Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 07-06-2012, n. 9185 Connessione di cause Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- R.M.A., dipendente del Comune di Erba ed inquadrata nell’organico del personale con posizione di dirigente, ricorreva al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia per l’annullamento della Delib. Giunta 19 dicembre 2005, n. 177 avente ad oggetto la riorganizzazione della struttura degli uffici comunali. La stessa, con successivi ricorsi per motivi aggiunti, impugnava anche ulteriori delibere, in particolare quelle con le quali era stata dapprima determinata la nuova dotazione organica del personale, poi era stata annullata la sua nomina a dirigente ed, infine, era stato disposto il suo collocamento in disponibilità, chiedendo la reintegrazione nella originaria posizione dirigenziale o, in subordine, in altra analoga posizione.

2. Il TAR Lombardia con sentenza del 18.12.08 accoglieva parzialmente il ricorso, annullando le delibere di giunta con cui il Comune di Erba in sede di autotutela: a) aveva annullato l’art. 56, comma 3, del regolamento sull’ordinamento degli uffici comunali che consentiva l’accesso alla dirigenza al personale interno privo di laurea (Delib.

20 marzo 2006, n. 49), b) aveva indetto il concorso per dirigente finanziario vinto dalla R. (Delib. 6 giugno 2006, n. 94).

Dichiarava, invece, inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso (terzo per motivi aggiunti) contro i provvedimenti con cui era stato revocato l’incarico dirigenziale (decreto sindacale n. 89 del 7.07.06) e la R. era stata collocata in disponibilità (Delib. di giunta 12 luglio 2006, n. 116), la cui cognizione rientrava nella giurisdizione del giudice ordinano.

3.- Contro questa sentenza proponeva appello la R.. Il Consiglio di Stato, 5^ Sez. giurisdizionale, con sentenza del 28.05.10 n. 3403, accoglieva parzialmente l’impugnazione ritenendo erronea la statuizione nella parte in cui il TAR Lombardia aveva declinato la propria giurisdizione; accoglieva, inoltre, l’istanza subordinata con cui l’appellante aveva chiesto di essere reintegrata in analoga posizione dirigenziale a decorrere dalla data del 23.06.06, nella quale era stata privata dell’originario incarico.

Gli atti impugnati per i quali il TAR aveva dichiarato la carenza di giurisdizione (oggetto del terzo ricorso per motivi aggiunti, decreto sindacale n. 89 del 7.07.06 e Delib. giunta 12 luglio 2006, n. 116), rientravano infatti nel contesto di una procedura amministrativa unica, mirata a porre la R. nelle condizioni di fatto e di diritto per essere allontanata dal Comune. Questa correlazione rendeva corretto il ricorso al giudice amministrativo, in quanto veniva richiesto non di interferire nelle scelte organizzative e gestionali dell’Ente, nè di giudicare su controversia ormai devoluta al giudice ordinario, ma di riscontrare la connessione, oggettiva ed inscindibile, tra le delibere annullate e gli atti successivi, culminati con il collocamento in disponibilità della dipendente, allo scopo di verificarne la legittimità sotto il profilo dello sviamento di potere, della carenza di istruttoria e dell’ingiustizia manifesta.

Nella specie gli atti in questione (ovvero il decreto sindacale n. 89 del 7.07.06 e la Delib. giunta 12 luglio 2006, n. 116) erano affetti da vizi di istruttoria e di motivazione in via derivata, atteso che le delibere che li avevano preceduti non recavano alcuna indagine in punto di corretto esercizio del potere di autotutela e di annullamento del concorso. Gli stessi atti erano, inoltre, per via autonoma affetti da sviamento di potere, irragionevolezza e ingiustizia manifesta, in quanto strumentalizzati all’estromissione della dipendente-dirigente da qualsiasi servizio comunale, senza considerare la possibilità di destinare la stessa a diverso servizio, anche non apicale.

