Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-10-2011) 24-11-2011, n. 43358

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 7.7.2010 la Corte d’assise appello di Perugia confermava la sentenza di condanna alla pena dell’ergastolo inflitta dalla Corte d’assise della stessa città a P.A., ritenuto colpevole del reato di omicidio aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà ai danni della moglie R.M.. Il fatto fu commesso presso la sua abitazione, dove la donna ancorchè separata si recava per sbrigare faccende domestiche, nella serata del giorno (OMISSIS), in frazione (OMISSIS) del comune di (OMISSIS) in provincia di (OMISSIS). Nella sala da pranzo di detta casa, satura di gas per esser stato aperto l’erogatore del forno di cucina e di due bombole, la donna veniva trovata riversa sotto l’asse da stiro, colpita da 17 colpi di arma da punta e taglio con coltello ancora conficcato nella parte posteriore sinistra del collo, a seguito della segnalazione del figlio S., che abitava in un alloggio attiguo a quello del padre.

Il compendio probatorio che è stato valorizzato sia dai primi che dai secondi giudici fa leva su queste emergenze : 1) l’arma rinvenuta apparteneva sicuramente all’imputato, atteso che non solo allo stesso venne trovato il fodero nella tasca destra dei pantaloni ma venne riconosciuta come sua dal figlio, anche per la verniciatura di colore rosso del manico che era comune ad altri utensili in dotazione del padre; 2) le plurime ferite riportate dalla vittima, che rescissero la carotide e la trachea ed attinsero la vena giugulare, si presentavano assolutamente compatibili con detta arma; 3) gli abiti e le mani del P., trovato riverso nella vasca da bagno, disteso su indumenti accatastati con un accendino in mano, in stato di intossicazione, erano vistosamente macchiati di sangue della vittima;

4) la porta, le finestre e le persiane della casa erano chiuse dall’interno, il che si collegava al mancato rinvenimento di tracce di persone estranee nell’appartamento; 5) il folto testimoniale sui plurimi annunci dell’uomo di portare a compimento la volontà maturata di uccidere la moglie da cui viveva separato, su cui aveva riversato in passato violenze, frustrazioni ed umiliazioni di ogni genere e che nel periodo più recente accusava di non volere riprendere la convivenza con lui.

La corte d’assise d’appello disattendeva le plurime questioni di carattere procedurale che erano state avanzate in sede di gravame, offrendo ampia motivazione; l’impalcato probatorio veniva ritenuto assolutamente sufficiente per portare a concludere al di là di ogni dubbio, che l’atto omicidiario era da ricondurre all’imputato che aveva posto in essere una condotta volutamente crudele nei confronti della vittima, attinta da diciassette coltellate e che aveva agito per futili motivi, reagendo con inaudita violenza al solo diniego, più che motivato, della moglie di non riprendere la convivenza con lui. Veniva escluso, anche alla luce dei numerosi contributi offerti dai medici che lo ebbero in cura, che il P. fosse affetto da patologie di natura psichiatrica, cosicchè non solo veniva affermata la sua capacità di stare in giudizio (conclamata dall’attenzione con cui ebbe a seguire il processo e ad interloquire), ma anche la sua capacità di intendere e volere al momento del fatto. Veniva valorizzato in senso negativo il comportamento tenuto, non solo nei confronti della vittima che aveva accusato indebitamente di condotta morale discutibile, ma anche nei confronti del figlio, che aveva adombrato come possibile autore del fatto di sangue.

2. Avverso tale pronuncia, ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato personalmente , per sviluppare sette motivi di ricorso.

