Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-10-2011) 24-11-2011, n. 43436

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 1 febbraio 2011 il Tribunale di Sorveglianza di Firenze dichiarava inammissibile il reclamo proposto da G. A. avverso il decreto del Magistrato di sorveglianza di Pisa in data 20.12.2010 con il quale dichiarava inammissibile l’istanza volta ad ottenere un permesso premio attesa la preclusione alla concessione del permesso in ragione della natura dei reati cui si riferisce la pena in espiazione tutti rientranti nella categoria di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4 bis, comma 1.

Premesso che il G. sta espiando a far data dal 26.12.1992 la pena complessiva di anni trenta di reclusione determinata, con il criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p., per condanne emesse con quattro diverse sentenze di cui al provvedimento di cumulo in data 5.5.2007, relative ai reati di strage, furto aggravato, omicidio, distruzione di cadavere, detenzione illegale di armi ed associazione per delinquere di tipo mafioso, il Tribunale di sorveglianza riteneva corretta la valutazione del primo giudice evidenziando: che l’intera pena in espiazione è imputabile a delitti ostativi; che il condannato non ha ottenuto l’accertamento della collaborazione condizione indispensabile per superare il divieto di concessione dei benefici penitenziari diversi dalla liberazione anticipata; che diversamente da quanto prospettato dal reclamante non sussiste alcuna regione per ritenere che, sciogliendo il cumulo delle pene, la pena di anni ventitre di reclusione inflitta al G. con la sentenza della Corte di assise di Palermo del 23.5.2000 (con la quale sono state ritenute aggravanti rilevanti ai sensi della L. n. 354 del 1975, art. 4 bis, comma 1) assorbita nella pena pari a complessivi anni cinquantatre di reclusione di cui alle sentenze in data 14.12.2005 e 5.12.1995 relative a reati non ostativi al riconoscimento dei benefici penitenziari.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il G., a mezzo del difensore di fiducia, lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione. In primo luogo rileva la contraddizione dei passaggi del provvedimento impugnato nel quale da una parte si afferma che l’intera pena in espiazione è imputabile a reati ostativi alla concessione del beneficio richiesto, dall’altro lato si dice che il cumulo di pena in esecuzione comprende condanne relative a reati non ostativi.

Ad avviso del ricorrente, la pena in espiazione è stata determinata con provvedimento di cumulo di tutte le sentenze emesse nei confronti del G. applicando il criterio moderatore di cui all’art. 78 c.p. ed individuando, quindi la pena più grave in quella di anni trenta di reclusione di cui alla sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 14.12.2005; pertanto, tutte le altre pene sono state assorbite nella predetta e non possono produrre alcun effetto. Di tanto il tribunale non ha tenuto conto, affermando che la condanna ostativa alla pena di anni ventitre di reclusione di cui alla sentenza della Corte di assise di Palermo del 23.5.2005 non fosse compresa nel provvedimento di cumulo.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente Infondato.

1. In primo luogo deve essere ricordato come il codice Rocco ha abbandonato nell’Ipotesi di concorso materiale di reati, per quel che riguarda il versante sanzionatorio, sia il sistema dell’assorbimento sia quello dell’indiscriminato cumulo giuridico, estendendo, Invece, anche alle pene, secondo il principio tot crimina tot poenae, i criteri, disciplinati dagli artt. 73 e 78 c.p., del cumulo materiale, seppure temperato attraverso la fissazione di limiti massimi (in assoluto o in rapporto alla pena più grave, ex art. 78 c.p.), ad evitare "le possibili esorbitanze derivanti dalla addizione aritmetica", ovvero "la trasformazione in pena a durata illimitata, e quindi di fatto perpetua, di pene che dovrebbero avere durata temporanea".

Quindi, a differenza di quanto afferma il ricorrente, il provvedimento di determinazione di pene concorrenti con l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 73 e 78 c.p., non comporta l’assorbimento dei reati per i quali è stata inflitta la pena meno grave in quello punito con pena più grave.

Proprio in ragione di ciò il cumulo giuridico delle pene irrogate è scindibile a vari fini tra i quali quello della fruizione dei benefici penitenziari in ordine ai reati che di questi non impediscono la concessione, onde verificare se il condannato abbia espiato la pena relativa ai delitti ostativi (S.U., n. 14, 30/06/1999, Ronga rv. 214355). Ed allorchè il reato ostativo non coincida con la violazione più grave, ma sia solo un reato satellite, lo scioglimento del cumulo formatosi per effetto della continuazione non può non determinare il ripristino per esso della pena edittale prevista, calcolata nel minimo, e, quindi, con esclusione di qualsiasi riferimento alla pena inflitta in concreto a titolo di aumento per la continuazione, giacchè tale riferimento non ha più ragione di essere, una volta che si sia operato lo scioglimento del vincolo giuridico dovuto alla continuazione (Sez. 1, n. 46246, 05/11/2008, Sanna, rv. 242086).

E’ opportuno, altresì, rammentare che è orientamento ormai prevalente e condiviso dal Collegio quello secondo il quale ai fini del computo del termine minimo di pena espiata previsto dall L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 30 ter come condizione per la concessione di permessi premio, in caso di cumulo di pene inflitte per reati diversi, taluno dei quali ostativo alla concessione del beneficio, una volta scisso il cumulo per considerare espiata la parte di pena conseguente alla condanna per il delitto ostativo, il dies a quo decorre dal momento di scadenza di quest’ultima e non dall’inizio della detenzione, essendo illogico rendere inoperante il cumulo giuridico delle pene al fine di ritenere espiata la parte di pena imputabile al delitto ostativo e, ad un tempo, farlo rivivere al fine di far decorrere fin dall’Inizio il citato termine massimo di pena espiata (Sez. 1, n. 40301, 07/10/2003, Rizzo, rv. 226064; Sez. 1, n. 9346, 27/02/2007, rv. 236376; Sez. 1, n. 19789, 01/04/2008, Ferrentino, rv. 239991; Sez. 1, n. 1446, 10/12/2009, Fracapane, rv.

245954).

2. Tanto ribadito, risulta evidente l’infondatezza delle censure del ricorrente, come innanzi sintetizzate, e la insussistenza della dedotte contraddizioni della ordinanza impugnata nella quale sono state correttamente respinte le doglianze difensive poste a fondamento del reclamo del provvedimento dei Magistrato di sorveglianza che aveva dichiarato inammissibile la richiesta volta alla concessione del permesso ai sensi dell’art. 30 ter Ord. Pen..

Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma ritenuta congrua di Euro 1000,00 (mille) in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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