Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9315 Azienda

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Nel 2003 la s.a.s. Gianfranco e Costantino Castelli & C. agì giudizialmente per il rilascio dell’azienda di ristorazione affittata per il periodo dal 29.10.1996 al 30.10.2002 alla s.a.s. Ristor Art di Ennio De Vita; chiese anche di essere risarcita dei danni subiti per il ritardo nella riconsegna.

Ottenne poi, separatamente, decreto ingiuntivo di pagamento – cui propose opposizione la s.a.s. Castelli – della somma di Euro 154.936,80, quale parte del corrispettivo non versato per l’affitto, ammontante a L. 15.000.000 mensili.

La s.a.s. Ristor Art sostenne che il contratto di affitto di azienda dissimulava un contratto di locazione di immobile rinnovatosi per un quadriennio, che la locatrice non aveva eseguito i lavori che si era obbligata ad effettuare e che aveva percepito canoni superiori a quelli concordati, dei quali domandò riconvenzionalmente la restituzione per l’eccedenza, oltre al risarcimento dei danni.

Con sentenza del 19.7.2005 il Tribunale di Velletri, riunite le cause, accolse la domanda della s.a.s. Castelli, rigettò l’opposizione e la domanda riconvenzionale della s.a.s. Ristor Art e la condannò al rilascio dell’azienda, oltre alle spese processuali.

2.- La Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame della soccombente Ristor Art, condannandola alle spese del grado, con sentenza n. 4983/08 (depositata il 27.1.2009) sul sostanziale rilievo che il tribunale aveva correttamente ritenuto che la coeva scrittura privata del 29.10.1996 (con la quale era stato convenuto un canone di L. 15.000.000 mensili in luogo di quello di L. 4.000.000 indicato nel contratto registrato) non consentisse di ritenere che la prima scrittura dissimulasse un contratto di locazione, vertendosi bensì in ipotesi di simulazione relativa, ma pur sempre di un contratto di affitto di azienda, come tale del resto contemplato anche nella seconda scrittura.

3.- Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione la Ritorart s.r.l.

(così trasformatasi) ed D.V.E., affidandosi a tre motivi, cui resiste con controricorso la (così trasformatasi) GFC s.a.s. di Gianfranco Castelli & C..

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo la sentenza è censurata per "1. violazione e falsa applicazione degli artt. 1571, 2555 e 2562 c.c., in relazione agli artt. 1362 e 1363 c.c. e, comunque, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla ritenuta natura di affitto di azienda del rapporto (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5); 1.1. omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla ritenuta rilevanza e, comunque, inammissibilità delle prove addotte per la dimostrazione della dissimulazione tra le parti di una locazione di immobile urbano ad uso commerciale (art. 360 c.p.c., n. 5)".

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis) è così formulato a pag. 36 del ricorso:

"Dica la Corte se la salutazione del complessivo comportamento delle parti ricompreso in questo anche quello successivo alla stipulazione – non considerato, invece, nella sentenza impugnata – costituisca canone indefettibile dell’interpretazione";

"Dica ancora la Corte se la dissimulazione di un rapporto di locazione ad uso commerciale possa essere esclusa a favore di una ricostruzione dello stesso in termini di affitto di azienda senza tener conto, in presenza di un testo contrattuale ritenuto chiaro, del comportamento delle parti successivo alla stipulazione, nonchè sulla base di una valutazione meramente astratta ed atomistica delle circostanze del caso concreto aventi riguardo alla consistenza economica del rapporto ed alla funzione prevalente e assorbente dei beni in esso considerati".

Nell’articolazione del motivo si sostiene che gli elementi di cui non s’era tenuto conto erano costituiti:

a) dal riferimento alla L. n. 392 del 1978 in una prima disdetta del 5.2.2001 ( ma non anche in una seconda del 26.9.2001);

b) dal fatto che la voltura della precedenza licenza all’esercizio della ristorazione atteneva a meno della metà dei locali presi in affitto;

c) dalla circostanza che le attrezzature del locale erano accatastate alla rinfusa in un locale privo di luce perchè da tempo mancava il contratto di fornitura con l’ente erogatore;

d) dal rilievo che le parti non si erano affatto date atto del buon o stato e del funzionamento delle attrezzature (come ritenuto in sentenza) ma che l’affitto le comprendeva "nello stato di fatto in cui si trovano e ben conosciuto dall’affittuario" e che tale stato ne comportava in larga misura l’inutilizzabilità;

e) dall’essere l’azienda, al momento della sottoscrizione del contratto, inattiva da mesi.

3.- Il motivo, nella parte in cui non è inammissibile, è manifestamente infondato.

Il solo comportamento effettivamente successivo che si assume rilevante e che dalla Corte d’appello con sarebbe stato considerato è il riferimento, in una prima disdetta inviata dallo stesso locatore, alla L. n. 392 del 1978, che, riferendosi alle locazioni, secondo i ricorrenti sarebbe stato univocamente sintomatico della dissimulazione di un contratto locativo.

Ma sul punto la Corte d’appello ha affermato che "nessuno specifico e, soprattutto esclusivo riferimento al contratto registrato fanno poi la disdetta della società Castelli e l’altra comunicazione, nelle quali è piuttosto menzionato l’affitto di azienda che, invero, costituisce l’oggetto dell’intero accordo simulatorio (terzultimo capoverso di pag. 5 della sentenza impugnata).

Il comportamento successivo è stato dunque considerato e ritenuto assolutamente irrilevante con valutazione di fatto che fa seguito all’articolata, analitica, minuziosa e niente affatto atomistica considerazione effettuata dalla Corte d’appello (nelle fitte pagine 2, 3, 4 e 5 della sentenza) di tutti i possibili elementi rilevanti ai fini della qualificazione del contratto, inclusi quelli costituiti dall’affermato cattivo stato delle strutture e dalla momentanea sospensione dell’attività, che la Corte non ha ritenuto integrare una estinzione dell’azienda ceduta, con valutazione di fatto certamente non rinnovabile in questa sede.

Anche il secondo profilo di censura è manifestamente infondato, avendo la sentenza impugnata dato specifico conto delle ragioni per le quali le circostanze che gli appellanti avevano chiesto di provare (per interpello e per testi) non avrebbero comunque dimostrato che era stato dissimulato un contratto di locazione di immobile ad uso commerciale (primo capoverso di pag. 4 della sentenza impugnata).

2.- Il secondo ed il terzo motivo (coi quali sono denunciate violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 violazione e vizi di motivazione anche in ordine al rigetto della domanda riconvenzionale della società affittuaria per gli addotti inadempimenti contrattuali del Castelli) sono inammissibili ex art. 366 bis c.p.c., perchè totalmente difettano sia il quesito di diritto sia la chiara indicazione della omissione o contraddittorietà della motivazione, ovvero delle ragioni per le quali la motivazione è ritenuta inidonea a giustificare la decisione.

3.- Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese, che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 5.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012
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