Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-06-2012, n. 9344 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Lecce, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di R.C. proposta nei confronti della società Ferrovie del Sud Est Gestione Commissariale governativa per le Ferrovie del sud est, di cui era dipendente con inquadramento, da ultimo, nell’area professionale quarta, parametro 116 ex CCNL autoferrotranviari 200/2003,avente ad oggetto la dichiarazione del suo diritto, conseguente allo svolgimento di superiori mansioni, all’inquadramento nell’area professionale terza, parametri 140-160 con conseguente condanna della controparte al pagamento delle relative differenze retributive.

La Corte del merito, ribadito che nel settore degli autoferrotranvieri non trovava applicazione la regola di cui all’art. 2103 c.c. della c.d. promozione automatica, bensì la speciale disciplina di cui al R.D. n. 148 del 1931, All. A, art. 18 e richiamata la sentenza n. 7702 del 2003, accertava che l’attività svolta, per un periodo superiore a sei mesi, dal R. di mansioni inerenti alla manutenzione ed al controllo delle gomme di un notevole parco automezzi pesanti rientrava in quella prevista dal CCNL per gli operatori qualificati.

Rilevava, poi, la predetta Corte che doveva reputarsi sussistente il requisito, e della vacanza di organico -prevedendo la pianta organica la presenza di due operai qualificati, mentre in effetti vi era un solo operaio, e l’inesistenza – in ragione della protrazione dell’incarico per molti anni nonchè dell’omessa indizione di un concorso – di una riserva di concorso per il conferimento della qualifica reclamata.

Riteneva, infine, la Corte territoriale che gli ordini di servizio giornalieri e la turnazione cui il R. era sottoposto costituivano esplicitazione della volontà del datore di lavoro di adibire il dipendente alle superiori mansioni espletate e, quindi, ben era configurabile la ricorrenza del provvedimento formale di adibizione.

Conseguentemente la Corte di Appello accoglieva la domanda del lavoratore.

Avverso questa sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso la società, deducendo violazione del combinato disposto del R.D. 8 gennaio 1931, n. 148, All. A, art. 18 critica la sentenza impugnata per aver la Corte del merito induttivamente ritenuto sussistenti l’esistenza di un provvedimento formale di destinazione all’incarico da parte del Direttore dell’Azienda, la vacanza del posto e l’assenza di riserva della copertura del posto mediante concorso.

Aggiunge che avendo il R. nel 2005 partecipato ad un concorso per acquisire il parametro 130 egli ha prestato acquiescenza alla circostanza che si può accedere al posto reclamato solo mediante concorso e che sino ad allora non aveva svolto mansioni riferibili al parametro 160.

La censura è infondata.

Preliminarmente ritiene il Collegio che la questione dell’acquiescenza è questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata e la società ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non precisa di averla sottoposta ed in quali termini ed in quale atto difensivo al giudice del merito, sicchè la stessa deve considerarsi sollevata per la prima volta dinanzi a questa Corte e come tale va ritenuta inammissibile (Cass. 2 aprile 2004 n. 6542, Cass. Cass. 21 febbraio 2006 n. 3664 e Cass. 28 luglio 2008 n. 20518).

Passando al merito della censura in esame occorre, preliminarmente, ribadire che questa Corte (V. fra le tante Cass. 8 aprile 1997 n. 3027, Cass. 16 dicembre 2000 n. 15897, Cass. 27 agosto 2001 n. 11263 e, da ultimo, Cass. 13 maggio 2010 n. 11615) ha affermato il principio secondo cui al rapporto di lavoro dei dipendenti da imprese esercenti pubblici servizi di trasporto non è applicabile, in tema di svolgimento di mansioni superiori alla qualifica rivestita, la norma dell’art. 2103 c.c., ma sono applicabili le disposizioni di cui al R.D. n. 148 del 1931, all. A, art. 18 la cui persistente vigenza – nonostante la sopravvenuta disciplina della promozione automatica come regola generale del rapporto di lavoro privato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 13 – trova conferma nei richiami ad esso operati da numerosi provvedimenti legislativi posteriori alla L. n. 300 del 1970.

Si tratta, secondo la citata giurisprudenza, infatti di una disciplina speciale, com’è speciale l’intera disciplina del rapporto di lavoro del personale autoferrotranviario per le garanzie di stabilità e di congrua retribuzione assicurate ai lavoratori, in certo qual modo assimilati ai dipendenti pubblici (Cfr. al riguardo Cass. 9 agosto 2002 n. 12119 la quale ha riconosciuto lo ius variandi anche in peius cui adde Cass. 4 aprile 2005 n. 6943). Nè può sottacersi che la peculiarità di questa normativa è strettamente funzionalizzata ad un interesse pubblico identificabile nell’esigenza di assicurare – in modo regolare, e con obiettività – l’espletamento del servizio pubblico, proprio mediante la scelta del personale più idoneo.

Tanto però non esclude, nel caso di prolungata copertura del posto, che questa circostanza possa essere apprezzata e valutata dal giudice quale elemento presuntivo dell’esistenza, e, come ritenuto da questa Corte (Cass. 16 maggio 2003 n. 77029), di una effettiva vacanza del posto che, di fatto, è stato ricoperto dal lavoratore con qualifica inferiore, e di un ordine del Direttore dell’azienda laddove siano riscontrabili reiterate disposizioni di servizio tali da fare presumere una esplicitazione della volontà della Direzione di adibire a mansioni superiori un lavoratore idoneo a tali mansioni, e ancora l’inesistenza di una riserva datoriale di ricoprire il relativo posto mediante concorso.

