Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-06-2012, n. 9348 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado e accogliendo l’eccezione di decadenza dall’azione giudiziaria formulata dall’INPS, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta da C.S. per il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva prevista dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, per i lavoratori esposti all’amianto, ritenendo ampiamente decorso, alla data del deposito del ricorso giurisdizionale, il termine triennale previsto dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (nel testo di cui al D.L. n. 384 del 1992, art. 4, convertito nella L. n. 438 del 1992) rispetto all’epoca della presentazione della domanda amministrativa del beneficio. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta sul rilievo che il beneficio in questione, in quanto strumentale al conseguimento della pensione, partecipa della natura previdenziale propria di tale prestazione, restando, quindi, la relativa domanda giudiziale soggetta al medesimo termine di decadenza. Nè, secondo la Corte, poteva invocarsi, nella specie, il principio – affermato da Cass. Sez. un. n. 12720/2009 – secondo cui la decadenza dall’azione giudiziaria non trova applicazione nel caso di domanda volta all’adeguamento di una prestazione (pensionistica o temporanea) già riconosciuta all’assicurato, perchè il C., nel 1996, al tempo della domanda amministrativa, non era titolare di alcuna pensione.

C.S. ricorre per la cassazione di questa sentenza con due motivi. L’INPS resiste con controricorso. Le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Nel primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.L. n. 384 del 1992, art. 4 – con riferimento alla domanda di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto, concessi con la L. n. 257 del 1992 – modificato con il D.L. n. 269 del 2003 ed il D.M. 27 ottobre 2004 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3). Censura la sentenza impugnata per avere, nel suo ragionamento, ritenuto intimamente connesse la richiesta del beneficio contributivo e la successiva erogazione della pensione, così da qualificare erroneamente la prima come richiesta di una "prestazione pensionistica". Conclude osservando che la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, preso a riferimento dalla sentenza impugnata, non può riguardare le domande della rivalutazione contributiva proposte – come nel caso di specie – da chi non sia titolare di alcun trattamento pensionistico, avendo essa ad oggetto soltanto il diritto a veder rivalutato un periodo lavorativo, sia pure ai fini di un eventuale futuro trattamento di pensione.

2. Nel secondo motivo il ricorrente deduce (sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) violazione e falsa applicazione del termine decadenziale di cui al D.L. n. 384 del 1992, art. 4, nel caso in cui l’azione giudiziaria sia stata proposta dopo la presentazione di una domanda amministrativa alla quale non sia stato dato alcun riscontro da parte dell’ente previdenziale, restando, quindi, inosservate, le prescrizioni del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 5, quanto alle indicazione che l’ente previdenziale destinatario deve fornire in ordine ai tempi di proposizione dei ricorsi amministrative e dell’azione giudiziaria.

3. Il primo motivo di ricorso non è fondato.

4. Osserva il Collegio che questa Corte, decidendo numerose analoghe controversie (cfr., in particolare, Cass. sent. n. 12685 del 2008 e 12052 del 2011; ord. n. 7138 del 2011 e 8926 del 2011), si è espressa, costantemente, nel senso che la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (convertito nella L. n. 438 del 1992), opera anche con riferimento alle domande giudiziarie aventi ad oggetto la maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto prevista, "ai fini delle prestazioni pensionistiche", dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.

5. Secondo le richiamate decisioni, infatti, l’art. 47 citato, per l’ampio riferimento fatto alle "controversie in materia di trattamenti pensionistici", comprende tutte quelle in cui venga in discussione non solo la quantificazione della pensione, ma l’esistenza stessa del diritto fatto valere, così da doversi ritenere inclusa, nella previsione di legge, anche la richiesta di rivalutazione dei contributi previdenziali necessari a calcolare la pensione.

