Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-06-2012, n. 9380 Disconoscimento di paternità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A. proponeva azione di disconoscimento di paternità del proprio figlio legittimo nato il (OMISSIS), nel vigore del matrimonio concordatario contratto con O.M.L. dalla quale si era consensualmente separato con verbale omologato nel 2001. Il giudizio veniva instaurato in primo grado con atto di citazione notificato il 15 novembre 2002 nei confronti della moglie e del figlio, rappresentato in giudizio da un curatore speciale.

Deduceva l’attore, ai fini della tempestività dell’azione, di aver appreso della propria impotentia generandi il 29 maggio del 2002 all’esito di accertamenti clinici e chiedeva di provare la circostanza attraverso mezzi di prova orale nonchè che fosse disposta consulenza tecnica d’ufficio medico legale al fine di dimostrare che non era il genitore biologico del minore.

Il curatore speciale deduceva la tardività dell’azione per la risalente consapevolezza di entrambi i coniugi dell’incapacità di procreazione dell’uomo e per l’accordo assunto da entrambi di far crescere come figlio legittimo il minore predetto. Rimaneva contumace in primo grado O.M.L.. Il tribunale rigettava le prove orali dedotte dall’attore in quanto ritenute non rilevanti ai fini della prova della tempestività dell’azione, accoglieva quelle della parte convenuta costituita e considerando non dimostrata la condizione dell’azione richiesta dall’art. 244 cod. civ., rigettava la domanda. Il soccombente proponeva appello, ribadendo le proprie istanze istruttorie, disattese in primo grado e la richiesta di CTU medica in ordine all’accertamento della propria incapacità procreativa fin da prima del concepimento del minore. Chiedeva inoltre di poter produrre un accertamento clinico alla luce del quale emergeva la datazione della propria condizione d’incapacità procreativa.

La sentenza di secondo grado dichiarava inammissibile la produzione, ritenendo che il documento non poteva ritenersi necessariamente di formazione successiva allo spirare dei termini per le deduzioni istruttorie in primo grado, oltre a non essere qualificabile come indispensabile. Nel merito la Corte d’appello osservava che era mancata anche l’offerta di una prova idonea alla dimostrazione della personale e diretta conoscenza della propria impotenti generandi assoluta nel termine richiesto, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di disconoscimento della paternità, atteso che l’unico capitolo di prova formulato fin dal primo grado aveva ad oggetto esclusivamente la datazione dell’accertamento tecnico prodotto davanti al Tribunale. Precisava, infine, la Corte che l’omesso assolvimento dell’onere della prova sulla tempestività dell’azione non poteva essere colmato mediante una consulenza tecnica che attestasse la risalenza dell’incapacità procreativa, non essendo questa la circostanza da provare, ma esclusivamente quella del rispetto del termine infrannuale tra la conoscenza effettiva e la proposizione dell’azione.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione S. A. affidandosi a quattro motivi.

Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Deve, in primo luogo, essere disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza dedotta dalla parte controricorrente O.M.L., in ordine alla mancata trasposizione degli stralci della sentenza di primo grado che hanno integrato per relationem la pronuncia del giudice d’appello. Il ricorso consente di comprendere esattamente le censure rivolte al ragionamento logico giuridico eseguito dal giudice d’appello, sia sotto il profilo della violazione dell’art. 2697 cod. civ. e delle norme processuali che regolano il procedimento di valutazione delle prove nel processo civile (art. 115 e 116 cod. proc. civ.), sia in ordine alla censura relativa al vizio di motivazione della pronuncia di secondo grado. In particolare, con riferimento a tale specifico rilievo, come sottolineato nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. dallo stesso ricorrente, il passo decisivo della sentenza di primo grado, contenente l’esame critico dei riscontri probatori ai fini della decisione, su cui si fonda la relatio nella motivazione della sentenza impugnata, è trascritto all’interno dell’illustrazione del primo motivo di ricorso che ad esso inerisce. Il ricorso deve, in conclusione, ritenersi ammissibile ed i quattro motivi che lo compongono possono essere esaminati congiuntamente, risultando tutti incentrati, per un verso, sulla censura, riconducibile al vizio di violazione di legge, relativa all’errata applicazione del principio dell’onere della prova con riferimento alla circostanza della conoscenza tempestiva della causa ostativa alla paternità biologica, e, per l’altro, attraverso il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, sulla illogicità e contraddittorietà del mancato riconoscimento di decisività delle istanze istruttorie proposte dal ricorrente nei gradi di merito nonchè sulla correlata illogica e contraddittoria valorizzazione delle prove fornite dalle controparti. Per quanto riguarda le censure relative alla violazione dei principi regolatori dell’onere della prova, il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ. correlati all’art. 235 c.c., n. 2, artt. 244 e 2697 c.c., in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 1999 e dell’art. 235 c.c., n. 3 rilevando di aver ampiamente fornito i mezzi di prova idonei a comprovare il momento della conoscenza della propria incapacità procreativa e, aggiungendo, di non essere tenuto a fornire la prova negativa, inammissibile ex lege, della mancata conoscenza anteriore al dimostrato riscontro sanitario dell’impotentia generandi. Le censure relative al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 riguardano le statuizioni della pronuncia di secondo grado relative al rigetto o all’inammissibilità dei mezzi istruttori formulati dalla parte ricorrente, ovvero il rigetto del capitolo di prova orale relativo all’esecuzione dell’indagine clinica sull’incapacità procreativa eseguito entro il termine infrannuale di decadenza dell’azione; il rigetto della richiesta di consulenza tecnica d’ufficio sulla risalenza della patologia e l’inammissibilità della produzione documentale relativa ad altra valutazione sanitaria sulla cronicità della condizione d’impotenza generativa del ricorrente, in quanto mezzi di prova ritenuti decisivi ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova della tempestività dell’azione. E’ stata infine censurata ex art. 360 c.p.c., n. 5 anche la valutazione della deposizione testimoniale espletata su richiesta di una delle parti convenute (il curatore speciale del figlio) nel giudizio di primo grado ed avente ad oggetto la circostanza relativa alla conoscenza della causa d’incapacità procreativa da parte del ricorrente fin dagli anni 1992/1993, in quanto ritenuta inammissibile perche de relato ex partila (la teste aveva riferito di una circostanza appresa dalla moglie del S.) nonchè priva di efficacia probatoria.

I motivi formulati sono tutti infondati.

Per quanto riguarda la violazione dei principi regolatori dell’onere della prova, lamentata dal ricorrente sul rilievo che erroneamente sia stato ad esso richiesto di fornire la prova negativa, consistente nella mancata conoscenza della causa d’incapacità procreativa in una data anteriore al termine di decadenza dell’azione, si deve osservare che la conoscenza di un fatto entro un certo lasso di tempo costituisce, incontestatamente una prova positiva di non disagevole dimostrazione, quanto meno in via presuntiva. Tale prova ha, però, un oggetto specifico ed univoco, la conoscenza, del tutto distinto e non confondibile con la dimostrazione dell’esistenza della causa d’incapacità procreativa. La parte ricorrente ha invece equivocato fin dal primo grado di giudizio su tali due autonomi oggetti dell’accertamento giudiziale, per legge posti in sequenza logica e cronologica non modificabile. L’azione, anche dopo l’intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 170 del 1999), conserva una precisa condizione di ammissibilità, consistente nella prova della conoscenza della incapacità procreativa entro l’anno anteriore alla proposizione della domanda giudiziale di disconoscimento della paternità. Solo al positivo superamento di tale condizione segue la prova dell’effettiva esistenza della predetta incapacità. Nella specie è mancata completamente anche l’allegazione di uno o più fatti univocamente diretti a provare la circostanza della conoscenza tempestiva, essendosi concentrate le istanze istruttorie e le produzioni documentali della parte attrice, attuale ricorrente, a fornire la prova della condizione soggettiva d’impotenza generativa.

Nè può sostenersi, come afferma il ricorrente, che l’avvenuta sottoposizione a controllo sanitario in una certa data possa di per sè solco fornire la prova dell’avvenuta conoscenza solo a partire da quel momento, poichè in mancanza di qualsiasi altro elemento integrativo tale circostanza di fatto non costituisce un indizio sufficiente a fornire indicazioni univoche sull’accertamento relativo al "tempo" della conoscenza della condizione d’incapacità generativa. Tanto meno può sostenersi che a fronte dell’esito di un’analisi clinica che attesti lo stato d’impotenza generativa, gravi sull’altra parte l’onere di fornire la prova contraria dell’intervenuta conoscenza pregressa, come pure sostenuto dal ricorrente, perchè in mancanza della prova diretta della tempestività della conoscenza, nessun onere probatorio è posto a carico dell’altra parte. Pur nel crescente rilievo del c.d. favor veritatis rispetto al favor legitimationis, la conservazione della condizione di ammissibilità dell’azione, con il temperamento dovuto all’intervento manipolatore della Corte Costituzionale, è comunque pienamente valido., ed applicabile, dal momento che il giudice delle leggi non ha censurato la legittimità costituzionale della sottoposizione dell’azione ad un termine di decadenza, ma ne ha stabilito la decorrenza, coerentemente con gli artt. 3 e 24 Cost. e, dal momento della conoscenza dell’incapacità procreativa da parte del titolare dell’azione, ritenendo irrimediabilmente leso il diritto di agire in giudizio nell’ipotesi in cui il termine per il suo esercizio possa decorrere indipendentemente dalla conoscenza dei presupposti e degli elementi costitutivi da cui sorge il diritto stesso. La coerenza costituzionale della condizione di ammissibilità è stata, peraltro ribadita dalla sentenza di questa sezione n. 20254 del 2006, che, sia pure con riferimento alla conoscenza dell’adulterio, ma a fini identici, ha affermato che il favor veritatis non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque. L’art. 30 della Costituzione non ha attribuito alla verità biologica una preminenza indefettibile rispetto alla verità legale, ma, nel disporre al comma 4 che "la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità", ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto di altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonchè di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell’interesse del figlio. Sulla base di queste argomentazioni è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 244 cod. civ., con riferimento agli artt. 2 e 29 Cost., nella parte in cui prevede un termine decadenziale (rilevabile d’ufficio, Cass. 1512 del 2000) per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità.