2.1 Con il primo deduce vizio di motivazione per contraddittorietà, manifesta illogicità e carenza, nonchè violazione dell’art. 533 c.p.p., comma 1 e art. 192 c.p.p., essendo stati scorrettamente applicati criteri logici di valutazione della prova e per travisamento ed omessa valutazione/acquisizione di prove decisive: in sostanza viene lamentato che la corte d’assise d’appello non abbia risposto in modo adeguato alla ritenuta insufficienza del quadro probatorio, sorvolando su aspetti ritenuti di centrale importanza quali, in primo luogo, la riscontrata assenza di impronte e tracce biologiche sull’arma e sul fodero (spiegato dalla corte nella sua portata non necessariamente difensiva alla luce delle indicazioni a livello astratto offerte alle carte processuali dal mar. Ru. del Racis di Roma). Secondo il ricorrente sono da escludere tutte le ipotesi alternative astrattamente indicate , poichè scendendo nel concreto non furono trovati guanti che l’imputato possa aver indossato al momento del delitto per eliminare le tracce, il manico del coltello aveva ottima capacità recettiva e di trattenuta delle impronte, essendo l’impugnatura ricoperta da nastri in polisoprene, l’arma venne tolta dal collo della vittima , adottando ogni cautela ed in tempi ravvicinati rispetto al delitto, il sangue poi non coprì anche la superficie dell’impugnatura del coltello, poichè questa presentava solo tracce ematiche: sostiene la difesa che le conclusioni a cui sono addivenuti i giudici a quo sarebbero basate su un palese travisamento dei fatti ed il ragionamento probatorio sarebbe stato condotto su massime di esperienze che tali non sono, dovendo invece ritenersi inevitabile che nei delitti di sangue sull’arma siano lasciate impronte o tracce dell’autore. Ancor più incomprensibile, nell’ipotesi prospettata dall’accusa, è il fatto che non siano state rinvenute tracce sul fodero, rivestito da materiale isolante che avrebbe dovute trattenerle, che la difesa spiega dubitando che detto fodero sia stato rinvenuto casualmente in ospedale, come asserito in sentenza, laddove appena rinvenuto l’imputato venne sottoposto a perquisizione proprio per controllare che non fosse armato. In secondo luogo sarebbero state sottovalutate le lesioni riscontrate sul corpo dell’imputato (traumi in più parti del corpo e soprattutto una ferita da taglio alla mano sinistra) che i giudici a quibus avrebbero liquidato assumendo trattarsi di una conseguenza della virulenza dei colpi inferti, trascurando la valenza di detto elemento che se unito al fatto che non furono rilevate tracce sull’arma e che la camicia dell’imputato risultava lacerata, avrebbe dovuto portare a ridimensionare la ritenuta valenza indiziaria del quadro, non potendo rivestire significazione accusatoria il fatto che l’arma era verniciata di rosso come gli altri utensili del P., poichè riposta in luogo accessibile a tutti, nè il fatto che sulle mani del P. vi fosse sangue della moglie, poichè il dato potrebbe essere giustificato con il fatto che l’uomo prestò soccorso alla stessa, tanto più che scarso materiale ematico venne rinvenuto sugli indumenti indossati nella parte superiore del corpo dall’imputato. Ancora, secondo il ricorrente, andavano considerate le discrasie quanto agli orari di presenza della donna nella casa dell’ex marito, attesa l’inconciliabilità tra il dato obiettivo della intervenuta ricezione di una telefonata da parte del padre della vittima alla vittima stessa alle ore 18,30 ed il dato testimoniale della presenza di quest’ultima alle ore 19 presso Pi., proprietaria dell’alloggio condotto in locazione. Nè poteva essere sottovalutato che l’imputato venne trovato all’interno del bagno di casa, con una bombola del gas con ghiaccio non ancora sciolto, il che segnerebbe la strada per ritenere che la stessa sia stata portata poco prima del ritrovamento del Pi., quando però egli non era più in grado di realizzare alcuna azione. Ragion per cui, secondo l’imputato, la motivazione della sentenza sarebbe lacunosa, frammentaria, inadeguata, non essendo stati vagliati tutti gli elementi decisivi a disposizione, elementi che se compiutamente esaminati, avrebbero potuto avere concreta incidenza sul giudizio finale , nè sarebbero state date risposte esaustive ad obiezioni e sollecitazioni istruttorie difensive.