4.- Avverso questa sentenza il Comune di Erba propone ricorso per cassazione, cui risponde con controricorso e ricorso incidentale R.. Ricorso e controricorso sono notificati anche a Ro.

M.L., cui fu assegnato il posto di dirigente finanziario già occupato dalla R., ed a Z.G., Segretario generale del Comune, che aveva emanato il provvedimento di collocamento in disponibilità della stessa R.. Mentre questi ultimi non hanno svolto attività difensiva, il Comune ha contrastato il ricorso incidentale con autonomo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e documenti ex art. 372 c.p.c..

Motivi della decisione

5.- Il Comune, odierno ricorrente, riassume preliminarmente il complesso iter giudiziario avviato dalla sua dipendente e pone in evidenza che la stessa ha proposto ricorso dinanzi al giudice amministrativo contro i provvedimenti di riorganizzazione della struttura amministrativa comunale (Delib. Giunta 19 dicembre 2005, n. 117) e, successivamente, con ricorsi per motivi aggiunti, ha impugnato anche ulteriori delibere, in particolare quelle con le quali era stata dapprima determinata la nuova dotazione organica del personale, poi era stata annullata la sua nomina a dirigente ed, infine, era stato disposto il suo collocamento in disponibilità ai sensi del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, artt. 33 e 34. Assieme ai ricorsi proposti dinanzi al giudice amministrativo, prosegue il Comune ricorrente, la stessa dipendente ha proposto contemporaneo ricorso anche al giudice ordinario, il quale ha tuttavia ritenuto che fossero devolute al giudice amministrativo la decisione le questioni afferenti la riorganizzazione degli uffici comunali, l’annullamento del concorso ed il collocamento in disponibilità.

Precisa, infine, il Comune ricorrente che la R., una volta emanata la sentenza del TAR Lombardia, ha chiesto di essere riammessa in servizio e che tale richiesta è stata respinta dal Comune, in quanto alla data di pubblicazione della sentenza (19.12.08) era da ritenere ormai cessato il contratto, essendo trascorsi ventiquattro mesi dalla collocazione in disponibilità (Delib. Giunta 12 luglio 2006).

6.- Con il primo motivo di ricorso il Comune di Erba, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, deduce violazione dell’art. 103 Cost., della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 2 e del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63 contestando l’esistenza della giurisdizione amministrativa in merito ai provvedimenti di collocamento in disponibilità dei dirigenti comunali.

La circostanza che il provvedimento con cui il Comune di Erba ha stabilito il collocamento in disponibilità della sig.ra R. sia collegato da consequenzialità ad atti precedenti e presupposti della stessa Amministrazione, non implica che il giudizio di legittimità amministrativa sullo stesso debba essere necessariamente dato dal giudice amministrativo, atteso che in tema di giurisdizione vige il principio della stretta interpretazione e non esiste una vis actractiva che trasporta la giurisdizione sull’atto impugnato verso il giudice dell’atto presupposto.

A sostegno di questa censura parte ricorrente richiama la giurisprudenza di queste Sezioni unite in tema di interpretazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63 che devolve al giudice ordinario le controversie in materia di pubblico impiego contrattualizzato, comprese quelle in materia di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, e sottolinea come la materia su cui specificamente il Tar Lombardia ha rimesso il giudizio alla giurisdizione ordinaria – ovvero la violazione della procedura prevista dal ccnl 23.12.99 e dal D.Lgs. n. 165, artt. 33 e 34 e più in generale il suo diritto alla conservazione del posto di lavoro – sia necessariamente riconducibile alla giurisdizione ordinaria.

