Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 07-06-2012, n. 9186 Procedimento e sanzioni disciplinari:

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’avv. V.P. ha impugnato, davanti alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, la decisione del Consiglio Nazionale Forense del 21.2.2011, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto avverso la decisione della stesso Consiglio Nazionale Forense n. 68 del 3.7.2008, che aveva accolto parzialmente l’appello dell’interessata, con la riduzione della sanzione infittale dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Trieste, da mesi cinque a mesi due di sospensione dall’esercizio della professione. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

La ricorrente ha anche presentato memoria.

Motivi della decisione

In primo luogo deve rilevarsi che anche le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono soggette all’obbligo di motivazione sancito per ogni provvedimento giurisdizionale dall’art. 111 Cost., comma 6.

Pertanto, il vizio di violazione di legge, per il quale tali decisioni sono censurabili davanti alle Sezioni Unite della Corte di cassazione comprende anche il difetto di motivazione, riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), richiamato dall’ultimo comma del medesimo articolo (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2), che si traduca in omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi dedotti dalle parti o rilevabili d’ ufficio, senza che la deduzione di tale vizio possa essere intesa ad ottenere un riesame delle prove e degli accertamenti di fatto operati dai Consiglio ed un nuovo apprezzamento della loro rilevanza rispetto alle imputazioni (S.U. 12.3.2008, n. 6529).

Ed anche nel caso in cui sia prospettato l’omesso od insufficiente esame delle istanze istruttorie dirette a dimostrare i richiamati punti decisivi della controversia, è necessario che il ricorso faccia riferimento, a pena di inammissibilità, alla esposizione del contenuto delle richieste probatorie non accolte; ciò consentendo al giudice di legittimità il controllo della loro rilevanza ai fini di una diversa decisione della controversia in conseguenza dell’espletamento delle prove dedotte (S.U. 7.12.2006 n. 26182; S.U. 30.4.2008 n. 10875).

La ricorrente denuncia "carenze di motivazione ed errori di diritto".

In particolare, si contesta:

1) Ai sensi dell’art. 395 1 c.p.c., n., l’erronea interpretazione del concetto di dolo revocatorio, considerato "come una sorta di truffa processuale, anzichè, più correttamente e semplicemente, come un insieme di comportamenti coscienti e volontari della controparte, di rappresentare al giudicante una realtà di fatto che essa stessa sa perfettamente essere divergente dalla verità che è possibile accertare in giudizio, profittando di favorevoli apparenze le quali, pur suscettibili di molteplici interpretazioni, vengono invece dedotte in giudizio come certe ed univoche".

Il motivo è inammissibile per il difetto di uno dei presupposti per la sua applicabilità al caso in esame.

La norma dell’art. 395 c.p.c., n. 1, infatti, prevede l’impugnabilità, con il mezzo della revocazione, della sentenza che sia l’effetto "del dolo di una delle parti in danno dell’altra".

E’, quindi, evidente che il dolo revocatorio deve essere stato posto in essere da una delle parti del processo in danno dell’altra.

Nel caso in esame, il dolo che la ricorrente addebita all’Allianz spa, "comprovato" dalla lettera in data 8.10.2010 proveniente dal vicepresidente dell’Allianz spa, riguarda la condotta di un terzo (appunto Allianz spa), che non è parte del giudizio disciplinare;

come tale l’eventuale suo comportamento scorretto non acquista rilievo ai fini della revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 1.

E ciò si giustifica proprio perchè il dolo processuale rilevante ai fini della revocazione è quello che concerne la condotta di una delle parti del giudizio in danno dell’ altra, e che deve consistere in un’attività deliberatamente fraudolenta, che si sia concretizzata in artifici o raggiri, tali da paralizzare o sviare la difesa avversaria ed impedire al giudice l’accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale (v. anche Cass. 2.3.2010 n. 4936; Cass. 19.9.2008 n. 23866).

L’eventuale condotta scorretta del terzo, quindi, potrà essere fatta valere – sussistendone i presupposti – con strumenti diversi ed in una sede diversa da quella del giudizio di revocazione.

2) La decisione del CNF trascura l’evidente riconducibilità della fattispecie oggetto della chiesta revocazione anche all’art. 395 c.p.c., n. 4.