2.2 Con un secondo motivo, l’imputato deduce nullità del decreto di giudizio immediato per difetto dei presupposti normativi , erronea applicazione dell’art. 453 c.p.p., con conseguente nullità del giudizio di primo e secondo grado. Secondo il ricorrente, non poteva essere ritenuto applicabile l’art. 453 c.p.p., comma 1 bis, poichè il disposto normativo venne introdotto con legge di conversione del D.L. n. 92 del 2008, con modificazioni, cosicchè la L. n. 125 del 2008 del 24.7.2008 (di conversione) doveva avere effetti ex tunc e non ex nunc, ragion per cui non poteva applicarsi al caso di specie, laddove la richiesta di rito immediato fu presentata il 5.6.2008, facendo richiamo all’ipotesi ordinaria di cui all’art. 453 c.p.p..

Peraltro, anche con riferimento a detta ipotesi il ricorrente lamenta che l’interrogatorio sull’evidenza della prova non sia mai stato effettuato, atteso che al momento dell’interrogatorio egli P. si trovava in condizioni psicofisiche anormali, tanto è vero che all’esito dell’interrogatorio il Gip dispose li accertamento ex art. 70 c.p.p., così come anormale era il suo stato il 6.5.2008, quando venne nuovamente sentito in sede di incidente probatorio, così profilandosi mancante il presupposto per la celebrazione del rito immediato , tanto più in un processo a struttura complessa quale quello di specie. Lamenta quindi di non aver potuto accedere al giudizio abbreviato, rito che avrebbe scelto se solo avesse potuto conoscere l’esito delle indagini dattiloscopiche a che a suo dire lo scagionerebbero.

2.3 Con un terzo motivo viene dedotta inosservanza, violazione, erronea applicazione dell’art. 386 c.p.p., comma 2 e art. 369 c.p.p., in relazione all’art. 178 c.p.p., nullità assoluta ed inu1tilizzabilità degli esiti delle indagini preliminari per violazione al diritto di difesa e di assistenza tecnica, ingiustificato ritardo nella nomina del difensore d’ufficio, violazione degli artt. 244 e 245 c.p.p., in tema di ispezione personale, inutilizzabilità dei risultati degli accertamenti scientifici svolti sugli indumenti e sulle mani dell’indagato. Il ricorrente ripete che, rinvenuto alle ore 9, venne portato al pronto soccorso ma solo alle ore 14,00 venne avvisato il difensore d’ufficio, in aperta violazione dell’obbligo di comunicare senza ritardo l’avvenuto fermo di PG; egli imputato sarebbe stato per almeno quattro ore privo dell’assistenza del difensore, proprio nella fase in cui si concentrarono le attività di sopraluogo e di repertamento. Parimenti viene dedotta l’illegittimità del divieto assoluto di accesso al luogo del fatto imposto al difensore, sia nell’immediatezza che successivamente, in violazione del diritto di esaminare le cose sequestrate, con indebita compressione delle facoltà riconosciute alla difesa: secondo la corte di seconde cure, gli artt. 391 sexies e septies c.p.p., troverebbero applicazione solo quando si tratti di luoghi privati o non aperti al pubblico non sottoposti a sequestro, ma il fatto che detti luoghi fossero sotto sequestro non ne postulava sic et simpliciter l’assoluta inaccessibilità al difensore. Veniva ribadita la questione di legittimità costituzionale dell’art. 391 septies c.p.p., nella parte in cui non prevede la possibilità di impugnazione a fronte di una decisione negativa del gip alla richiesta di autorizzazione del difensore di accedere sul luogo sequestrato. Ancora sarebbero inutilizzabili gli atti compiuti mentre P. era in ospedale, allorquando subì una perquisizione di dubbia legittimità, a livello di indumenti ed un’ispezione personale, ispezione preclusa alla PG ai sensi dell’art. 244 c.p.p.: in caso di urgenza l’art. 354 c.p.p., ammette l’intervento della Pg, ma solo previa autorizzazione scritta,oppure resa oralmente, ma confermata per iscritto dal pm, autorizzazione che manca nel caso di specie. Infine, sarebbe stato del tutto illegittimo il fermo, essendo carenti i presupposti della misura precautelare.

