Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-06-2012, n. 9343 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I.A. ha convenuto in giudizio la società Fiat Auto spa chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della dequalificazione professionale derivata dall’essere stato adibito al reparto "cassoni" con mansioni molto più elementari rispetto a quelle svolte in precedenza di "operatore di processi integrati".

Il Tribunale di Nola ha accolto la domanda con sentenza che è stata riformata dalla Corte d’appello di Napoli, che ha rigettato la domanda ritenendo che, pur essendo stato provato un effettivo demansionamento del lavoratore in seguito al mutamento di mansioni da operatore di processi integrati ad addetto al reparto cassoni, non fosse stata tuttavia fornita la prova dell’esistenza di un danno alla professionalità, alla vita di relazione e alla salute, di cui era stata solo genericamente affermata l’esistenza.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione I.A. affidandosi a un unico motivo di ricorso cui resiste con controricorso la Fiat Group Automobiles spa (già Fiat Auto spa).

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo si denuncia violazione degli artt. 2103, 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che non fosse stata raggiunta la prova del danno derivante dalla accertata dequalificazione professionale. Richiama a sostegno delle censure alcune pronunce di questa Corte, e segnatamente le sentenze n. 26972/2006 e n. 28274/2008, per inferirne che, una volta appurata la lesione del diritto alla professionalità del lavoratore, la risarcibilità del danno deriva dalla esistenza dei pregiudizi che nascono come conseguenza della mortificazione professionale del lavoratore e che la prova di tali pregiudizi può essere fornita ex art. 2729 c.c. anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti, utilizzando a tal fine quali elementi presuntivi la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa dopo la lamentata dequalificazione.

2.- Il ricorso è infondato. Giova premettere che la Corte territoriale ha accertato l’esistenza di una effettiva dequalificazione professionale del lavoratore per essere questi stato adibito, presso il reparto cassoni, a mansioni di carattere qualitativamente inferiore, più elementare e ripetitivo, di quelle svolte in precedenza presso il reparto carrozzeria, ma ha respinto la domanda risarcitoria osservando che il lavoratore non aveva fornito la prova del danno subito a causa della lesione del proprio diritto ad essere assegnato a mansioni non inferiori a quelle precedentemente svolte e corrispondenti alla qualifica rivestita, limitandosi ad affermare genericamente l’esistenza di tale danno nelle sue varie componenti (danno alla professionalità, alla vita di relazione, danno alla salute).

Il ricorrente ha censurato tale statuizione sostenendo che, una volta accertata l’esistenza del demansionamento, "il danno non patrimoniale appare come la conseguenza logica della lesione stessa" e la prova di tale danno dovrebbe ritenersi raggiunta sulla base della valutazione di elementi presuntivi, quali quelli desumibili dalla qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, dal tipo e dalla natura della professionalità coinvolta, dalla durata del demansionamento, dalla diversa e nuova collocazione lavorativa dopo la lamentata dequalificazione, siccome emersi all’esito dell’attività istruttoria svolta nel giudizio di primo grado.

3.- Tali censure non possono trovare accoglimento in questa sede, atteso che la decisione della Corte territoriale, per avere fatto puntuale applicazione dei principi enunciati in materia dalla giurisprudenza di questa S. C., deve essere confermata.

4.- Questa Corte, aderendo all’orientamento già espresso dalle sezioni unite con la sentenza 24 marzo 2006 n. 6572, ha recentemente ribadito – cfr. Cass. n. 19785/2010 – che in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio subito, che, per quanto riguarda il c.d. danno esistenziale, deve essere inteso come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accettabile) provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicchè non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex art. 2697 c.c. del danno non patrimoniale e del nesso di causalità con l’inadempimento datoriale. Questa Corte, peraltro, aveva già precisato che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale (da intendere come ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno) va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni, per cui dalla complessiva valutazione di precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro dell’operata dequalificazione, frustrazione di precisate e ragionevoli aspettative di progressione professionale, effetti negativi dispiegati sulle abitudini di vita del soggetto) si possa, attraverso un prudente apprezzamento, coerentemente risalire al fatto ignoto, ossia all’esistenza del danno (cfr. Cass. n. 29832/2008).

5.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che "nel caso di specie, dalla semplice lettura del ricorso introduttivo, si evince in modo chiaro che il ricorrente ha soltanto affermato l’esistenza di un danno alla professionalità, alla vita di relazione ed un danno alla salute derivanti dal comportamento datoriale, adoperando espressioni genetiche non correlate alla particolare vicenda lavorativa"; con l’ulteriore precisazione che nella fattispecie in esame non erano stati allegati "precisi elementi di individuazione sia del nesso causale sia dei concreti riflessi sulla sua vita professionale e di relazione, essendosi limitato il ricorrente a ribadire che, nel caso di specie, il danno biologico e la prova della sua esistenza erano in re ipsa senza peraltro allegare certificazioni mediche di alcun genere o altri elementi di prova in relazione al presunto danno lamentato" (cfr. pagg. 4-5 della sentenza impugnata).

6.- Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui il danno non patrimoniale dovrebbe ritenersi come la conseguenza logica della lesione del diritto del lavoratore di eseguire la prestazione in conformità della propria qualifica o secondo cui le emergenze istruttorie avrebbero confermato tutti gli elementi presuntivi atti a connotare il danno da dequalificazione professionale, si risolvono, per la prima parte, nella riaffermazione della tesi, già respinta dalla giurisprudenza di questa Corte, della automaticità del danno da demansionamento, ovvero, per la restante parte, nella contestazione diretta (inammissibile in questa sede) del giudizio di merito, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come sopra accennato, alla mancanza di qualsiasi riferimento a precisi elementi di individuazione dei concreti riflessi dell’inadempimento datoriale sulla vita professionale e sulla vita di relazione del lavoratore.

7.- In conclusione, la sentenza impugnata, per essere adeguatamente motivata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici in precedenza enunciati, non è assoggettabile alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimità. Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma della impugnata sentenza.

8.- Le spese del giudizio del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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