Ritiene la ricorrente che la lettera del primario della clinica di (OMISSIS), Dott. G., già agli atti del procedimento disciplinare, deponga inequivocabilmente nel senso di escludere la sussistenza del fatto contestato all’incolpata (alterazione di documenti medici di quella clinica) e posto a fondamento della censura disciplinare.

"L’avere, quindi, da parte dell’organo giudicante, attribuito priorità e credibilità a un’affermazione proveniente da soggetti non legittimati, anzichè alla dichiarazione formale di chi rappresenta l’ufficio medico autore della documentazione oggetto di giudizio, senza nemmeno porsi il problema del valore di tali dichiarazioni, appare frutto di un macroscopico errore procedurale, tale da aver condotto l’organo medesimo a percepire erroneamente i fatti di causa".

Il motivo non è fondato.

L’errore di fatto censurabile ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, consiste nell’inesatta percezione, da parte del giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo (v. anche Cass. 3.8.2007 n. 17057).

Nel caso in esame, invece, non tanto si imputa l’erronea percezione delle circostanze derivanti dal documento di cui si è fatta menzione, ma una sua erronea, od omessa, valutazione da parte dell’organo disciplinare; il che è al di fuori dell’ambito revocatorio.

Sotto questo profilo, deve anche evidenziarsi che il punto non ha costituito oggetto di disamina da parte del Consiglio Nazionale Forense, che non ne ha neppure fatto menzione nella decisione.

Nè la ricorrente denuncia di avere formulato la domanda di revocazione sotto questo profilo, – con la conseguente, eventuale omessa decisione sul punto da parte del Consiglio Nazionale Forense, nè riporta, in ricorso, il contenuto del documento; rilievi questi che depongono per l’inammissibilità delle relative censure sotto i profili della novità della domanda e del difetto del requisito dell’autosufficienza.

3) La lettera del Vicepresidente dall’Allianz spa deve essere considerata sopravvenienza utile ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3.

Il documento – lettera del vicepresidente dell’Allianz spa in data 8.10.2010 – secondo la tesi della ricorrente – non ha potuto essere prodotto per fatto dell’avversario, che volutamente non ha "consacrato nel documento una propria dichiarazione che scagionava l’attuale incolpata, impedendo alla stessa la sua produzione nel procedimento disciplinare".

La rilevanza del documento sta in ciò che lo stesso costituisce la prova del dolo sfuggito al C.N.F..

Il motivo non è fondato.

Il presupposto della domanda di revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., comma 3, è che il documento decisivo, non potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario, preesista alla sentenza impugnata (Cass. 8.6.2011 n. 12530; S.U. 25.7.2007 n. 16402).

Nel caso in esame il documento è datato 8.10.2010, mentre la sentenza impugnata con la revocazione è del 3.7.2008.

Sotto questo primo profilo, pertanto, difetta l’elemento della preesistenza.

Ma ciò che è dirimente è che nella lettera del vicepresidente dell’Allianz spa, inviata nell’ambito di una corrispondenza intercorsa con l’odierna ricorrente, – per quel che è dato ricavare dalla sola parte espositiva del fatto contenuta nella sentenza impugnata -, della quale non è riportato in ricorso neppure il tenore, nulla si dice in ordine alla contestazione mossa alla professionista di avere consegnato ad incaricati della Compagnia di assicurazioni documenti difformi da quelli conservati presso la clinica di (OMISSIS); ragione per la quale, a parte la sua formazione successiva, nessuna rilevanza in termini di decisivita può essergli attribuita.

Il requisito della decisività dei nuovi documenti rinvenuti dopo la sentenza, richiesto per l’impugnazione per revocazione a norma dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 3, infatti, ne postula la diretta attinenza a fatto risolutivo per la definizione della controversia e, pertanto, va esclusa, con riguardo all’atto che sia in grado di offrire meri elementi indiziari, utilizzabili solo per una revisione del convincimento espresso dalla sentenza revocanda, in esito ad un riesame complessivo del precedente quadro probatorio coordinato con il nuovo dato acquisito (Cass. 22.7.2004 n. 13650; Cass. 29.4.2004 n. 8202).

Nè in tale documento – per quel che è dato comprendere dalla sua parziale indicazione nella decisione impugnata – vi è riferimento alcuno alla difformità documentale, ma solo ad una diversa valutazione della documentazione esibita. Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *