Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-10-2011) 24-11-2011, n. 43443

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 4.2.2011 la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’istanza formulata dalla Procura Generale di revoca dell’indulto ex L. n. 394 del 1974, concesso a P.S. D. con sentenza del 19.3.1992, definitiva dal 11.11.1992, emessa dalla Pretura di Vibo Valentia. L’Istanza muoveva dal fatto che era diventata definitiva la sentenza che aveva condannato il P. per il reato di violazione art. 416 bis c.p., commesso dal (OMISSIS). La corte riteneva che in ipotesi di contestazioni così ampie era necessario verificare la ricorrenza di elementi tali da poter affermare che la condotta delittuosa si fosse estrinsecata in comportamenti posti in essere nel quinquennio di interesse, successivo all’entrata in vigore del Decreto n. 394 del 1990, e che dalla lettura della sentenza non emergeva che l’istante avesse posto in essere alcuna condotta sintomatica della sua partecipazione al sodalizio in detta epoca, cosicchè respingeva l’istanza.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la corte d’appello di Catanzaro, per dedurre violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione, atteso che il reato di associazione a delinquere è reato permanente, perdurante, al di là dei singoli delitti commessi, rilevando la volontà e la persistenza del vincolo; la semplice permanenza del reato impone di ravvisare la causa di revoca prevista dal D.P.R. n. 394 del 1990, art. 4. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto di annullare senza rinvio l’ordinanza, disponendo la revoca dell’indulto.

4. Nelle more è stata depositata memoria difensiva per ribadire che il sodalizio di cui si discute fu operativo dal 1990 al 2007, ma che il P. fu condannato per aver contribuito al reinvestimento delle attività illecite del gruppo, che in particolare egli risultò operativo con una sua impresa individuale sorta nel 1999 e che intratteneva rapporti commerciali con aziende ritenute soccombenti all’attività del gruppo mafioso negli anni duemila.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

I giudici di merito non hanno messo in discussione il principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui ai fini della revoca dell’indulto, in caso di reato permanente, non può tenersi conto solo del momento di cessazione della permanenza, essendo sufficiente che nel quinquennio di interesse sia caduto un qualsiasi frammento del reato (Sez. 1, 8.3.2000, n. 1746), ma hanno correttamente ritenuto che ciò non si sia verificato nel caso di specie.

Si è evidenziato invero nell’ordinanza impugnata che l’istante venne condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso ritenuta sussistente dal 1990 al 2007, ma che l’attivazione del P. all’interno del gruppo è stata delimitata nella motivazione della sentenza di condanna ad epoca successiva all’iniziale operatività della compagine, non essendo stata descritta alcuna attività delittuosa del medesimo in epoca antecedente il 1999. Insindacabile in punto di fatto è quindi la decisione di ritenere tale data come inizio del reato permanente addebitabile al P., non potendo essere decisivo il solo dato dell’inizio di attività dell’associazione laddove deve dispiegare la sua rilevanza il momento in cui prese forma la adesione del singolo agli interessi del gruppo.

Corretta in linea di diritto è dunque la decisione di non revocare l’indulto, in ragione della non ricorrenza di reati nel quinquennio di interesse (dal 1990 al 1995).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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