2.4 Con un quarto motivo è stata dedotta la nullità del giudizio di appello per intervenuta violazione degli artt. 478 e 491 c.p.p., in relazione all’art. 598 c.p.p., per la mancata discussione preliminare dei motivi sulla nullità del decreto di citazione a giudizio e sulle nullità assolute ex art. 178 c.p.p., degli atti di indagine preliminare, per violazione del diritto di difesa, per violazione o erronea applicazione degli artt. 603 e 125 c.p.p., sull’omessa rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato espletamento della perizia psichiatrica, per omessa dichiarazione della nullità del giudizio di primo grado, per violazione del diritto di difesa per mancata concessione di un breve rinvio della discussione. Si lamenta l’imputato che la discussione sulle questioni preliminari a carattere procedurale sia stata rimessa insieme al merito, con il che il ricorrente fu costretto ad anticipare il suo esame. Sarebbero state liquidate come marginali ed irrilevanti le discrasie evidenziate dalla difesa, con il che le richieste istruttorie sono state valutate a loro volta non decisive, ivi comprese due prove nuove, quali l’audizione del parroco e dei fratelli del P. che avrebbero dovuto fare luce sul fatto che la vittima poteva avere dei nemici, contrariamente a quanto ritenuto.

Quanto poi alla richiesta di perizia psichiatrica, il ricorrente si duole della sottovalutazione che venne fatta della diagnosi principale in termini di sindrome psichiatrica maggiore formulata all’inizio del ricovero dopo il fatto, che non poteva trovare ragione nell’intossicazione da gas subita, della sottovalutazione della varietà di medicinali che risultano esser stati somministrati all’imputato in tempi diversi a significazione di una sindrome ansioso depressiva, anche di tipo antipsicotico, della sottovalutazione delle stesse modalità dell’azione omicidiaria, essendo stato scritto che fu colto da raptus omicida ed infine sulla persistenza di uno stato di amnesia. Infine, si duole il ricorrente che non sia stato concesso alla sua difesa un termine , richiesto per la consultazione delle trascrizioni delle udienze precedenti, con gravi conseguenze quanto alla preparazione della discussione finale.

2.5. Con un quinto motivo di ricorso il P. ha dedotto inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 61 c.p., n. 1, quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante dei futili motivi. Non vi sarebbe prova della conflittualità insorta tra vittima ed imputato, se non nelle parole della figlia che peraltro abitava lontano e che quindi non poteva conoscere tutti i risvolti. L’imputato oppone che la circostanza che la vittima avesse deciso di non aiutarlo più nelle faccende domestiche non solo non risulterebbe provato, ma risulterebbe smentita dalla stessa scena del crimine; quindi viene lamentato che non sia stato accertato il movente e che comunque non siano stati applicati i criteri offerti dalla giurisprudenza di legittimità per valutate in termini di futilità le ragioni dell’omicidio, che erano sorrette da gelosia o vendetta sentimenti che non rientrano nella previsione ritenuta.

2.6 Con un sesto motivo è stata dedotta inosservanza o erronea applicazione della legge penale , vizio di motivazione e violazione dell’art. 61 c.p., n. 4 essendo insussistente l’aggravante della crudeltà: l’azione sarebbe sostanziata da un insieme di colpi infetti in rapidissima sequenza, tali da cagionare la morte pressochè istantanea della vittima, posto che non vi fu agonia, o particolare sofferenza, il che porterebbe ad escludere l’aggravante, che è stata ritenuta sulla base esclusivamente del numero di colpi inferti, dimenticando la natura del dolo d’impeto che avrebbe sorretto l’azione. Anche sul punto viene lamentato uno scostamento dai principi offerti dal diritto vivente che impone di verificare se l’omicida avesse cagionato particolari sofferenze alla vittima, con la certezza che la stessa fosse cosciente e che la condotta dell’omicida si ponesse volontariamente al di fuori dei mezzi di attuazione del deliberato omicidio, rivelando un animo particolarmente malvagio dell’agente.