7.- Con il secondo motivo di ricorso l’Ente ricorrente sostiene che il Consiglio di Stato con la sua pronunzia avrebbe superato i limiti della giurisdizione, non limitandosi a sindacare le decisioni dell’Amministrazione, ma svolgendo considerazioni di merito, così entrando nel campo dell’amministrazione attiva. E’ quanto l’Ente ricorrente desume dall’affermazione che, nonostante la ritenuta piena legittimità della determinazione della nuova pianta organica, il Comune di Erba avrebbe dovuto pur sempre garantire alla R. un posto di dirigente, ignorando la circostanza che la stessa non era in possesso dei requisiti (titolo di laurea) per accedere alla dirigenza.

8.- Con ricorso incidentale R.M.A. impugna la sentenza del Consiglio di Stato nella parte in cui ha rigettato l’istanza principale di reintegra nel posto precedentemente occupato, atteso che le funzioni dirigenziali inerenti non erano state soppresse, ma erano state assegnate a diverso funzionano (l’avv. Ro.Ma.

L., anch’essa presente in giudizio).

9. La sentenza impugnata pone a sostegno dell’attrazione nella giurisdizione amministrativa degli atti concettualmente rimessi alla cognizione ordinaria (in quanto direttamente attinenti la gestione del rapporto di lavoro della ricorrente) il loro rapporto di concatenazione con gli atti precedenti e presupposti, che il Tribunale amministrativo aveva annullato ritenendoli illegittimi. In particolare, la rapida tempistica decisionale e la logica meramente strumentale ispiratrice dei provvedimenti in esame (ed in particolare del decreto sindacale 7.07.06 con cui, a seguito della riorganizzazione degli uffici, veniva revocato l’incarico dirigenziale di cui era titolare la R.) dimostrerebbero l’unicità della procedura amministrativa, mirata all’unico fine di creare le condizioni di fatto e di diritto per allontanare la R. dal Comune.

Tale correlazione procedurale attrae, ad avviso del Consiglio di Stato, nella giurisdizione del giudice amministrativo anche il giudizio sulla legittimità dei detti atti successivi, atteso che non si trattava ormai di interferire "nel merito delle scelte organizzative e gestionali dell’Ente, ne di giudicare su una controversia inerente ad un rapporto di lavoro dirigenziale ormai devoluta al giudice ordinario, ma di riscontrare l’oggettiva (inscindibile) connessione che evidentemente esisteva tra gli atti sopra citati, a partire dalle due delibere annullate fino a quelli successivi culminati con il predetto collocamento in disponibilità;

… il tutto … al solo scopo di giudicare sulla legittimità delle censure di sviamento di potere, di carenza di istruttoria e di ingiustizia manifesta", dedotte (le censure) nei confronti di tutti gli atti amministrativi della procedura.

10.- Prima di procedere all’esame dei mezzi di impugnazione, il Collegio ritiene opportuno evidenziare alcuni punti fermi cui è pervenuta la giurisprudenza delle Sezioni unite a proposito di riparto della giurisdizione in caso di contestazione del provvedimento con cui l’Amministrazione, a seguito di revisione della pianta organica dei propri uffici, proceda alla revoca dell’incarico dirigenziale conferito precedentemente a proprio dipendente.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 sancisce la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie relative ai rapporti di lavoro pubblico privatizzato, "incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali … ancorchè vengano in questione atti amministrativi presupposti", prevedendo altresì che "quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica se illegittimi" e che "l’impugnazione davanti al giudice amministrativo dell’atto amministrativo rilevante nella controversia non e causa di sospensione del processo" (comma 1).

