Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-06-2012, n. 9355 Divisione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione del 22-2-2001 B.F. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Rovereto B.I. e B.C.A. chiedendo la divisione giudiziale di una casa di abitazione e di un terreno siti in (OMISSIS), oltre che dei mobili contenuti nell’abitazione.

L’attore esponeva di essere intestatario della quota di 27/45 dei suddetti cespiti immobiliari in parte in virtù di successione ereditaria della madre nel 1997 ed in parte per l’acquisto da parte dei coeredi B.B. e B.R., mentre I. B. era titolare della quota di 14/45 (per successione ereditaria della madre nel 1997) e B.C.A. dell’ulteriore quota di 4/45 per successione ereditaria della madre.

B.F. assumeva che la casa era comodamente divisibile in due porzioni distinte ed autonome e che altrettanto divisibile era il terreno circostante.

Si costituivano in giudizio i convenuti che assumevano la non comoda divisibilità del compendio immobiliare, trattandosi di un villino unifamiliare, il cui solo primo piano era adibito ad abitazione; in via riconvenzionale chiedevano la condanna di B.F. al rendiconto della gestione della comunione ereditaria ed ai versamento del corrispettivo del godimento degli immobili goduti in via esclusiva.

Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del 26-2-2005 dichiarava la non comoda divisibilità degli immobili suddetti, assegnava per intero la proprietà esclusiva di detti beni a B.F., condannava quest’ultimo al pagamento in favore di B.I. e B.C.A. a titolo di conguaglio della somma di Euro 206.909,00 oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat a far tempo dal 17-12-2002, data di redazione della CTU, e fino alla data di pronuncia della sentenza, oltre gli interessi legali su detta somma rivalutata di mese in mese con la medesima decorrenza e fino alla data di pronuncia della sentenza, oltre agli interessi al tasso legale sulla somma così determinata dalla data di pronuncia della sentenza al saldo, condannava inoltre l’attore al pagamento in favore delle controparti, a titolo di corrispettivo per il godimento esclusivo dei predetti immobili, della somma di Euro 24.320,00 oltre interessi legali dal 20- 4-2001 fino al saldo, respingeva le altre domande formulate dai convenuti in via riconvenzionale, e con separata ordinanza rinviava ogni decisione sulla domanda di rendiconto e sulla domanda di divisione dei beni mobili al prosieguo istruttorie.

Proposta impugnazione da parte di B.I. in proprio e quale procuratrice speciale di B.C.A. cui resisteva B.F. la Corte di Appello di Trento con sentenza del 31-1-2007, in accoglimento dell’appello principale, ritenuta la comoda divisibilità degli immobili da dividere, ha attribuito ad B.I. e B.C. tra loro commassati la proprietà dell’intero piano terra dell’edificio p.ed.

703 nonchè della porzione di p.f. 742/1, ha assegnato a F. B. il primo piano e la mansarda dell’edificio p.ed. 703 nonchè la residua parte della p.f. 742/1, con l’obbligo di versare agli appellanti a titolo di conguaglio la somma di Euro 5.165,00, ed ha condannato l’appellato a corrispondere a titolo di corrispettivo per il godimento esclusivo degli immobili, oltre la somma di Euro 24.320,00 già liquidata dal giudice di primo grado, anche la somma di Euro 7.689,00 per l’ulteriore periodo decorrente dal deposito della CTU all’attualità oltre gli interessi legali fino al saldo.

Avverso tale sentenza B.F. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui B.I. in proprio e quale procuratrice di B.C.A. ha resistito con controricorso proponendo altresì un ricorso incidentale basato su di un unico motivo.

Motivi della decisione

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

Venendo quindi all’esame del ricorso principale, si rileva che con il primo motivo B.F., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 718-720 e 1114 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la comoda divisibilità degli immobili per cui è causa aderendo all’ipotesi divisionale proposta dal CTU nell’integrazione alla relazione tecnica d’ufficio del 5-6-2003 senza tener conto che tale ipotesi configurava semplicemente la somma delle proposte divisionali prospettate dalle parti che presupponevano peraltro il loro imprescindibile accordo, peraltro venuto a mancare, e che il CTU aveva preso in esame al solo fine di favorire una soluzione transattiva della controversia; del resto in tale integrazione così come nel successivo supplemento peritale del 22-1- 2004 il CTU aveva ribadito il proprio giudizio sulla non comoda divisibilità dei beni.