2.7 con il settimo ed ultimo motivo, il ricorrente ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale, vizio di motivazione dell’art. 62 bis c.p., e art. 133 c.p., comma 1, n. 3, in tema di intensità del dolo ed eccessività della pena irrogata. Si duole l’imputato che sia stata punita con il massimo della pena una condotta caratterizzata da un dolo di minima intensità. Non potevano poi essere considerati a scapito dell’imputato profili attinenti alle scelte processuali difensive dello stesso, inconferenti e non valutabili ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche. I giudici avrebbero potuto trascurare le deduzioni difensive se avessero individuato elementi di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negative della personalità dell’imputato e sempre che le deduzioni dell’appellante fossero palesemente estranee o destituite di fondamento, ma così non è stato.

3. Medio tempore è stata depositata una lunga memoria a firma dello stesso imputato, con cui viene lamentata la compressione del diritto di difesa seguita all’intervenuta scelta di rito immediato ad opera del Pm. Vengono rappresentate le difficoltà incontrate nel fare la scelta del rito. Viene lamentato un vuoto investigativo anche a causa della intervenuta conduzione delle indagini in modo orientato, a cui seguì una carenza istruttoria da parte della corte d’assise di primo grado. Viene contestata la mancata partecipazione del RIS sul luogo del delitto e l’intervenuto accertamento di formazioni pilifere sull’arma del delitto, rilevate solo dalla difesa e trascurate dai carabinieri e dai medici legali. Vengono poi formulate osservazioni sul fatto che le condizioni fisiche dell’imputato erano tali da non permettergli di consumare l’azione omicidiaria, essendo cieco da un occhio. E’ stata stigmatizzata la sistematica reiezione delle istanze di approfondimento istruttorie avanzate dalla difesa. Non sarebbero state adeguatamente valutate le memorie difensive ed in particolare quella del 15.6.2010 ed i giudizi di merito sarebbero stati condizionati da ragioni ambientali. Sarebbe stato sottovalutato ancora il profilo della imputabilità del P., essendo emerso dalla consulenza della difesa la sussistenza di una compromissione psichica collegabile al disturbo della memoria ed alla patologia ansioso depressiva da cui andò affetto per molti anni il prevenuto.

Motivi della decisione

Sono fondati solo il quinto ed il sesto motivo di ricorso che attengono alla ritenuta sussistenza delle aggravanti dei futili motivi e della crudeltà per le ragioni che seguono.

Il primo motivo di ricorso, che contesta la struttura stessa dell’impalcato probatorio per l’asserita sottovalutazione delle deduzioni difensive, non trova alcuna corrispondenza nella realtà processuale, caratterizzata da punti di solido ancoraggio, di natura oggettiva, attorno a cui si è sviluppato il ragionamento probatorio, quali il rinvenimento del P. nella casa dove si trovava il cadavere della donna e dove gli accessi – porte e finestre – erano chiusi dall’interno e le chiavi erano inserite dall’interno nella toppa, ad esclusione dell’Intrusione di terzi; il rinvenimento di tracce di sangue della donna sugli indumenti dell’imputato (camicia e pantaloni) ed in tutte le stanze dell’appartamento del P., ad eccezione della camera da letto, finanche sulle bombole del gas; il rinvenimento di coltello conficcato nel collo della vittima di sicura riconducibilità all’imputato, sia per il colore del manico che per il ritrovamento del fodero addosso all’imputato. Tale compendio di natura oggettiva, unita al dato dichiarativo offerto da numerosi contributi testimoniali sulla pesante conflittualità tra la vittima ed il P. e sulla manifestata volontà dell’uomo di uccidere la moglie, hanno costituito la base inferenziale solidissima da cui trarre le conclusioni sulla attribuzione del fatto di sangue all’imputato. Non sono state affatto trascurate le obiezioni difensive sulla mancanza di impronte sul coltello e sul fodero (fatto ritenuto riconducibile alla scarsa ricettività del materiale, ovvero al tempo trascorso, ovvero all’intervenuto uso di guanti, ovvero al difettoso repertamento dell’oggetto, ovvero all’umidità), sul possibile coinvolgimento del figlio S. (circostanza esclusa dal fatto che nel suo alloggio, attiguo a quello dell’omicidio, non vi era alcuna traccia di sangue), sulla ferita riportata dal P. sulla mano (ritenuta non da difesa ma determinata dalla violenza dell’azione offensiva), sulla possibile pista alternativa dei tre incappucciati (disattesa perchè non plausibile, atteso che la vittima non fu lui, ma la moglie), sulla presenza della vittima verso le ore 19 presso la signora Pi. (circostanza che non esclude che la vittima si sia ripresentata a casa dell’ex marito subito dopo, visto che da lui ricevette una chiamata alle ore 18,48).