6. Ritiene il Collegio che le conclusioni su esposte siano da condividere e che, quindi, la questione dibattuta debba essere risolta nei sensi di cui alla sentenza impugnata. In effetti, sussiste una stretta connessione dell’invocato beneficio con il diritto alla pensione, avendo la L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 – con la previsione della rivalutazione, secondo il coefficiente 1,5, dei periodi di lavoro con esposizione all’amianto – istituito un sistema più favorevole di calcolo dell’anzianità contributiva ai fini della determinazione del contenuto dei trattamenti pensionistici (di anzianità e di vecchiaia) ed essendo, quindi, la rivalutazione in parola necessariamente strumentale alla maturazione del diritto di accesso ai trattamenti medesimi, come pure alla determinazione del relativo importo (vedi, in particolare, Corte cost. sent. n. 376 del 2008, in motivazione e Cass. n. 21862 del 2004, n. 15008 del 2005, n. 15679 del 2006). Vale, al riguardo, ricordare che, mentre nel regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 47 (convertito nella L. n. 326 del 2003 e poi oggetto dei chiarimenti apportati con la L. n. 350 del 2003, art. 3, comma 132), il fine precipuo della più favorevole modalità di calcolo della contribuzione era quello di favorire l’esodo dal mondo del lavoro del maggior numero di lavoratori che subivano, sul piano occupazionale, le conseguente della voluta dismissione dell’amianto (anche se la giurisprudenza di questa Corte, confortata da quella costituzionale, aveva ritenuto estensibile l’applicazione del beneficio anche ai soggetti che avevano conseguito il pensionamento con gli ordinari criteri di calcolo dopo l’entrata in vigore della L. n. 257 del 1992, allorquando, con tali criteri, non fosse stata da costoro raggiunta l’anzianità contributiva massima di quarant’anni: sul punto, in particolare, Corte cost. sent. n. 434/2002 e Cass. n. 17528/2002), in base alla nuova normativa contenuta nell’art. 47 del citato decreto legge, la rivalutazione dei periodi lavorativi muta di funzione e di struttura, non essendo più funzionale a un anticipato conseguimento della pensione, ma rilevando solamente – e in presenza delle altre condizioni di legge – ai fini della sua misura. Resta, comunque, identica, nell’uno e nell’altro regime, la natura pensionistica della controversia, venendo, in ogni caso, in questione – attraverso la determinazione della base di computo della contribuzione previdenziale – il contenuto del diritto a pensione, si tratti di verificarne la sussistenza ovvero di quantificarne la misura.

7. Significativo in tal senso è, del resto, il disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, laddove espressamente riconosce il diritto alla rivalutazione contributiva esclusivamente "ai fini delle prestazioni pensionisti che" e, quindi, come beneficio privo di rilevanza nella formazione dell’estratto contributivo dell’avente diritto (com’è proprio, invece, dei contributi cosiddetti "figurativi", rilevanti a vari effetti) e destinato, invece, ad essere applicato soltanto al momento del pensionamento dell’interessato.

8. E’ da aggiungere, che essendo il riconoscimento del diritto dei soggetti destinatari del ripetuto incremento contributivo ancorato a un "fatto" (appunto, l’esposizione all’amianto) la cui esistenza è conosciuta (e conoscibile) soltanto dall’interessato, deve ritenersi necessaria la presentazione di un’apposita domanda rivolta all’ente previdenziale onerato della corresponsione del beneficio anche nel regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, art. 47), (che, attualmente, ne impone l’obbligo a pena di decadenza): ed a tale domanda deve aversi riguardo ai fini della verifica della tempestività dell’azione giudiziaria ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel testo di cui al citato D.L. n. 384 del 1992.

8. Il secondo motivo di ricorso è, anch’esso, privo di fondamento giusta il principio, da ritenersi ormai consolidato, espresso dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. n. 12718 del 2009) a composizione del contrasto sorto nella giurisprudenza della Sezione lavoro (e in dissenso, in particolare, da Cass. n. 21595/2004 citata dall’odierno ricorrente), alla stregua del quale "In tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, il D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 (nel testo modificato dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, convertito, con modificazioni, nella L. 14 novembre 1992, n. 438) dopo avere enunciato due diverse decorrenze delle decadenze riguardanti dette prestazioni (dalla data della comunicazione della decisione del ricorso amministrativo o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della detta decisione), individua infine – nella "scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo" – la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui alla L. 11 agosto 1973, n. 533, art. 7 e di centottanta giorni, previsto dalla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 46, commi 5 e 6), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo – pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria – non consente lo spostamento in avanti del "dies a quo" per l’inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno). Ne consegue che, alfine di impedirne qualsiasi sforamento in ragione della natura pubblica della decadenza regolata dall’anzidetto art. 47, il termine decorre, oltre che nel caso di mancanza di un provvedimento esplicito sulla domanda dell’assicurato, anche in quello di omissione delle indicazioni di cui al comma quinto del medesimo art. 47".

9. In conclusione, del tutto correttamente la sentenza impugnata ha dichiarato inammissibile la domanda giudiziaria proposta dal C. per avvenuta maturazione del termine di decadenza triennale previsto dal cit. D.L. n. 384 del 1992, art. 4, nel caso di specie decorrendo il termine in questione, per effetto del silenzio serbato dall’INPS, dal 301 giorno successivo alla presentazione della domanda amministrativa del beneficio e non contestandosi, in questa sede, l’accertamento della Corte territoriale secondo cui il ricorso giurisdizionale era stato depositato il 31 maggio 2005 a fronte di una domanda amministrativa presentata il 16 febbraio 1996.

10. Il ricorso va, quindi, rigettato.

11. Ritiene equo la Corte compensare tra le parti le spese del giudizio di cassazione, in considerazione del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulla questione oggetto di causa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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