Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 14-10-2011) 24-11-2011, n. 43314

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 30.11.2010 la Corte d’appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale di Catania che aveva condannato, alle pene ritenute di giustizia, O.M. per truffa aggravata continuata in danno di G.C.A., così qualificando l’originaria imputazione di estorsione aggravata.

Riteneva la corte territoriale che dalla conversazione intercettata il 7.11.2009 emergeva, senza ombra di dubbio, come la falsa conoscenza da parte dell’ O. di notizie sulla sorte degli strumenti musicali sottratti al G., fosse stata il mezzo artificioso e raggirante dallo stesso escogitato per trarre in inganno quest’ultimo, già psicologicamente provato ed afflitto dalla sottrazione furtiva dei suoi preziosi sassofoni e per indurlo ad accedere alla richiesta di Euro 1.150,00 per ottenerne la restituzione, somma che veniva incamerata, a proprio ingiusto profitto dall’imputato che non sapeva assolutamente dove erano gli strumenti che neppure aveva cercato.

Negava le circostanze attenuanti generiche in considerazione dei precedenti e l’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 5 ritenendo che proprio la situazione di condizionamento psicologico in cui era venuto a trovarsi il G. era stata la spinta che lo aveva indotto a rivolgersi all’ O. la cui personalità di pregiudicato non gli era sconosciuta.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. travisamento delle risultanze processuali.

Contesta il ricorrente che la Corte ha attribuito al G. dichiarazioni dallo stesso mai rese.

2. Contesta la mancata esclusione della recidiva e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5 e l’entità della pena.

Il primo motivo investe una censura in fatto non azionabile in questa sede. Lamenta il ricorrente un vizio di motivazione. Sul punto va ricordato che anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi.

Ciò detto la censura del ricorrente si appalesa manifestamente infondata perchè l’ O., sotto il profilo del vizio di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati di fatto non consentita in questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti sempre un giudizio di legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito.

Il restante motivo riproduce pedissequamente il motivo d’appello. E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c). E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in esame, che ha fornito una risposta ai motivi di gravame la pedissequa ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

Deve aggiungersi che le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella impugnata che appare congruamente e coerentemente motivata proprio in punto di sussistenza della contestata recidiva e dell’aggravante di cui all’art. 62 c.p., n. 5.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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