Gli argomenti difensivi non sono stati affatto pretermessi, ma sono stati ritenuti con argomentare assolutamente rigoroso sotto un profilo logico, inidonei a minare il solido impianto probatorio costruito nell’intreccio degli elementi indicati e non necessitante di alcun supplemento di istruttoria. Elementi correttamente recepiti, adeguatamente e persuasivamente argomentati, con il che le contrarie deduzioni difensive nelle varie articolazioni altro non sono che un tentativo di sottoporre all’esame di questa Corte aspetti fattuali e probatori che sono per legge rimessi all’esclusivo apprezzamento dei giudici di merito, non potendosi ravvisare alcun travisamento degli elementi di prova, nè una manifesta illogicità nell’iter di coordinazione e valutazione degli stessi.

Il secondo motivo, di ordine processuale, è infondato: la richiesta di giudizio immediato venne formulata dal pm sul presupposto che i fatti addebitati all’imputato risultavano contestati nel corso di un interrogatorio avanti al pm e di due interrogatori avanti al gip, il giorno 11 aprile e il 6 maggio 2008. In sede di secondo grado l’imputato si dolse di non essere stato adeguatamente informato sulla consistenza delle accuse, così da non esser stato nella condizione di optare a suo tempo per riti alternativi. Anche volendo ritenere che nel corso del primo interrogatorio avanti al gip l’imputato non fosse pienamente in grado di cogliere la portata delle accuse a lui mosse, come emerge dal verbale, nella successiva occasione ne ebbe piena contezza, con il che nessuna compressione venne operata al suo diritto di difesa. Al momento della richiesta di giudizio immediato trovava applicazione l’art. 453 c.p.p., ante riforma del 2008 ed i presupposti per accedere al rito erano integrati dalla evidenza della prova e dall’intervenuto interrogatorio. E’ noto che l’interrogatorio è incombente con funzione di garanzia e che la generica formulazione dell’originario testo dell’art. 453 c.p.p., comma 1, è stata sostituita nel 2008, con altra più puntuale, che impone l’interrogatorio sulla consistenza del compendio probatorio che consente il sacrificio dell’udienza preliminare. L’interrogatorio di garanzia è stato comunque considerato da questa Corte, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, anche sotto la nuova formulazione della norma in esame, equipollente a quello richiesto per l’ingresso del rito speciale (Sez. 3, 7.10.2009, n. 44883) essendo stata esclusa la necessità, adombrata dal ricorrente, di un interrogatorio speciale, ad hoc, preordinato unicamente alla richiesta di giudizio immediato. L’imputato era perfettamente a giorno del compendio che gravava su di lui, compendio che fu raccolto nella ordinanza di misura di custodia cautelare, che fu reputato dalla corte di legittimità imponente, il che conferma la sussistenza dell’evidenza della prova e la sussistenza della piena contestazione degli addebiti, così da porre l’interessato nella condizione di esplicare un completo e consapevole intervento difensivo, sia sulle emergenze a suo carico che sulla opzione processuale. Nessun vulnus al diritto di difesa è seriamente apprezzabile, così come è stato sostenuto dalla corte territoriale, con il che nessun effetto a cascata in termini di nullità degli atti è registrabile.