Il ricorrente principale aggiunge che la divisione orizzontale adottata dal giudice di appello avrebbe comportato lo stravolgimento dell’intero impianto abitativo attuale dell’edificio rivoluzionando le caratteristiche tipologiche dell’immobile nonchè la necessità di costose e notevoli opere costruttive, cosicchè era impossibile realizzare due porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento senza costi e pesi eccessivi.

La censura è inammissibile.

Premesso che nella fattispecie, laddove è stata impugnata una sentenza pubblicata il 31-1-2007, trova applicazione "ratione temporis" l’art. 366 "bis" c.p.c., si osserva che il ricorrente principale ha chiesto a questa Corte di ribadire il principio di diritto ai sensi dell’art. 720 c.c.. secondo cui "la non comoda divisibilità si configura quando la divisione richiederebbe operazioni e accorgimenti troppo costosi o complessi o la imposizione di pesi, limiti e servitù per il godimento delle singole quote o comporterebbe un pregiudizio al valore economico delle porzioni rispetto all’intero oltre una deviazione alla normale utilizzazione del bene"; orbene è agevole rilevare dall’effettivo e concreto contenuto del motivo in esame come sopra enunciato che in realtà B.F., lungi dal denunciare l’erronea individuazione della norma che regola la fattispecie o l’applicazione della stessa ad una fattispecie da essa non regolata, lamenta l’erroneità sotto il profilo logico delle argomentazioni che hanno indotto il giudice di appello a ritenere la comoda divisibilità degli immobili per cui è causa, e quindi un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con il conseguente onere, ai sensi dell’art. 366 "bis" c.p.c., – nella specie non assolto – di una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione stessa a giustificare la decisione: di qui dunque l’inammissibilità del motivo.

Con il secondo motivo B.F., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 718-720 e 1114 c.c. nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sostiene che la Corte territoriale non ha sufficientemente motivato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere la possibilità di realizzare due porzioni assolutamente autonome, senza pesi o limitazioni reciproche; ad esempio nulla è stato argomentato in ordine alla grave limitazione di privare l’appartamento sito al primo piano della cantina, della centrale termica, dello studio e de garage, nonchè della necessità di creare bagni e cucina al piano terra; nè d’altra parte è sufficiente il richiamo alle possibilità di ampliamento edificatorio, in quanto questa ipotesi travalica i parametri normativi e giuridici che presiedono al giudizio di non comoda divisibilità ex art. 720 c.c.; inoltre tale espansione edificatoria avrebbe dovuto essere verificata dal punto di vista strutturale, come invero evidenziato dal CTU in ordine all’esigenza di accertare sotto il profilo statico la possibilità dell’attuale fabbricato di sopportare il peso di un ulteriore piano.

Il ricorrente principale infine fa presente che la sentenza impugnata ha affermato in modo apodittico che i costi per ricavare due unità abitative dal fabbricato comune ammontavano ad Euro 7.500,00, senza esaminare analiticamente la qualità e la consistenza delle relative spese.

La censura è inammissibile.

Premesso che anche il motivo in esame risulta accompagnato dalla formulazione di un principio di diritto del tutto identico a quello enunciato con il primo motivo, si osserva che il suo contenuto come sopra riportato induce a ritenere che il ricorrente principale ha inteso in realtà denunciare un vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione al convincimento espresso in ordine alla comoda divisibilità degli immobili oggetto di causa; pertanto, mentre da un lato si manifesta irrilevante il principio di diritto suddetto, per altro verso occorre rilevare che il pur denunciato vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 comportava ex art. 366 "bis" c.p.c. una sintesi del fatto controverso che in realtà è stata del tutto omessa.

Con il terzo motivo B.F., deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, censura la sentenza impugnata per aver condannato l’esponente a corrispondere alle controparti una somma a titolo di canoni di locazione per l’utilizzo dell’immobile comune da parte dell’istante dall’apertura della successione fino alla pronuncia della sentenza; il ricorrente principale, premesso che alla morte dei genitori era titolare di 3/5 della proprietà indivisa del bene, assume di non aver frapposto nessun impedimento all’uso di esso da parte degli altri eredi, che come tali erano entrati nel possesso dell’immobile nella quota di 2/5.

La censura è inammissibile.