La giurisprudenza delle Sezioni unite ha ritenuto che la norma trova applicazione anche nel caso in cui l’amministrazione revochi anticipatamente l’incarico dirigenziale mediante l’adozione di un provvedimento non rientrante nelle ipotesi tipizzate dalla legge e dalla contrattazione collettiva, venendo in tal caso in considerazione un atto di gestione del rapporto di lavoro rispetto al quale l’amministrazione stessa opera con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro. Ove di tale atto sia contestata solo l’incidenza mediata sulla naturale prosecuzione del rapporto, prosegue la giurisprudenza, non assume rilievo la circostanza che la revoca consegua alla delibera della giunta comunale di soppressione del settore cui il dipendente era preposto, la quale, se illegittima, può essere disapplicata dal giudice. Infatti, in ragione della sua privatizzazione, nell’ambito di tale rapporto, al di fuori delle ipotesi specificamente prevista dallo stesso art. 63, comma 4 (che delimita le controversie che restano devolute al giudice amministrativo), "non residuano situazioni di mero interesse legittimo del dipendente, ma unicamente situazioni giuridiche soggettive rientranti nell’ampia categoria dei diritti di cui all’art. 2907 c.c., come tali tutelabili avanti al giudice ordinario, anche solo in quanto attinenti, secondo il petitum sostanziale al rapporto di lavoro" (v. da ultimo S.u. 27.12.11 n. 28806, con richiami a numerosi precedenti e, in particolare, a S.u. 24.02.00 n. 41 ed a Corte cost. 23.07.01 n. 275; quest’ultima per la parte in cui afferma che il principio della disapplicazione ed il relativo limite ai poteri del giudice ordinario di fronte ad un atto amministrativo illegittimo non costituiscono una regola di valore costituzionale e che resta rimesso alla valutazione del legislatore ordinario il conferimento ad un giudice, ordinario o amministrativo, del potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione o di incidere sui rapporti sottostanti).

Sempre con riguardo al caso della variazione della pianta organica di un ente pubblico ed avendo a riferimento il sistema di riparto della giurisdizione delineato da detto D.Lgs. n. 165, art. 63, comma 1, le Sezioni unite hanno affermato tuttavia che non è consentito al titolare del diritto soggettivo che risente degli effetti di un atto amministrativo, di tutelare il suo diritto scegliendo di rivolgersi indifferentemente al giudice amministrativo per l’annullamento dell’atto, oppure al giudice ordinario per la tutela del rapporto di lavoro previa disapplicazione dell’atto presupposto. In tutti i casi nei quali vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, ove si agisca a tutela delle posizioni di diritto soggettivo in materia di lavoro pubblico, è consentita invece esclusivamente l’instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario, nel quale la tutela è pienamente assicurata dalla disapplicazione dell’atto e dagli ampi poteri a quest’ultimo riconosciuti dal comma 2 dello stesso art. 63 (S.u. 16.02.09 n. 3677 e 5.06.06 n. 13169).

11.- La giurisprudenza ha ritenuto, altresì, che spettano pur sempre alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie nelle quali, pur chiedendosi la rimozione del provvedimento di conferimento di un incarico dirigenziale (e del relativo contratto di lavoro), previa disapplicazione degli atti presupposti, la contestazione investa direttamente il corretto esercizio del potere amministrativo mediante la deduzione della non conformità a legge degli atti organizzativi, attraverso i quali le amministrazioni pubbliche definiscono le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e i modi di conferimento della titolarità degli stessi (v. S.u. 3.11.11 n. 22733 e 9.02.09 n. 3052). In questo caso, infatti, non può operare il potere di disapplicazione previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 1, il quale presuppone che sia dedotto in causa un diritto soggettivo, su cui incide il provvedimento amministrativo, e non una situazione giuridica suscettibile di assumere la consistenza di diritto soggettivo solo all’esito della rimozione del provvedimento.

12.- Passando all’esame del primo motivo del ricorso principale, deve innanzitutto prendersi atto che il petitum sostanziale ab initio avanzato dalla dipendente al giudice amministrativo ha un contenuto composito, in quanto censura sia l’esercizio del potere amministrativo (a proposito della modifica della pianta organica), sia le conseguenze, tutte ricadenti sul rapporto di lavoro, derivanti da tale preteso non corretto esercizio ed è formulato in maniera da porre in risalto la consequenzialità del comportamento dell’Amministrazione, come evidenzia la stessa strategia adottata dall’interessata di inserire nello stesso contenitore processuale, con la tecnica dei motivi aggiunti, le impugnazioni dei singoli atti amministrativi posti in essere in momenti successivi.

