Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-10-2011) 24-11-2011, n. 43341

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 22.3.2011 il Tribunale del Riesame di Crotone confermava il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso nei confronti di M.R. dal GIP del Tribunale di Crotone, in data 24.2.2011, ai sensi del combinato disposto dell’art. 322 ter, art. 640 quater c.p.p..

Riteneva il Tribunale sussistente il fumus del delitto di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche contestata al capo b) sulla scorta degli atti di indagine confluiti nella informativa della G.d.F-Nucleo di P.T. di Crotone del 13.8.2010. Da tale documentazione emergeva che in data 19.10.2005 B.A. aveva presentato – in qualità di legale rappresentante della società Eurosviluppo Industrale (E.I). che controllava la società Eurosviluppo Elettrica Spa (E.E) autorizzata, in data 18.5.2004, dal Ministero delle Attività Produttive all’esercizio e alla realizzazione della Centrale a ciclo combinato di Scandalo ed opere connesse – richiesta di riconoscimento dello stato di avanzamento dei lavori e di rilascio della fidejussione prestata a titolo di garanzia. A sostegno della richiesta erano state presentate fatture per un importo di Euro 6.470.000,00 relative a forniture poste in essere dalla società PIANIMPIANTI SpA di Milano a favore della E.I. Il 16.10.2006 MELIORBANCA aveva inviato al Ministero una relazione con cui aveva ritenuto ammissibili le spese rappresentate dalle fatture. Il 23.2.2006 il Ministero sulla base di detta relazione aveva provveduto allo svincolo della fidejussione a suo tempo prestata dalla E.I. Dalle dichiarazioni di G.A., Presidente del CdA di PIANIMPIANTI e di V.P., AD di ERGOSUD SpA, titolare dell’autorizzazione per la realizzazione della Centrale di Scandale era dato apprendere che non vi era stata alcuna fornitura di macchinari alla E.I. da parte della PIANIMPIANTI, società di proprietà di M.R., soggetto indicato come legato al mondo della politica, e ideatore dell’operazione finalizzata alla costruzione della centrale in argomento. Il Tribunale del riesame dava altresì atto che dalle indagini emergeva anche che anche E.E. e E.I facevano capo al M.. Il Tribunale rilevava che le contestazioni assunte dalla difesa del M., che aveva parlato di acconti con riguardo alle fatture che avevano determinato la restituzione della fidejussione, mal si conciliavano con la dichiarazione liberatoria di S.A. del marzo 2005 per conto di PIANIMPIANTI che dava atto che i beni forniti erano nuovi di fabbrica in ogni loro parte ed organo e su di loro non gravava alcun vincolo di riserva o di proprietà.

Riteneva quindi sussistente il fumus della truffa aggravata in quanto l’emissione delle false fatturazioni realizzavano quel comportamento artificioso idoneo a trarre in inganno il Ministero che aveva elargito all’E.I. la prima rata pari ad Euro 4.008.000,73. Ricorre per Cassazione il difensore dell’indagato deducendo che il provvedimento impugnato è:

1. nullo per violazione dell’art. 322ter c.p., nonchè per omissione assoluta di motivazione. Lamenta che la somma sequestrata è il profitto del reato sub c) rispetto al quale il M. è estraneo.

Si tratta infatti della prima tranche del finanziamento;

2. nullo per essersi la decisione fondata su un atto inutilizzabile, la relazione del consulente del P.M., sulla quale la difesa non aveva potuto interloquire perchè inserita nel fascicolo ad udienza camerale conclusa 3. nullo per mancanza di gravi indizi nei confronti del M.. Ribadisce che le fatture erano fatture d’anticipo.

4. nullo per violazione degli artt. 483, 48, 476, 479 e 640 bis c.p. nonchè per manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta valenza causale della dichiarazione del marzo 2005 di S.A.. Sostiene che tale dichiarazione non aveva alcuna incidenza causale rispetto alla contestazione di truffa perchè perfettamente inutile in quanto il B. aveva diritto all’erogazione del finanziamento, così come alla restituzione delle fideiussioni concesse in garanzia, anche attraverso la mera esibizione delle fatture d’anticipo e di quelle per la realizzazione di impianti "chiavi in mano";

5. nullo per violazione degli artt. 483, 48, 476, 479 e 640 bis c.p. nonchè per omissione assoluta di motivazione in relazione alla ritenuta ipotesi di concorso del M. nella contestazione di cui al capo b). Sostiene il ricorrente che le fatture indicate come afferenti alla realizzazione di macchinali in realtà erano state emesse per anticipi e per attività di ingegneria. La condotta truffaldina era stata commessa da chi aveva attribuito a quelle fatture un titolo diverso.

