Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-10-2011) 24-11-2011, n. 43441 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 3.12.2010 la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’istanza di applicazione dell’art. 671 c.p.p., formulata nell’interesse di Z.F. relativamente ai reati di usura ed estorsione per cui riportò condanna con sentenza del Gup Tribunale Catanzaro in data 24.6.2005 ed a quelli di cui agli artt. 416 bis e 629 c.p. per cui riportò condanna con sentenza della corte d’appello di Catanzaro 19.6.2009. Secondo il giudice a quo i reati di usura ed estorsione di cui alla prima sentenza non erano riconducibili alle finalità del gruppo criminoso per il quale vi fu condanna con la seconda sentenza, trattandosi tra l’altro di reati per cui non fu neppure ritenuta la finalità agevolativa del clan;

venivano quindi apprezzati come reati semplicemente rivelatori di particolare predisposizione al crimine e non quali condotte volte al perseguimento di agevolazione della compagine criminosa.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione l’istante personalmente, per dedurre:

2.1 violazione dell’art. 671 c.p.p.: viene evidenziato che nella sentenza che condannò lo Z. come associato della compagine mafiosa facente capo a L.R., suocero dell’istante, furono indicati come elemento di prova proprio i fatti per i quali Z. fu condannato con la sentenza del gup menzionata, atteso che fu accertato che il ruolo di questi nell’ambito della compagine fu quello di operare per il reinvestimento del denaro ricavato attraverso la pratica dell’usura e che nell’occasione l’usurato venne minacciato e costretto a pagare proprio facendo riferimento al clan La Rosa.

2.2 motivazione illogica, violazione di legge e travisamento del fatto: il giudice a quo, avrebbe riportato massime di principi giurisprudenziali che poi non avrebbe applicato, liquidando in sole sette righe il percorso motivazionale, nel quale si sarebbe ignorato che lo Z. nell’associazione era colui che impiegava i capitali ricavati con l’usura, cosicchè dovevano essere apprezzate la identità della norma violata, l’identità del bene protetto, l’omogeneità delle violazioni e della causale, dati questi che dovevano segnare l’identità del disegno criminoso e portare ad accogliere l’istanza formulata.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento: la condanna della Corte d’appello di Catanzaro per i reati di associazione mafiosa ed estorsione ha riguardo a condotte estese temporalmente dal 1990 al 2008; i fatti di cui alla sentenza del gup del 2.

Tribunale di Catanzaro per usura ed estorsione occorsero in epoca compresa tra il (OMISSIS). Orbene, seppure i giudici a quibus abbiano rilevato che detti ultimi fatti siano stati commessi in periodo di piena operatività del gruppo criminale, risulta che gli stessi siano poi incorsi in un travisamento, laddove hanno del tutto sottovalutato la riconducibilità di questi ultimi alle finalità del gruppo ancorchè dalla sentenza della corte d’appello 19.6.2009 si evincesse che lo Z., genero del capo cosca La Rosa, venne ritenuto intraneo all’associazione anche in ragione dell’episodio di usura ed estorsione pel quale riportò la condanna del 24.6.2005.

Proprio nella sentenza si dava atto che le parti offese avevano riferito che lo Z. forzò la loro volontà facendosi forte del fatto di appartenere al clan La Rosa, essendosi presentato presso gli usurati in compagnia del suocero a pretendere i pagamenti. Nè poteva essere trascurato che il ruolo dell’istante nell’ambito associativo era quello di occuparsi dell’investimento dei capitali illecitamente conseguiti mediante la pratica dell’usura.

La censura di travisamento del contenuto delle sentenze di cui si tratta è quindi fondata, tanto più se si considera che l’argomentazione decisiva con cui è stata rigettata l’istanza muove dal fatto che i reati di estorsione ed usura inizialmente giudicati non erano stati ritenuti aggravati ex L. n. 203 del 1991, art. 7: la motivazione non può che suonare incongrua, se solo si ponga mente al fatto che al momento del primo giudizio l’assetto organizzativo del gruppo non era ancora emerso nettamente, avendone solo successivamente le indagini svelato la preesistenza. Deve essere quindi annullata l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla corte d’appello di Catanzaro.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Catanzaro.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *