Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-06-2012, n. 9345 Trattenimento in servizio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 28,10.09 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame interposto da T.A., dirigente scolastico, contro la sentenza con cui il Tribunale capitolino ne aveva rigettato la domanda intesa ad ottenere dall’Ufficio Regionale per il Lazio il mantenimento in servizio fino al compimento del 70 anno d’età – dopo che aveva già ottenuto di restare in servizio fino al 67 anno d’età – ai sensi del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 509 e ciò per raggiungere il limite massimo pensionistico dei 40 anni.

Statuivano i giudici del gravame la discrezionalità dell’amministrazione nello scegliere se accogliere o meno detta istanza; asserivano, inoltre, che la concessione del beneficio invocato, chiesto subito dopo l’accoglimento dell’istanza di trattenimento in servizio fino al 67 anno d’età, avrebbe comportato la caducazione di tale secondo beneficio, conseguentemente ritenendosi inutiliter data l’attività già svolta, con violazione dell’art. 97 Cost..

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il T. affidandosi ad un solo articolato motivo, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso il Ministero della Pubblica Istruzione.

Motivi della decisione

1- Con l’unico articolato motivo di ricorso si nega che l’attività già svolta in forza del mantenimento in servizio per un biennio risulterebbe inutiliter data in caso di accoglimento dell’ulteriore istanza di prosecuzione del rapporto d’impiego fino al 70 anno d’età – essendo i due benefici cumulabili – e che quello invocato dal T. è un vero e proprio diritto soggettivo, come desumibile dall’ordinanza 7.6.2000 n. 195 della Corte cost., che non lascia spazio a valutazione discrezionali da parte dell’amministrazione;

infatti – prosegue il ricorrente – nell’art. 509 cit. il legislatore, operando una scelta discrezionale fatta salva dalla Corte cost., garantisce il diritto soggettivo del lavoratore non solo al trattenimento in servizio fino al raggiungimento dell’anzianità minima (comma 3), ma anche quello a proseguire il rapporto sino a raggiungere la pensione massima (comma 2), vista l’identità anche letterale delle locuzioni adoperate in rapporto alle due situazioni.

Aggiunge il ricorso che, anche a voler diversamente opinare, la motivazione in ordine alla pretesa discrezionalità dell’amministrazione nel negare o concedere il trattenimento in servizio fino al 70 anno d’età costituisce una valutazione effettuata motu proprio dalla Corte territoriale e non dall’amministrazione, cui sarebbe spettata in via esclusiva previa congrua motivazione.

Il motivo è infondato alla stregua delle considerazioni appresso svolte, con cui si correggono ex art. 384 c.p.c., u.c. le argomentazioni addotte dalla gravata pronuncia.

Come questa S.C. ha già avuto modo di statuire in analoga fattispecie (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 16: cfr. Cass. 21.8.07 n. 17776, alla quale a sua volta rinvia, in motivazione, anche Cass. 10.6.08 n. 15337), se il dipendente ha il diritto potestativo di restare in servizio fino al compimento del 67 anno di età, diritto che può essere lì esercitato dall’interessato in ogni tempo antecedente alla risoluzione automatica del rapporto per il compimento dell’età massima di servizio, assolvendo al solo onere del preventivo invio della comunicazione dell’opzione al datore di lavoro, che impedisce l’estinzione del rapporto (cfr. altresì Cass. 24.1.06 n. 1297), non altrettanto può dirsi in ordine al trattenimento in servizio fino al 70 anno di età, che dipende dal potere discrezionale dell’amministrazione.

Lo stesso accade in relazione al D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 509 che prevede due ipotesi significativamente diverse quanto a tenore letterale.

Il cit. art. 509, comma 5 così recita: "Al personale di cui al presente titolo è attribuita, come alla generalità dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici, la facoltà di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della L. 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposto per essi previsti.".

Dunque, per quanto concerne la possibilità di "permanere in servizio", per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti d’età per il collocamento a riposo, la norma parla espressamente di "facoltà" attribuita "Al personale di cui al presente titolo …

come alla generalità dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici".

Il dato testuale è inequivocabile: si tratta di una "facoltà" attribuita non all’amministrazione, ma alla "generalità" del personale civile, di "permanere in servizio" (e non di esservi trattenuto), sicchè deve concludersi nel senso d’un vero e proprio diritto soggettivo incondizionato del singolo lavoratore a restare in servizio per un ulteriore biennio dopo il raggiungimento dei limiti d’età per il collocamento a riposo.

Ben diversa è la formulazione della norma laddove parla dell’ipotesi oggetto della presente controversia: "Il personale in servizio al ottobre 1974, che debba essere collocato a riposo per limiti di età e non abbia raggiunto il numero di anni di servizio richiesto per il massimo della pensione, può essere trattenuto in servizio fino al conseguimento della pensione nella misura massima e non oltre il settantesimo anno di età." (v. originario cit. art. 509, comma 2).

In essa si parla della possibilità per lavoratore, una volta raggiunto il limite d’età per il collocamento a riposo, di "essere trattenuto in servizio" e non di "permanere" in esso.

Non si menziona più, invece, una qualche "facoltà" del dipendente.

A sua volta il riferimento al concorrente requisito perchè si faccia luogo a tale trattenimento in servizio, vale a dire al non avere il dipendente "raggiunto il numero di anni di servizio richiesto per il massimo della pensione", costituisce un incentivo affinchè il lavoratore accetti di essere trattenuto in servizio, in tal caso fruendo del beneficio di potere migliorare la propria anzianità contributiva, non ancora raggiunta nel massimo consentito.