Non può a tali fini non venire in considerazione, invero, che il prolungato affidamento di mansioni superiori – non rispondendo di per sè all’esigenza temporanea di cui R.D. n. 138 del 1931, All. A, art. 18 – implica, necessariamente, da parte del datore di lavoro – o se si vuole da parte del Direttore – un giudizio di idoneità del lavoratore all’espletamento di siffatte mansioni e risponde, quindi, all’esigenza di assicurare che il servizio pubblico sia svolto da personale idoneo anche senza prova selettiva.

E’ corretta, pertanto, la sentenza impugnata che – accertata, con giudizio di fatto congruamente motivato, e come tale non sindacabile in questa sede di legittimità, la vacanza del posto in organico – ha ritenuto, in considerazione della prolungata assegnazione – nella specie molti anni – del lavoratore a mansioni superiori alla qualifica rivestita che potevano presuntivamente considerarsi sussistenti l’ordine di adibizione e l’assenza di riserva da parte del datore di ricoprire il posto mediante concorso.

Del resto, non può non rimarcarsi che questa Corte, nell’affermare l’implicita abrogazione per incompatibilità con il sistema complessivo del R.D. n. 148 del 1931, all. A, art. 58), prevedente la giurisdizione del giudice amministrativo in materia disciplinare, ha sottolineato che a fronte della chiara ed univoca evoluzione della disciplina complessiva del rapporto di pubblico impiego, diventa più difficile sostenere ancora la piena specialità del rapporto degli autoferrotranvieri che appare vistosamente sbiadita dai numerosi interventi normativi (Cass. S.U. 13 gennaio 2005 n. 460).

La tendenza verso un graduale avvicinamento della disciplina del rapporto di lavoro in questione a quella del rapporto privato, già anticipata dalla L. 29 marzo 1983, n. 93 (legge-quadro sul pubblico impiego) attraverso una valorizzazione dell’autonomia collettiva quale fonte sussidiaria della medesima disciplina, trovò,infatti, il suo culmine nella L. 23 ottobre 1992, n. 421 la quale delegò al Governo la "razionalizzazione e revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale". E si è finito per realizzare tale obiettivo – dapprima con il primo dei decreti delegati (D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) – e poi mediante la graduale soggezione dei rapporti alle norme di diritto civile ed alla contrattazione collettiva e individuale, nonchè alla giurisdizione del giudice ordinario facendo sempre "salvi, per ciò che attiene ai rapporti di pubblico impiego, i limiti collegati al perseguimento degli interessi generali cui l’organizzazione e l’azione delle pubbliche amministrazioni sono indirizzati". Nè può negarsi che la scelta del legislatore di affidare, in via esclusiva, alle parti sindacali il compito di regolamentare il rapporto di lavoro, metteva già allora in crisi una delle ragioni che giustificava la specialità della disciplina del 1931; non risultando più attuale l’esigenza di far convivere, attraverso la predisposizione di un’unica disciplina, la tutela degli interessi generali, collegati al buon funzionamento del servizio, con quelli particolari, propri del contratto di lavoro che legittimava la previsione di una duplice competenza giurisdizionale -( Così Cass. S.U. 13 gennaio 2005 n. 460 in motivazione).

Corollario dei principi sopra enunciati è che la specialità del rapporto di lavoro degli autoferrotranviari deve ,ora, intendersi in senso relativo per cui non osta a che, per quanto riguarda il R.D. 148 del 1931, all. A., art. 18 debba applicarsi in relazione alla forma degli atti il principio privatistico in base al quale detta forma – se non è richiesta dalle parti espressamente come ad substantiam – possa valere ad probationem e ciò come prova che la scelta è stata effettuata tenendo presente l’idoneità del soggetto e la sicurezza del trasporto. Pertanto difettando l’espresso provvedimento del Direttore la prova può essere data in altra maniera sempre che venga accertato – attraverso vari elementi anche presuntivi (art. 2729 c.c.)- che quelle garanzie d’interesse pubblico, cui è chiamato a soddisfare il provvedimento espresso del Direttore, vengono ad essere soddisfatte ugualmente – come nel caso di specie – da altri fatti ( reiterati ordini di servizio protrattisi per molto tempo ed in vacanza del posto in organico).

Con il secondo motivo del ricorso la società, deducendo violazione e falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, sostiene l’erroneità della sentenza impugnata in punto d’interpretazione delle declaratorie contrattuali concernenti i parametri 140/160 e 130 relativi all’inquadramento del lavoratore come operatore qualificato.

La censura è inammissibile a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 5.

Invero questa Corte ha raffermato (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. Cass. 23 settembre 2009 n. 20535, Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161 e Cass. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726) che il requisito previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, il quale sancisce che il ricorso deve contenere a pena d’inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, per essere assolto, "postula che sia specificato in quale sede processuale il documento è stato prodotto, poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, allegare dove nel processo è rintracciabile". La causa di inammissibilità prevista dal nuovo art. 366 c.p.c., n. 6, ha chiarito inoltre questa Corte, è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello stesso. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, in quanto quest’ultimo sia un atto prodotto in giudizio, richiede che si individui dove è stato prodotto nelle fasi di merito e, quindi, anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che per prevedere un ulteriore requisito di procedibilità del ricorso, esige – nel caso si denunci la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro – il deposito del testo integrale del contratto o accordo collettivo di livello nazionale contenente tali norme (Cass. S.U. 23 settembre 2010, n. 20075).

Applicando tali principi, che il Collegio intende ribadire, emerge che non risulta specificata in quale sede processuale sono rinvenibili, i testi integrali dei contratti o accordi collettivi sui quali la censura si fonda.

Il ricorso in conclusione va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 60,00 per esborsi ed Euro 3500,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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