Tale intreccio è stato risolto dalla sentenza impugnata sulla base del rilievo, di carattere essenzialmente logico, dell’unicità della procedura amministrativa adottata dall’Ente datore di lavoro, mirata all’unico fine di creare le condizioni di fatto e di diritto per allontanare la sua dipendente. La correlazione procedurale, per connessione, attrarrebbe nella giurisdizione del giudice amministrativo anche il giudizio sulla legittimità degli atti adottati successivamente alla revisione della pianta organica.

13.- La giurisprudenza di questa Corte ritiene che la connessione non costituisca valido strumento per derogare alle regole sulla giurisdizione. Fermo restando il principio generale dell’inderogabilità della giurisdizione per motivi di connessione, essendo il criterio di riparto fondato sulla separazione imposta dall’art. 103 Cost., comma 1, che rimette al giudice amministrativo la giurisdizione per la tutela nei confronti della P.A. degli interessi legittimi e, solo per le particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi (v. S.u. 28.12.07 n. 27169, S.u.

20.04.07 n. 9358, S.u. 13.06.06 n. 13659, S.u. 15.05.03 n. 7621), nel caso di domande e cause tra di loro connesse soggette a diverse giurisdizioni la via da seguire è in via di principio quella di attribuire ciascuna delle cause contraddistinte da diversità di petitum al giudice che ha il potere di conoscerne, secondo una valutazione da effettuarsi sulla base della domanda (v. S.u. 24.06.09 n. 14805 in motivazione, con richiamo a S.u. 18.07.08 n. 19805).

Alcune sentenze, in presenza di controversia rimessa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed interessata parallelamente da domanda consequenzialmente nascente da pretesa di diritto privato, di fronte all’esigenza di decisione unitaria, hanno ritenuto che le norme costituzionali sul giusto processo e sulla sua ragionevole durata di esso (art. 111 Cost.) e sul diritto di difesa (art. 24 Cost.), coordinate con l’art. 103 Cost., escludono la possibilità di scindere il processo in tronconi affidati a giurisdizioni diverse ed impongono il giudizio unitario, di modo che è stata ritenuta prevalente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e si è rimessa allo stesso anche la decisione sulle domande accessorie su cui avrebbe dovuto pronunziarsi il giudice ordinario (S.u. 28.02.07 n. 4636 e 27.07.05 n. 15660).

Di queste pronunzie la giurisprudenza successiva ha richiamato il principio logico insito nel decisum adottato, affermando che, anche senza applicare le norme sulla connessione (che non possono apportare deroghe alle regole della giurisdizione), il giudice del riparto deve in ogni caso tener presenti i principi sottesi alla connessione di una o più cause in materia di competenza (art. 31 c.p.c. e segg.), per risolvere con logica analoga 3a questione di giurisdizione in cui più domande formalmente rientranti nella giurisdizione di giudici diversi confluiscano in unico contesto. Si è, pertanto, affermato che, sia per le domande accessorie, quanto per l’ipotesi di cumulo soggettivo di domande, prevale il potere cognitivo del giudice amministrativo ove egli sia titolare di giurisdizione esclusiva, a fronte della giurisdizione sui soli diritti propria del giudice ordinario. In questo caso, infatti, il giudice amministrativo è titolare di poteri maggiori che non quelli riconosciuti al giudice ordinario (v. la già citata sentenza n. 14805 del 2009, la quale, in sede di conflitto negativo di giurisdizione per il caso di due petita alternativi e non subordinati l’uno all’altro perchè attinenti diverse situazioni soggettive, in applicazione dei principi di logica processuale ha affermato che spetta al giudice con maggiori competenze "decidere più cause unite e/o strettamente connesse aventi ad oggetto in astratto interessi e diritti").

