giudiziale della testimonianza resa da G.K. e replicando la circostanza dell’assenza di polvere pirica sulle mani al rilevamento effettuato sulla sua persona.

Non può pertanto che ribadirsi, anche con riferimento a questo ricorso, la natura di merito delle istanze difensive e la loro irrimediabile contraddizione con la ricostruzione degli accadimenti motivatamente operata dai giudici di merito, di per sè escludenti ogni ipotesi di parte relativa alla sussistenza di circostanze riferibili all’esimente della legittima difesa, ovvero a quelle di cui agli artt. 114 e 116 c.p..

Se comune fu il proposito di rivalsa, se cosciente fu il trasporto di armi, se mortali furono i colpi sparati dall’imputata, come logicamente e motivatamente ritenuto dalle istanze di merito innanzi riportate, non v’è spazio per le tesi pervicacemente sostenute dalla difesa.

Va infine richiamata la censura di F.E., peraltro apodittica e non meglio illustrata, circa l’immotivato rigetto della sua richiesta di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, censura manifestamente infondata dappoichè ampiamente motivata dalla Corte di merito le ragioni del diniego.

4.3 Anche le doglianze di P.G. si appalesano infondate.

Ed invero la tesi difensiva secondo cui non sussisterebbe nel caso di specie il reato di cui all’art. 378 c.p., ritenuto dalla Corte in luogo di quello più grave di concorso in omicidio del quale il ricorrente era stato giudicato colpevole in prime cure, non appare sostenuta da adeguata motivazione ed idoneo argomentare, mentre il rilievo che non avrebbe l’imputato avuto contezza del contenuto dell’involucro consegnatogli dall’imputato F.A. dopo lo scontro con la vittima, è detto in fatto, a fronte della logica considerazione che le telefonate intercettate tra il P. ed il F. nell’imminenza degli accadimenti, il nascondiglio delle armi dal medesimo conosciuto, l’antica frequentazione tra i due, sono dati e circostanze che depongono decisamente per una sua piena consapevolezza di avere con sè armi di cui conosceva bene natura, qualità e scopi.

5. Alla stregua delle esposte considerazioni i ricorsi devono pertanto essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p. ed alla rifusione, in solido, delle spese sostenute dalle parti civili costituite, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, in solido, a rifondere le spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili, che liquida in complessivi Euro 4000,00, onorari compresi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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