Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-06-2012, n. 9382 Assegno bancario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società Siedi s.r.l. ricorre per cassazione in base ad unico articolato motivo avverso la sentenza della Corte d’appello di Potenza n. 338 del 2009 che, in riforma di precedente decisione del Tribunale dello stesso capoluogo, ha disposto il rigetto integrale della sua domanda, parzialmente accolta invece dal primo giudice, introdotta con citazione del 5 marzo 1990 per ottenere pronuncia di condanna dell’allora Banco di Napoli alla restituzione delle somme portate da 184 assegni bancari spiccati sul suo conto, la falsità della cui firma di traenza, palesemente difforme dallo specimen depositato presso l’istituto di credito, era stata accertata in giudizio mediante c.t.u., che era stata rinnovata in sede di gravame, avendo ritenuto la falsificazione difficilmente rilevabile dall’operatore bancario facendo uso dell’ordinaria diligenza. Molti dei titoli erano stati peraltro negoziati da tale M., socio dell’attore, titolare di altro conto presso la medesima filiale del Banco di Napoli, fatto questo che ragionevolmente induceva a ritenere l’affidamento del suo potere d’intrattenere col T. rapporti non meramente esecutivi.

Ha resistito con controricorso Intesa Sanpaolo nella spiegata qualità di successore dell’originario convenuto.

Motivi della decisione

Il primo motivo, denuncia la violazione del R.D. n. 1736 del 1933, artt. 1, 2, 10 e 11, artt. 1176, 2043 e 2697 c.c., deduce vizio della motivazione in ordine all’acritica adesione prestata da parte della Corte del merito alle risultanze della perizia grafica in punto riconoscibilità della falsificazione delle firme di traenza.

Sostiene il ricorrente che il giudice di appello avrebbe obliterato i principi basilari del nostro ordinamento, la particolarità del caso concreto e le sue eccezioni. Ha omesso infine di valutare nella giusta direzione i dati probatori apprezzati. Non ha seguito ulteriore passaggio della consulenza tecnica che l’avrebbe indotta a ritenere la falsità ictu oculi della sottoscrizione dei titoli, non considerando la vicenda nel suo complesso storico-naturalistico in cui si è innestata la falsificazione di ben 191 di essi. Il caso, particolare nei suoi aspetti per l’ingente numero degli assegni dei quali molti intestati allo stesso emittente ed il fatto che erano girati in bianco ovvero cambiati per cassa, avrebbe dovuto indurre ad altro approdo la Corte territoriale che piuttosto ha condiviso acriticamente le conclusioni del c.t.u., non considerando i molti convergenti segni esteriori rilevabili a vista. L’errore di diritto risiede nell’aver ritenuto la banca gravata da responsabilità per impiego di diligenza media – Cass. n. 6524/2000, laddove invece essa non era ordinaria, ma qualificata per la sua qualità professionale rivestita.

Il resistente replica per lrinammissibilità del motivo.

Il motivo induce a revisione dell’apprezzamento di fatto condotto dalla Corte territoriale su tutte le circostanze riferite nel mezzo in esame, senza effettivamente individuare un vizio del percorso motivazionale che ne inficerebbe logicità ovvero puntualità. La sentenza fa buon governo del principio consolidato, cui in questa sede si presta adesione e che s’intende ribadire (cfr. Cass. n. 20292/2001, n. 6624/2010), secondo cui "in caso di pagamento, da parte di una banca, di un assegno con sottoscrizione apocrifa, l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui una tale alterazione sia rilevabile ictu oculi, in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, nè è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo". Facendone buon governo, nella specie, il giudice di merito ha escluso la responsabilità della banca poichè la falsità non era visibilmente rilevabile dal confronto tra la firma apposta sul titolo e quella depositata dal cliente all’apertura del conto corrente, cd.

"specimen". A tale enunciato il motivo non contrappone argomenti di confutazione che inducano alla rivisitazione quanto alla sua correttezza in jure. Ne propone piuttosto diversa applicazione al caso concreto, argomentando le sue doglianze con riguardo a circostanze di fatto che sollecitano evidentemente un riesame del merito.

Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente liquidandole in favore della prima in complessivi Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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