Cass. civ. Sez. II, Sent., 08-06-2012, n. 9352 Simulazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 2 agosto 1994, F. e C.U., premesso che in data 12 marzo 1990 il padre C.G., poi deceduto il (OMISSIS), aveva alienato al figlio Vi. l’intera sua proprietà, costituita da un podere con sovrastanti fabbricati rurali, con atto notarile di compravendita da ritenere simulato, sia perchè lo stesso non aveva inteso trasferire la proprietà dei beni in questione, ma era stato indotto a compiere l’atto dall’acquirente, che gli aveva dato ad intendere che si trattasse di atto volto ad ottenere un finanziamento necessario per la coltivazione del fondo, in forza del quale egli non avrebbe perso la titolarità degli immobili, sia perchè il corrispettivo pattuito in L. 300.000.000 non gli era poi stato effettivamente corrisposto, sia perchè il contratto era stato redatto nella falsamente prospettata incapacità del padre ad apporre la firma, smentita dalla sottoscrizione, da parte dello stesso, della dichiarazione datata 15 ottobre 1990, nella quale era stata dallo stesso manifestata la convinzione di essere tuttora proprietario del terreno compravenduto, convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Rovigo il fratello Vi., lamentando di essere stati lesi da tale negozio nei propri diritti di legittimari, e chiedendo che venisse accertata la nullità o l’inesistenza del contratto in quanto privo di sottoscrizione, e, in subordine, che venisse dichiarata la simulazione assoluta o relativa per essere mancata la volontà dell’alienante di vendere i beni ovvero per essersi voluta tra le parti in realtà una donazione in favore del convenuto.

Il Tribunale adito rigettò le domande sul rilievo che l’atto di compravendita era stato stipulato validamente pur in assenza della sottoscrizione dell’alienante, da ritenere analfabeta, come dallo stesso dichiarato al notaio rogante e come emerso anche da altri atti, nonchè alla stregua della considerazione che non vi era alcuna prova – a parte la dichiarazione del 15 ottobre 1990, smentita dal defunto congiunto delle parti – della pretesa simulazione assoluta o relativa della stessa compravendita.

La decisione fu impugnata da F. e C.U..

2. – Con sentenza depositata il 16 dicembre 2005, la Corte d’appello di Venezia rigettò il gravame. Premesso che gli attori avevano precisato di non aver proposto domande tese alla ricostituzione dell’asse ereditario o alla restituzione delle somme indebitamente trattenute in aggiunta a quella di nullità o simulazione del contratto di compravendita, osservò la Corte di merito che gli attori a torto pretendevano di risolvere la controversia valorizzando, ex art. 215 cod. proc. civ., la dichiarazione del 15 ottobre 1990, considerato che, a fronte del mancato disconoscimento da parte degli appellanti, analoga valenza probatoria aveva la dichiarazione in data 26 gennaio 1991, resa da C.G. dinanzi al cancelliere della Pretura di Andria e che gli atti pubblici prodotti consentivano di risolvere la questione a favore della tesi dell’analfabetismo del C..

La mancanza di una controdichiarazione, non identificabile nella dichiarazione proveniente dalla stessa parte, nei cui diritti gli appellanti erano succeduti, rispetto alla quale è comunque estraneo l’acquirente appellato, unita alla veste degli appellanti quali eredi di C.G., evidenziava poi la infondatezza delle ulteriori censure relative alla pretesa simulazione assoluta o relativa della compravendita in data 12 marzo 1990.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono F. e C. U. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso C. V.. Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 536 e 555 cod. civ. nonchè contraddittoria ed insufficiente motivazione. Avrebbe errato la Corte di merito nel rigettare le domande proposte dagli attuali ricorrenti sulla base del solo rilievo della mancanza di una controdichiarazione – unica prova ammissibile della simulazione del contratto tra le parti – e della veste degli stessi di eredi di C.G., i quali, per effetto della mancata proposizione di azione di riduzione, avrebbero, secondo la sentenza impugnata, acquistato la medesima posizione processuale del de cuius, restando, pertanto, assoggettati ai limiti probatori previsti per le parti in caso di simulazione. In tal modo il giudice di secondo grado avrebbe negato ogni valore alle istanze istruttorie prodotte dalle parti a sostegno delle domande sollevate in giudizio, incorrendo in una grave violazione della normativa in materia di prova della simulazione ex art. 1417 cod. civ.. E prima ancora la Corte territoriale avrebbe errato nell’identificare l’erede legittimario leso esclusivamente nel soggetto che agisce in riduzione, senza considerare che il legittimario che non possa soddisfare sul relictum il proprio diritto alla quota di riserva, e che chieda che venga accertato che una vendita posta in essere dal de cuius sia simulata, agisce a tutela dei suoi diritti successori lesi.

Nè la Corte avrebbe valutato la circostanza della esistenza di un valido testamento con il quale C.G. aveva lasciato la quota di legittima a tutti i figli in parti uguali, riservando la quota disponibile al figlio Vi., sicchè non era necessario che gli altri figli agissero in riduzione, risultando sufficiente, per far loro acquisire la quota di legittima ad essi riservata, esperire l’azione di simulazione e di nullità dell’atto di compravendita in questione.

2. – Con la seconda censura si lamenta la violazione dell’art. 1417 cod. civ. e la omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia. Il motivo insiste sull’errore commesso dalla Corte di merito nel ritenere applicabili agli appellanti, attuali ricorrenti, i limiti alla ammissibilità della prova della simulazione previsti per le parti, e, perciò, nel negare valore alle istanze istruttorie proposte dagli stessi a sostegno delle proprie domande.

3.1. – Le censure, che, stante la stretta connessione logico- giuridica, vanno esaminate congiuntamente, risultano infondate.

3.2. – E’, anzitutto, immeritevole di accoglimento la critica incentrata sul rigetto da parte della Corte territoriale della domanda di accertamento della nullità dell’atto di compravendita del 12 marzo 1990 per essere stato stipulato seconde la normativa in materia di analfabetismo pur in mancanza del requisito della incapacità di sottoscrivere il documento. La ragione della infondatezza di tale profilo di doglianza risiede nella circostanza che sul punto il giudice di secondo grado ha ragionevolmente e motivatamente valorizzato la emersione di elementi idonei a confermare l’analfabetismo di C.G. (atti pubblici ed annotazione "analfabeta" contenuta nella carta di identità rilasciata allo stesso dal Comune di (OMISSIS)).

3.3. – Quanto al mancato accoglimento delle domande di simulazione, fondato dal giudice di secondo grado sulla inesistenza di una controdichiarazione che accompagnasse il negozio asseritamente simulato, e sulla negazione della veste di terzi ad esso estranei in capo agli odierni ricorrenti – avuto riguardo alla loro qualità di eredi del defunto C., ed alla mancata proposizione dell’azione di riduzione -, con conseguente applicabilità nei confronti dei medesimi dei limiti di cui all’art. 1417 cod. civ. alla prova, della simulazione, non può che confermarsi la correttezza della decisione impugnata.

Ed infatti, alla stregua dell’orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il successore a titolo universale mortis causa subentra nella posizione giuridica del de cuius ed è soggetto, pertanto, in tema di simulazione del negozio posto in essere dal suo dante causa, alle limitazioni della prova per testi e per presunzioni alle quali era soggetto quest’ultimo come parte contraente, mentre l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita fatta dal de cuius dissimulante una donazione agisce per la tutela di un proprio diritto e deve considerarsi terzo rispetto alle parti contraenti, con conseguente ammissibilità senza limiti della prova testimoniale e per presunzioni quando, contestualmente all’azione di simulazione, proponga – sulla premessa che l’atto simulato comporti una diminuzione della sua quota di riserva – una domanda di riduzione (o di nullità o di inefficacia) della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare che il bene fa parte dell’asse ereditario e che la quota spettantegli va calcolata tenendo conto del bene stesso, e non pure quando proponga in via principale ed autonoma solo la domanda di simulazione (v Cass., sentt. n. 20868 del 2004, n. 11286 del 2002).

4. – Con il terzo motivo si deduce la violazione, ovvero la errata interpretazione, del combinato disposto dell’art. 214 c.p.c. e dell’art. 215 c.p.c., n. 2, e dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2702 cod. civ., nonchè la omessa valutazione delle prove.

Avrebbe ancora errato la Corte di merito nell’equiparare il mancato disconoscimento della scrittura privata del 15 ottobre 1990, sottoscritta da C.G., al mancato disconoscimento di una dichiarazione resa dallo stesso G. presso la Pretura di Andria il 26 gennaio 1991. Ed infatti, il mancato disconoscimento della scrittura privata da parte di colui contro il quale è stata prodotta fa acquisire alla scrittura medesima efficacia di piena prova fino a querela di falso ai fini della successiva valutazione da parte del giudice. Nella specie, la scrittura del 15 ottobre 1990 era già stata prodotta nel corso di un primo procedimento innanzi al tribunale di Rovigo promosso mentre era ancora in vita G. C., il quale non la aveva espressamente disconosciuta. E nemmeno il convenuto Ca.Vi. aveva mai, nel corso del secondo procedimento, dichiarato espressamente di non conoscere tale scrittura sottoscritta dal padre, limitandosi ad addurre che la firma sarebbe stata apposta attraverso una forzatura della mano del genitore. A tale mancato disconoscimento non potrebbe essere equiparato il mancato disconoscimento da parte degli attori di una dichiarazione resa da C.G. in via stragiudiziale innanzi al cancelliere della pretura di Rovigo, sez. dist. di Adria, peraltro nemmeno sottoscritta, perchè proveniente da persona che si dichiarava analfabeta, e che poteva essere solo oggetto eventualmente di una contestazione sulla veridicità e consapevolezza di quanto affermato dallo stesso C.G., ultraottantenne.

5.1. – Anche tale censura risulta priva di pregio.

5.2. – A prescindere dalla considerazione che – come correttamente rilevato nel controricorso – la scrittura privata ha efficacia di piena prova fino a querela di falso della sola provenienza delle dichiarazioni in essa contenute da chi ne risulta il sottoscrittore, circostanza, nella specie, non negata dal giudice di secondo grado, decisivo al riguardo si appalesa il rilievo della Corte di merito in ordine alla smentita che del contenuto di quella scrittura fu compiuta dallo stesso autore in presenza di un pubblico ufficiale, il cancelliere della Pretura di Rovigo, sez. distaccata di Andria, in data 26 gennaio 1991, dichiarando che la sottoscrizione quella scrittura del 15 ottobre 1990 gli era stata estorta conducendogli la mano, e che egli non era neanche a conoscenza del contenuto di detto documento.

6. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio – che vengono liquidate come da dispositivo – devono, per il principio della soccombenza, essere poste a carico dei ricorrenti in solido.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012
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