Sempre in tema d’adulterio, ma con argomentazione perfettamente applicabile anche all’ipotesi d’incapacità procreativa, le pronunce n. 15777 del 2010 e la più recente n. 5653 del 2012 hanno posto in evidenza la netta differenza ed inconfondibilità tra la scoperta dell’adulterio che soggiace al termine di decadenza annuale e l’accertamento dell’incompatibilità genetica tra padre e figlio legittimo che costituisce l’oggetto dell’accertamento successivo, proprio per la perdurante esigenza di bilanciamento tra l’interesse all’accertamento della verità biologica, sotteso alla tutela della filiazione naturale e l’interesse a garantire la certezza degli status ed a non trascurare l’affidamento, derivante da una condizione genitoriale caratterizzata da una lunga stabilità temporale, del figlio in ordine al proprio nucleo affettivo primario, di natura familiare. Pertanto si deve ritenere che correttamente la Corte d’Appello abbia posto a carico della parte ricorrente l’onere di provare la tempestiva conoscenza della causa d’incapacità procreativa e che l’assolvimento di tale onere non possa essere sostituito dal riscontro diagnostico dell’esistenza dell’impotenza generativa eseguito nell’anno antecedente l’azione poichè tale riscontro riguarda i presupposti del fondamento dell’incompatibilità genetica tra padre e figlio legittimo e non la tempestiva conoscenza di tale presupposto legittimante. Si tratta di due elementi di fatto che divergono anche in ordine ai mezzi di prova, essendo solo con riferimento al secondo necessaria e sufficiente un’indagine tecnica di natura clinica mentre nel primo l’oggetto della prova non è l’esistenza di una condizione patologica, ma il momento positivo dell’intervenuta consapevolezza di tale condizione. Non si tratta, dunque, di fornire una prova negativa, pure del tutto ammissibile attraverso la prova positiva contraria (Cass. 23229 del 2004; 384 del 2007), ma, al contrario, di dimostrare l’acquisizione di una conoscenza, in un preciso segmento cronologico, anche mediante il ricorso a presunzioni e senza limitazione nell’articolazione dei mezzi di prova idonei a tale scopo.

La corretta applicazione dei principi regolatori dell’onere della prova nella sentenza impugnata risulta sorretta anche da una motivazione coerente, logica ed adeguata. Pertanto devono essere disattese anche le censure relative al vizio di motivazione sulla valutazione di non decisività delle istanze istruttorie rigettate dal giudice di secondo grado.

Deve, infatti, rilevarsi che la parte ricorrente nella formulazione del motivo non ha in alcun modo dimostrato che la pronuncia sarebbe stata diversa se i mezzi di prova non ammessi avessero avuto ingresso nel giudizio di merito, come invece richiede, con orientamento consolidato la giurisprudenza di legittimità in ordine alla censura ex art. 360 c.p.c., n. 5, relativa al vizio di motivazione (Cass. n. 4178 del 2007; 11457 del 2007; 4369 del 2009; 5377 del 2011). La sentenza di secondo grado ha motivato in modo del tutto adeguato sulla ininfluenza dei medesimi rispetto al contenuto dell’onere della prova incombente sul ricorrente così come sulla valutazione del mezzo di prova testimoniale espletato su richiesta di una delle parti contro ricorrenti, non influente sulla decisione. Del resto la censura relativa al vizio di motivazione non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove eseguito dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a tale giudice di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le istanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, mentre alla Corte di Cassazione è conferito il potere di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.(Cass. 15489 del 2007; 6288 del 2011).

In conclusione il ricorso deve essere respinto e la parte ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali in favore delle parti controricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti che liquida in favore della O. in complessivi Euro 3200 di cui Euro 200 per esborsi, ed in favore del Curatore del minore in complessivi Euro 2800, di cui Euro 200 per esborsi oltre alle spese generali ed accessori di legge.

A norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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