Anche il terzo motivo è infondato, non avendo l’imputato mai subito alcun deficit di difesa, poichè il difensore d’ufficio venne nominato in tempi assolutamente ragionevoli considerato l’immediato ricovero del P. (trovato in casa, in stato di intossicazione) in ospedale e gli immediati rilievi che portarono ad accreditare l’ipotesi che a lui fosse imputabile l’omicidio: come rilevato dalla corte territoriale, l’avverbio "immediatamente" usato dall’art. 386 c.p.p., per indicare i tempi entro cui deve essere informato il difensore, deve essere inteso nel senso che deve avvenire senza perdita di tempo, ma compatibilmente con la complessità del caso, considerato che nella presente fattispecie al rinvenimento del cadavere seguì il rinvenimento in stato di incoscienza del P., quindi intervennero il di lui accompagnamento in ospedale, la messa in atto di immediati rilievi, la comunicazione al pm che intervenne sul luogo del delitto alle ore 11 per la direzione delle indagini, la formalizzazione dello stato di fermo, alle ore 13.30, la individuazione del difensore d’ufficio, la comunicazione al medesimo, operata alle ore 14,18. La sequenza non lascia intravedere tempi morti , volti a comprimere il diritto di difesa. Le attività urgenti svolte sotto il controllo del pm del resto, come rilevato dalla corte territoriale, anche in caso di inosservanza dell’art. 386 c.p.p., non fanno conseguire alcuna nullità, avendo il difensore solo il diritto di assistere , senza aver diritto di previo avviso, atteso il carattere d’urgenza degli atti. Nè è apprezzabile alcuna violazione di legge nel provvedimento di fermo su cui è intervenuta la decisione della corte di cassazione che ebbe a definire imponente il quadro delle emergenze, quindi entrò nel merito delle doglianze, contrariamente a quanto assunto dalla difesa;

neppure ancora può essere ritenuto illegittimo l’intervenuto rinvenimento del fodero del coltello usato per colpire la vittima sulla persona dell’imputato, occorso non già nell’ambito di una attività di perquisizione, ma del tutto casualmente, quando fu svestito per essere collocato nel letto di ospedale, così come senza forzatura alcuna, ha argomentato la corte a pag. 21 della sentenza impugnata. Ancora deve essere aggiunto che non è ravvisabile alcun vizio di procedura nel fatto che alla difesa sia stato inibito di accedere sul luogo del delitto, atteso che si aveva riguardo ad appartamento sottoposto a sequestro e sigillato e come tale non rientrante ontologicamente tra i "luoghi" a cui fanno riferimento gli artt. 391 sexies e 391 septies c.p.p., atteso che il sito oggetto di sequestro e sottoposto a sigilli è per sua natura non alterabile , quindi non ammette la presenza di alcuno (neppure del magistrato, che per rompere i sigilli deve procedere secondo la previsione dell’art. 261 c.p.p.), in nome della prioritaria necessità di mantenere integra la fonte di prova e preservarla da qualsivoglia intervento, comunque inevitabilmente modificativo dello stato dei luoghi.

Pertanto corretto è stato l’opinare della corte territoriale che ha ritenuto inconferente il richiamo agli artt. 391 sexies e septies c.p.p., per rivendicare il diritto di accesso sul luogo del delitto da parte della difesa, con conseguente giudizio di assoluta irrilevanza della questione di costituzionalità avanzata.

Altrettanto corretta è stata la valutazione operata dalla corte territoriale sulla insussistenza di profili di nullità, a seguito della mancata concessione di un termine per l’esame delle trascrizioni degli ultimi verbali di udienza, depositati solo il giorno prima dell’udienza di discussione, in ragione del fatto che la difesa fu messa in grado di esaminarli prima dell’udienza e non ebbe a subire da tale iniziativa alcuna limitazione del suo pieno esercizio.

Nè miglior fortuna va riconosciuta al quarto motivo di gravame, con cui sono stati dedotti profili di nullità per non avere la corte territoriale dato spazio ad una discussione riservata alle questioni preliminari distinta da quella sul merito. In proposito deve essere rilevato che non avevano i giudici di seconde cure alcun obbligo di pronuncia preventiva sulle eccezioni sollevate dalla difesa; la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale non venne disposta avendo valutato la corte territoriale la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo della responsabilità dell’imputato, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento, soprattutto in ragione della sottolineata solidità dell’impianto accusatorio, non suscettibile di essere incrinata dai contributi dichiarativi (del parroco del paese e dei fratelli del P.) su profili non ritenuti dirimenti a fronte della obiettività delle prove valorizzate.