La difesa dell’imputato presentava una memoria nella quale veniva richiamata la sentenza delle S.U. di questa Corte N. 26654 del 27.3.2008, che aveva fatto chiarezza sul concetto di profitto del reato, per affermare che il sequestro in argomento non riguardava il profitto del reato di truffa aggravata dal conseguimento di erogazioni pubbliche. Diversamente da quanto affermato dal Tribunale il conseguimento della prima rata di finanziamento pubblico da parte di E.I. non poteva essere riconducibile al reato di truffa, considerato che era stata conseguito (il 10.10.2003 e il 12.10.2004) un anno prima della dichiarazione ritenuta artificiosa nel capo b) di incolpazione.

Il ricorso è infondato.

Osserva innanzi tutto il Collegio che in tema di riesame delle misura cautelari reali, nella nozione di "violazione di legge" per cui soltanto può essere proposto ricorso per Cassazione, a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali; ne consegue che non possono essere dedotti con il predetto mezzo di impugnazione vizi della motivazione, atteso che nel predetto concetto di "violazione di legge", come indicato nell’art. 111 Cost. e art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), non rientrano anche la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, che sono invece separatamente previsti come motivo di ricorso (peraltro non applicabile al ricorso ex art. 325 c.p.p.) dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. SS.UU., 28.1.2004 n. 5876).

Il sindacato demandato alla Corte di Cassazione in subiecta materia ha pertanto un orizzonte circoscritto, dovendo essere limitato, per espresso disposto normativo, alla assoluta mancanza di motivazione ovvero alla presenza di motivazione meramente apparente. E la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo altresì di evidenziare (Cass. sez. 2^, 22.5.1997 n. 3513), con riferimento alla problematica del riesame delle misure cautelari, che il legislatore ha in tal modo inteso sanzionare l’elusione da parte del giudice del riesame del suo compito istituzionale di controllo "in concreto" del provvedimento impugnato, riconducibile alla prescrizione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 125 c.p.p., comma 3, sanzionato a pena di nullità, e dunque deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

Un siffatto sostanziale rifiuto di provvedere si traduce in una peculiare mancanza assoluta di motivazione, riconducibile alla violazione tipica di una norma processuale prevista a pena di nullità (art. 125 c.p.p., comma 3) e pertanto deducibile con il ricorso per cassazione anche nella limitata estensione consentita dall’art. 325 c.p.p.; per contro esulano dalla previsione del predetto art. 325 c.p.p., quei vizi della motivazione consistenti nell’omesso esame, nel contesto dell’iter argomentativo svolto dal Tribunale del riesame per dare contezza delle proprie determinazioni, di specifici fatti ovvero nella illogica o contraddittoria valutazione degli stessi, essendo tali vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ma non dell’art. 325 c.p.p..

Deve aggiungersi che la verifica delle condizioni di legittimità della misura, da parte (prima) del Tribunale e (poi) della Corte di legittimità, non può tradursi in un’anticipata decisione della questione di merito, concernente la responsabilità del soggetto indagato, in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una valutazione prioritaria dell’antigiuridicità del fatto.

Non vi può infatti essere alcun dubbio in ordine alla differenza dei presupposti necessari per l’applicazione delle misure cautelari personali e di quelle reali. In effetti, come è stato ribadito anche dalla Corte Costituzionale (vedi ordinanza n. 153 del 2007 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 324 c.p.p. in relazione all’art. 111 Cost., comma 2, nella parte in cui limiterebbe i poteri del Tribunale del riesame alla verifica della sola astratta possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato), per le misure cautelari reali non è richiesto il presupposto della gravità indiziaria, postulato, invece, in tema di cautele personali, in correlazione alla diversità, pure di rango costituzionale, dei valori coinvolti.

Tale ratio si riflette anche sulla ampiezza del sindacato giurisdizionale relativo alla verifica della base fattuale richiesta per l’adozione delle misure cautelari, valendo il paradigma della qualificata probabilità di responsabilità nelle misure cautelari personali ed il diverso metro del fumus commissi delicti in tema di sequestri. Del resto una tale prospettiva interpretativa trova conforto anche nella interpretazione letterale delle norme che disciplinano l’applicazione delle misure cautelari perchè l’art. 321 c.p.p. non menziona gli indizi di colpevolezza fra le condizioni di applicabilità del sequestro, ne1 è possibile ritenere applicabile, come si è già notato, alle misure cautelari reali l’art. 273 c.p.p., dettato per le misure cautelari personali e non richiamato in materia di misure cautelari reali (vedi ex multis, oltre a SS.UU. penali 25 marzo 1993, Gifuni, già citata, anche Cass. Sez. 6 penale, 9 luglio 1999 – 5 agosto 1999, n. 2672, CED 214185).