14.- La sentenza impugnata fa derivare l’attrazione delle questioni attinenti gli atti amministrativi che hanno procurato l’allontanamento della sig.ra R. dal Comune di Erba da una oggettiva loro connessione – di carattere consequenziale – con gli atti prodromici annullati dal Tribunale amministrativo, sulla base di un legame esclusivamente logico, non collegato a nessun dato normativo esplicito.

Il Collegio ritiene questo iter argomentativo contrastante con i principi di diritto sopra affermati ed inidoneo a procurare l’assorbimento nella giurisdizione del giudice amministrativa di quelle domande per loro natura sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario. La sentenza impugnata, infatti afferma il complessivo potere cognitivo del giudice amministrativo non perchè di fronte alla composita domanda proposta dalla dipendente riconosca che egli gode di un più intenso potere cognitivo, derivante da giurisdizione esclusiva su diritti soggettivi ed interessi legittimi, prevalente sullo stesso potere che il giudice ordinario può esercitare solo in materia di diritti, ma solo per una serie di considerazioni di carattere esclusivamente logico.

Nella fattispecie in esame, una volta esclusa la rilevanza del criterio della connessione logico-temporale, cosi come inteso dalla sentenza impugnata, il detto rapporto di preminenza giurisdizionale, in forza dei principi generali desumibili dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 gioca tutto a favore del giudice ordinario, in ragione della rimessione della materia alla sua giurisdizione, sia per quel che riguarda gli atti presupposti, sia per quel che riguarda le conseguenze dell’azione amministrativa sul rapporto di lavoro. In particolare, al riguardo va sottolineato che, se nel caso di specie non si pone più un problema di giurisdizione per gli atti presupposti, essendosi ormai consolidata al riguardo la pronunzia del giudice amministrativo, per le doglianze proposte dalla R. a proposito del mancato ricollocamento nell’organico del personale comunale e del collocamento in disponibilità disposto ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 33 e 34 lo stesso Consiglio di Stato non ha smentito il Tribunale amministrativo, che sul punto si era ritenuto privo di giurisdizione.

Del resto, giova menzionare al riguardo la giurisprudenza della Sezione Lavoro che considera atto di gestione del rapporto emanato nell’esercizio dei poteri privatistici la collocazione in disponibilità del pubblico dipendente disposta dall’Amministrazione (Sez. lavoro 18.08.04 n. 16175 e 23.05.06 n. 12098).

15.- Per completezza, dato che la controricorrente ad esso fa richiamo (pag. 28 del controricorso), deve rilevarsi che nel caso di specie non può farsi questione di applicabilità del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, recante il codice del processo amministrativo, atteso che lo stesso è entrato in vigore il 16.09.10 (art. 2) e che il ricorso per cassazione ora in esame è stato proposto anteriormente.

16.- Deve essere, pertanto, accolto il primo motivo del ricorso principale, con assorbimento del secondo.

17.- Quanto al ricorso incidentale deve rilevarsi che il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni rese dal Consiglio di Stato è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del Consiglio stesso, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in indicando o in procedendo (da ultimo S.u. 16.02.09 n. 3688).

Il ricorso incidentale oggi in esame è dunque inammissibile in quanto, nel censurare la pronunzia impugnata per l’omesso accoglimento della domanda principale di ripristino del rapporto di lavoro dirigenziale, prospetta un vero e proprio errore del giudice che, come tale, esula dalle attribuzioni di questa Corte.

18.- Accolto il ricorso principale e dichiarato inammissibile quello incidentale, deve essere cassata la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento e deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale la causa dovrà essere riassunta nel termine indicato in dispositivo.

Le spese del presente giudizio di legittimità debbono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte, pronunziando sui ricorsi, così provvede:

– accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile l’incidentale;

– cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale dispone che la causa venga riassunta entro il termine di mesi tre dalla comunicazione della presente sentenza;

– compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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