Analogo incentivo è previsto per l’ipotesi – speculare – di cui al cit. art. 509, comma 3 in cui il trattenimento in servizio è collegato al mancato raggiungimento del numero di anni di servizio richiesto non più per il massimo della pensione, bensì per il minimo.

Si noti, invece, che nessuna norma di legge o principio giurisprudenziale aliunde ricavabile prevede il diritto al raggiungimento dell’anzianità contributiva massima, nè tale diritto ha una copertura costituzionale: in tal senso espressamente si pronuncia proprio l’ordinanza 7.6.2000 n. 195 della Corte cost.

invocata dal ricorrente.

Se è vero che detta ordinanza non ritiene di per sè contraria al dettato costituzionale una norma che affidasse alla scelta potestativa del lavoratore il diritto di permanere in servizio fino al raggiungimento del numero di anni di servizio richiesto per il massimo della pensione, nondimeno è altrettanto indiscutibile che essa non suffraga l’interpretazione dell’art. 509, comma 2 cit.

propugnata dal ricorrente.

Anzi, semmai fa l’esatto contrario nella parte in cui asserisce "che la facoltà di permanere in servizio per un biennio oltre i limiti di età previsti per il collocamento a riposo (D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297, art. 509, comma 5, e D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 16) si riferisce ad un biennio oltre i limiti di età per il collocamento in pensione, previsti in via normale per la determinata categoria di personale e non in riferimento ai limiti derivanti da ulteriori benefici di proroga o di trattenimento in servizio per conseguire il minimo pensionabile o il massimo del servizio valutabile, come risulta evidente dalla formulazione della norma che adotta l’espressione limite di età, con evidente riferimento a quelli ordinari per ciascuna categoria e non a quelli di prolungamento del servizio oltre i limiti in base a particolari benefici previsti da altre disposizioni di favore".

Dunque, il senso dell’ordinanza in questione è – semmai – contrario alla cumulabilità di benefici invocata dal ricorrente, perchè intende la locuzione "limiti d’età" come riferita ai limiti ordinari, al netto di eventuali prolungamenti di servizio.

Nè può condividersi l’obiezione, formulata in ricorso, per cui la valutazione discrezionale di non trattenere in servizio il T. sarebbe stata illegittimamente operata dalla sentenza impugnata anzichè dall’amministrazione: la Corte territoriale si limita ad affermare la discrezionalità della scelta, non ad avvalorarla o ad integrarla, sicchè eventuali vizi di motivazione del diniego si sarebbero dovuti diversamente impugnare, mentre nel caso di specie la causa petendi dell’odierno ricorrente si è sempre basata sull’asserito diritto potestativo ad essere trattenuto in servizio fino al raggiungimento dell’anzianità contributiva massima, negando il T. in radice che l’amministrazione potesse rifiutargli la prosecuzione del rapporto.

Ulteriore argomento che milita contro l’esegesi proposta dall’odierno ricorrente circa l’asserito diritto potestativo, in capo al lavoratore, di cumulare le due ipotesi di protrazione del rapporto di lavoro oltre i limiti per il collocamento a riposo è dato dal rilievo che essa crea un’insanabile antinomia all’interno dello stesso articolo di legge, perchè in tal caso il biennio di cui al comma 5 non sarebbe più un periodo "massimo" (così espressamente lo qualifica il testo), potendo essere – appunto – prorogato ad opera dello stesso lavoratore mediante ricorso alla previsione del precedente comma 2 nel senso sostenuto in ricorso.

Nè valga obiettare che tale proroga sarebbe condizionata dal concorso d’un requisito ulteriore non previsto dal comma 5, ossia il non avere ancora raggiunto il numero di anni di servizio richiesto per il massimo della pensione: la contraddizione rimane rispetto, ad esempio, al lavoratore che a 67 anni d’età non abbia ancora raggiunto il massimo della pensione, perchè in tale evenienza, potendo ancora migliorare la propria anzianità contributiva, facendo ricorso al beneficio di cui al comma 2 comunque potrebbe prolungare l’iniziale biennio, che in tal modo non sarebbe più "massimo".

Da ultimo, è appena il caso di escludere l’asserito passaggio in giudicato dell’affermazione – che si legge nell’impugnata sentenza – circa l’astratta cumulabilità dei due benefici (giudicato invocato dal T. nella memoria ex art. 378 c.p.c.), noto essendo che il giudicato copre le ragioni in base alle quali è stata emessa la sentenza, non già quelle ininfluenti nell’ottica dell’iter argomentativo prescelto dal giudice, come – appunto – l’asserita cumulabilità dei due benefici di cui si legge nella sentenza impugnata; a ciò va aggiunto che – in realtà – la Corte territoriale non ha neppure esplicitamente affermato tale cumulabilità, limitandosi a non condividere la motivazione addotta dal Tribunale e a respingere per altra via la domanda del T..

Le considerazioni che precedono assorbono la questione dell’inammissibilità del ricorso, sollevata dal Ministero della Pubblica Istruzione per omessa specifica indicazione delle norme che si assumono violate.

2- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi, sia pure con integrale compensazione delle spese di lite del presente giudizio di legittimità, atteso che al momento della proposizione della domanda non vi era ancora alcuno specifico precedente di questa S.C. sul tema oggetto di controversia.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa per intero fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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