I principi enunciati non comportano, però, che il sindacato giurisdizionale operato dal Tribunale del riesame e dalla Corte di Cassazione sulla compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale debba essere meramente astratto e puramente cartolare, disancorato da ogni valutazione della effettiva situazione concreta.

La Corte costituzionale con la sentenza n. 48/1994 in tema di misure cautelari reali aveva già affermato che "il controllo che il giudice è chiamato a operare e tutt’altro che burocratico, dovendosi invece incentrare sulla verifica della integralità dei presupposti che legittimano la misura", precisando che "neppure è però a dirsi che il controllo del giudice non possa in alcun modo spingersi all’esame del fatto per il quale si procede".

Sulla scia di queste importanti affermazioni, le Sezioni unite di questa Corte hanno meglio definito il potere del giudice in tema di sequestro probatorio o preventivo, affermando che il giudice, nel compiere il controllo di legalità che gli spetta, non deve limitarsi a "prendere atto" della tesi accusatoria, ma, senza spingersi sino a una verifica in concreto della sua fondatezza, deve valutare se gli elementi di fatto rappresentati consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica, "tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro" (Sez. Un. n. 23 del 20.11.1996, dep. 29.1.1997, Bassi, rv.

206657; Sez. Un. n. 7/2000). E’ stato così affermato che l’unica differenza che corre tra giudice cautelare e giudice del merito è che il primo non ha poteri di istruzione e di valutazione probatoria, che sono incompatibili con la natura cautelare del giudizio, ma che tuttavia conserva in pieno il potere di valutare in punto di diritto se sulla base delle prospettazioni hic et inde dedotte ricorra il reato contestato. Si tratta di una valutazione provvisoria dettata dalla urgenza, che dovrà essere approfondita dal giudice di merito dopo il compimento della istruzione probatoria, ma che deve essere reale, al fine di evitare che il controllo di garanzia del giudice sia vanificato, lasciando così al solo Pubblico Ministero il potere di espropriare unilateralmente, sia pure non a tempo indeterminato, diritti patrimoniali garantiti dalla Costituzione. Nel caso di specie il giudice del riesame ha fatto corretta applicazione del principi espressi dando atto di avere esaminato e valutato gli elementi accusatori e quelli prospettati dalla difesa e all’esito di essere pervenuto alla affermazioni di sussistenza del fumus di cui ha dato conto nel provvedimento in questa sede censurato In particolare ha dato contezza delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti e ha indicato, sia pure sommariamente, le ragioni, individuate nella indagine espletata dai militari della G.d.F., che rendono allo stato sostenibile l’impostazione accusatoria. Le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in censure che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di un provvedimento del Tribunale del Riesame che, come già detto, ha fatto corretta applicazione dei principi di legge in materia.

Con il 2^ motivo lamenta genericamente l’inutilizzabilità della relazione a firma del consulente della Procura, depositata agli atti del Tribunale, ad udienza camerale conclusa, con la quale quest’ultimo avrebbe replicato all’esperto della difesa e sulla quale il ricorrente afferma essere stata improntata la motivazione del Riesame, senza però fornire una compiuta rappresentazione e dimostrazione del contenuto di tale relazione che si asserisce essere stata recepita dal giudice di merito, incorrendo così nella inosservanza del principio di autosufficienza del ricorso. Con il motivo sub 4 lamenta un vizio di motivazione inammissibile in questa sede, così come i motivi sub 1 e 5 che si risolvono nella sollecitazione ad una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dal Tribunale, che ha indicato che il conseguimento della prima rata di finanziamento pubblico alla E.I. è avvenuta con decreto del 9.8.2005, preclusa in questa sede di legittimità.

Con riguardo al motivo sub 3 sarebbe sufficiente richiamare l’ampiezza del sindacato giurisdizionale relativo alla verifica della base fattuale richiesta per l’adozione delle misure cautelari reale in argomento, come sopra indicato, per dichiararne l’infondatezza, deve però rilevarsi che il Tribunale nell’indicare la sussistenza del fumus del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ha dato conto della sussistenza di elementi che attestano il coinvolgimento del M. nell’emissione delle false fatturazioni e dunque nella realizzazione degli artifici e raggiri rivelatisi idonei a trarre in inganno il competente ministero. Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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