Quanto poi al profilo della capacità di intendere e volere, i giudici di merito hanno fondato la convinzione della insussistenza di un quadro di patologia psichiatrica sulla deposizione del medico curante e dello psichiatra del CIM di (OMISSIS), che ebbero ad escludere categoricamente sofferenze psicotiche in capo all’imputato, che assunse nel tempo solo terapia antidepressiva, peraltro in dosi molto leggere. E’ stato opportunamente sottolineato che la sindrome psichiatrica maggiore in fase dissociativa, che gli venne diagnosticata quando giunse in ospedale, subito dopo il fatto di sangue, non aveva alcuna base diagnostica, essendo semplicemente servita per descrivere lo stato di disorientato del P., al momento del ricovero, tanto è vero che la successiva visita psichiatrica non portò a riscontrare elementi indicativi di strutture deliranti. Completa ed aderente alle emergenze processuali è stata quindi la valutazione sulla non ricorrenza di indici indicativi di malattia mentale, valutazione confortata dalla immediata percezione del comportamento dell’imputato anche in fase di appello, apprezzato per la lucidità, per la presenza e per la fattiva partecipazione, con il che la valutazione operata nel disattendere le diverse indicazioni pervenute dal consulente di parte va ritenuta assolutamente legittima perchè adeguatamente argomentata.

Vanno condivisi invece il quinto ed il sesto motivo di impugnazione.

I giudici di merito hanno infatti ritenuto la ricorrenza delle aggravanti dei futili motivi e della crudeltà, discostandosi dai principi accolti dall’uniforme giurisprudenza di legittimità. Giova ricordare che il motivo deve qualificarsi futile quando la determinazione delittuosa sia stata causata da un stimolo esterno così lieve, così banale, così sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l’azione delittuosa, tanto da poter essere considerato un pretesto o una scusa per dare sfogo ad un impulso criminale (v. come ultima di un consolidato percorso Sez. 1, 18.11.2010, n. 42486). Orbene, nel caso di specie, lo stimolo al delitto è stato ritenuto offerto dal diniego della moglie di ritornare a convivere con l’imputato, che stava diventando vecchio e malato: tale determinazione è sicuramente significativa dell’egoismo, della protervia, del maschilismo del prevenuto, ma ha una sua consistenza e rilevanza esistenziale che non può all’evidenza essere apprezzata in termini di semplice pretesto per sprigionare la pulsione criminale, secondo i canoni di giudizio sopra riportati, cosicchè la valutazione va rivisitata alla luce del consolidato principio che è stato richiamato.

Parimenti dicasi per quanto riguarda la ritenuta aggravante della crudeltà, ritenuta dai giudici di merito solo sulla base della pluralità di colpi infetti alla vittima in particolare sul collo e della rapida successione degli accoltellamenti: anche in proposito deve essere ricordato che il principio accolto dall’uniforme giurisprudenza di legittimità è quello secondo cui la circostanza in questione ricorre quando vengono inflitte alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell’evento, nel senso che occorre un quid pluris rispetto all’esplicazione ordinaria dell’attività necessaria per la consumazione del delitto, poichè proprio la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole la condotta del reo , rivelandone l’indole malvagia (Sez. 1, 19.12.2007, n. 4495). E’ stato di conseguenza precisato che nel reato di omicidio la mera reiterazione di colpi inferti alla vittima non è condotta rilevante di per sè ai fini della configurabilità della circostanza aggravante in parola, in quanto connessa alla natura dei mezzo usato per conseguire l’effetto delittuoso, non eccedente i limiti della normalità causale e non trasmodante in una manifestazione di efferatezza (Sez. 5, 17.1.2005, n. 5678). Anche sul punto dunque la sentenza va annullata perchè la valutazione operata si discosta dai principi ermeneutici sopra ricordati.

L’imputato deve essere condannato a rifondere alla parte civile costituita, le spese sostenute in questo grado di giudizio; essendo ammessa al gratuito patrocinio dette spese vanno liquidate a favore dello Stato, nella misura di euro mille, onorari compresi, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle aggravanti dei futili motivi e della crudeltà e rinvia per nuovo giudizio su questi punti alla corte d’appello di Firenze.

Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio, dalla parte civile P.V., che liquida, con pagamento in favore dello Stato, in Euro mille, onorari compresi , oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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