Premesso che il motivo in esame è corredato dal principio di diritto secondo il quale "la detenzione di un bene da parte di un coerede non priva gli altri coeredi (non detentori) del compossesso del bene ereditario, perchè costoro succedono nella stessa situazione possessoria che faceva capo al de cuius, senza necessitò di alcun atto materiale di apprensione e che un uso più ampio della cosa comune è ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall’art. 1102 c.p.c., comma 1", si rileva che il contenuto concreto della censura si sostanzia nella denuncia di un vizio di motivazione in ordine al convincimento del giudice di appello, basato su di un accertamento di fatto, secondo cui l’obbligo di B.F. di versare un corrispettivo in favore degli altri condividenti per il i godimento degli immobili dall’apertura della successione fino al momento della decisione, era conseguente alla circostanza, emersa pacificamente in giudizio, che l’edificio in questione, nella sua attuale conformazione, era assolutamente insuscettibile di utilizzazione separata tra i coeredi, essendovi una sola cucina ed un unico servizio igienico; pertanto, se da un lato il principio di diritto sopra enunciato si rivela inconferente, dall’altro si osserva che il denunciato vizio di motivazione avrebbe richiesto ai sensi dell’art. 366 "bis"c.p.c. una sintesi del fatto controverso che in realtà è stata del tutto omessa.

Il ricorso principale è quindi infondato.

Esaminando a tal punto il ricorso incidentale, si osserva che con l’unico motivo formulato, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 535 – 723 e 820 c.c. nonchè omessa o insufficiente motivazione, B.I. rileva che la Corte territoriale, dopo aver affermato che gli appellanti avevano diritto al corrispettivo dei godimento degli immobili dall’apertura della successione (ottobre 1997) fino allo scioglimento della comunione, ha liquidato, in aggiunta alla somma di Euro 24.320,00 già liquidata dal giudice di primo grado fino al gennaio 2004 (data della CTU), l’ulteriore somma di Euro 7.680,00 per il periodo da gennaio 2004 al gennaio 2006, mentre in realtà la sentenza impugnata è stata pubblicata il 16-1- 2007, cosicchè non è dato intendere la ragione per la quale il pagamento del suddetto corrispettivo è stato limitato al gennaio 2006; inoltre il giudice di appello ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta degli appellanti principali in ordine al riconoscimento dell’obbligo di B.F. di pagare il suddetto corrispettivo fino al passaggio in giudicato della sentenza che dispone la divisione; in proposito la ricorrente incidentale sollecita l’enunciazione del seguente principio di diritto: "il comproprietario che permanga nel possesso esclusivo di beni ereditari di proprietà comune, insuscettibili, in ragione della loro consistenza e conformazione, di godimento da parte di altri comproprietari, è tenuto al pagamento del corrispettivo per tale godimento esclusivo in favore dei comproprietari in proporzione delle relative quote di diritto fino al passaggio in giudicato della sentenza che dispone la divisione".

La censura è inammissibile in relazione ad entrambi i profili enunciati.

Anzitutto si osserva che il giudice di appello, pur avendo liquidato nel dispositivo anche la somma di Euro 7.680,00 per il suddetto titolo per l’ulteriore periodo dal deposito della CTU "ad oggi", nella motivazione ha invece indicato quale termine finale il gennaio 2006 anzichè il gennaio 2007 (data di pubblicazione della sentenza) per mero errore materiale, emendabile ex art. 287 c.p.c. e non già con ricorso per cassazione.

Con riferimento poi alla dedotta omessa pronuncia sulla pretesa della ricorrente incidentale di ottenere il riconoscimento del corrispettivo per l’esclusivo godimento da parte di F. B. degli immobili oggetto del presente giudizio fino al passaggio in giudicato della relativa sentenza di divisione, si rileva che l’omessa pronuncia su alcuni motivi di appello, risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (come invece è avvenuto nella fattispecie), in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice di merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo "error in procedendo" – ovvero della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere ad al giudice di legittimità – in tal caso anche giudice del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello; pertanto la mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice di merito ed impedendo il riscontro "ex actis" dell’assunta omissione, rende inammissibile il motivo (Cass. 27-1-2006 n. 1755; Cass. 7-7-2004 n. 12475); nella fattispecie, quindi, non avendo la ricorrente incidentale denunciato la violazione dell’art. 112 c.p.c., anche tale parte del motivo è inammissibile.

Il ricorso incidentale deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla reciproca soccombenza, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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