Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-10-2011) 24-11-2011, n. 43445

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 12.2.2011 il gip del Tribunale di Lecce respingeva l’opposizione interposta da C.A. avverso il provvedimento di diniego di istanza di restituzione di terreno, sito in (OMISSIS) alla contrada (OMISSIS), località (OMISSIS) che era stato, il (OMISSIS), sottoposto a sequestro preventivo nei confronti di S.M., ritenuto avere la disponibilità di fatto sulla res, soggetto indiziato di essere a capo di una frangia della Sacra Corona Unita operante nel basso Salento. Detto terreno era stato poi sottoposto a confisca ex D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies con la sentenza che aveva condannato lo S. alla pena di sette anni di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., divenuta definitiva il 21.10.1998. All’esito di udienza camerale, a seguito di incidente di esecuzione promosso dall’istante, il gip riteneva che a fronte della dichiarazione che ebbe a rendere il 14.9.1995 il precedente proprietario del terreno, P. R., marito della C. – secondo cui a seguito del preliminare il terreno passò nella disponibilità dello S. – la scrittura privata 18.12.1997 prodotta dalla C., da cui si evinceva che tra P. e S. era stato convenuto l’annullamento dell’accordo e la restituzione della caparra, cosicchè il bene sarebbe rientrato nella disponibilità del P. -, si profilava sospetta e doveva ritenersi simulata. In primis, perchè l’atto era privo di data certa, poi perchè se effettivamente stipulato il 18.12.1997 doveva intendersi preordinato a sottrarre il bene alla confisca, visto che era già stato sequestrato; se mai poi fosse stato sottoscritto successivamente, come sembrava probabile, andava ritenuto privo di effetti, poichè si era già consolidata la titolarità dello Stato. Ancora, veniva evidenziato che la scrittura in questione portava la firma di S.G., fratello del M., soggetto che non era legittimato a trattare perchè privo di procura; ancora veniva ritenuto del tutto implausibile che la C. avesse atteso fino al 2006, dopo la morte del marito, per rivendicare la titolarità del bene; la stessa non poteva essere ritenuta terza in buona fede, atteso che era perfettamente a conoscenza delle attività illecite poste in essere dallo S. e della effettiva disponibilità del bene in capo al medesimo.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’istante , per dedurre:

2.1 violazione di legge ed in particolare dell’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. b), art. 666 c.p.p., comma 4, essendo stata tenuta l’udienza senza la partecipazione del pm; l’ordinanza andrebbe annullata perchè affetta da patologia riconducibile alle nullità a regime intermedio.

2.2 violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., art. 263 c.p.p., comma 6, art. 648 c.p.p., con riferimento all’art. 240 c.p., D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, art. 1140 c.c.: sarebbe errata l’opinione del gip secondo cui l’istante, ove fosse stata terza in buona fede, avrebbe dovuto esibire la risoluzione del preliminare all’autorità giudiziaria e richiedere la restituzione del bene in sequestro, atteso che ai sensi dell’art. 263 c.p.p., comma 6. il terzo estraneo può promuovere l’incidente di esecuzione dopo che la sentenza che dispone la confisca sia divenuta irrevocabile. Non risponderebbe al vero che lo S. avesse la disponibilità dell’immobile, atteso che la ricorrente aveva prodotto due dichiarazioni attestanti che da oltre dieci anni deteneva uti domina e coltivava il terreno promesso in vendita al prevenuto. Sarebbe poi fondato su mere congetture il ragionamento in base al quale lo S., anche dal carcere, faceva valere la sua signoria sul bene in questione, fino al punto da portare a ritenere che C. e P. abbiano fatto parte di un entourage, supino allo S., tanto da simulare la restituzione del terreno allo scopo di preservare la proprietà del boss. Secondo la difesa quindi si doveva concludere nel senso che quando divenne irrevocabile la sentenza di condanna dello S., cioè il 21.10.1998, il preliminare di vendita era già stato annullato (il 18.12.1997), cosicchè doveva escludersi che fosse nella disponibilità del prevenuto. Nè il bene può ritenersi fosse nella disponibilità dello S. quando fu sequestrato (il 17.5.1996), poichè in quella data S. era detenuto.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di annullare l’ordinanza per mancata partecipazione del pm all’udienza ex art. 666 c.p.p., comma 4.

Motivi della decisione

La conclusione patrocinata dal Procuratore Generale non può essere seguita poichè, pur dovendosi convenire che la decisione impugnata è stata assunta all’esito di udienza senza la partecipazione del pm e che la nullità che ne segue è di ordine generale, rilevabile nei modi e nei tempi previsti dall’art. 180 c.p.p., va rilevato che la stessa andava eccepita immediatamente dopo la constatazione della mancata partecipazione del pm all’udienza camerale, il che non è avvenuto con conseguente sanatoria ex art. 182 c.p.p., comma 2 (cfr. al riguardo la sentenza delle Sezioni Unite 16.7.2009, n. 39060).

Superato il motivo di ordine processuale, va detto che anche il secondo motivo è manifestamente infondato, poichè nessuna forzatura del dato normativo si può apprezzare nel provvedimento impugnato, rigorosamente supportato da compiuta motivazione, facente leva sulla assoluta inaffidabilità della scrittura privata 18.12.1997, vuoi per la tardività della produzione avvenuta solo nel 2006 a quasi dieci anni di distanza, vuoi per il fatto che la scrittura portava la firma di persona ( S.G.) non legittimata a disporre in ordine alla precedente pattuizione intervenuta tra S. M. e P.R., vuoi perchè l’atto in questione, – di retrocessione del bene che era passato dalla disponibilità del P. a quello di S.M. – era privo di data certa, vuoi infine perchè, anche ammesso e non concesso che la scrittura fosse stata stipulata nel 1997, doveva intendersi preordinata alla sottrazione di bene non più nella disponibilità del privato, in quanto fatto oggetto di sequestro. Il rigetto dell’incidente di esecuzione promosso dalla C., quale terzo in buona fede a rivendica del bene sequestrato dallo Stato fin dal 29.10.1996, la cui definitiva acquisizione intervenne con sentenza irrevocabile il 21.10.1998, è corretta e si sottrae alle censure avanzate che svolgono per lo più valutazioni in fatto.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa della ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1,000,00 (mille) alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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