Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9313 Uso abitativo mutamento di destinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Nel novembre del 2002 C.E.F., resosi acquirente nel 1992 di un appartamento di 2 vani e accessori locato il 4.10.1978 dalla precedente proprietaria C.A. a P. M.A. per uso di studio medico ed adibito poi ad uso abitativo, intimò alla conduttrice sfratto per finita locazione (e la convenne per la convalida) alla data del 3.10.2002, sulla base di disdetta telegrafica del 3.4.2002, confermata con raccomandata del 3.5.2002.

La convenuta – per quanto ancora rileva – si difese sostenendo che, in relazione alla data di mutamento d’uso (14.11.1981, alla quale aveva fissato nell’immobile la propria residenza anagrafica unitamente alla piccola figlia), il contratto doveva ritenersi rinnovato fino al 14.11.2005.

Il tribunale dichiarò la cessazione del contratto alla data del 31.12.2008 nell’assunto che il regime dell’uso abitativo dovesse applicarsi dall’1.1.1985, data della prima rinnovazione utile.

2.- Decidendo sull’appello del locatore C., la Corte d’appello di Napoli, pur ritenendo fondati alcuni dei motivi di appello, ha respinto il gravame (con compensazione delle spese) sul rilievo che era infondato il motivo col quale s’era addotto l’errore, da parte del tribunale, "nell’utilizzazione del criterio per ritenere la prevalenza dell’uso abitativo", in quanto v’era agli atti espressa ammissione dell’attore circa "l’avvenuto cambiamento d’uso dell’immobile de quo". Ha ritenuto che, individuata nel 14.11.1981 la data di applicazione del regime giuridico proprio delle locazioni ad uso abitativo, la locazione sarebbe venuta a scadenza il 14.2.2010, ma che la declaratoria di cessazione a quella data era preclusa dal difetto di appello incidentale della conduttrice.

3.- Avverso la sentenza ricorre per cassazione il C. affidandosi a sei motivi, cui resiste con controricorso la P..

Motivi della decisione

1.- Coi primi tre motivi di ricorso il ricorrente si duole, deducendo violazione e falsa applicazione di norme di diritto e vizi della motivazione, che la corte d’appello abbia applicato alla locazione ad uso di studio professionale il regime delle locazioni ad uso abitativo non già dal momento della conoscenza (aumentato di tre mesi ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 80, nel testo risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 185/1988) da parte del locatore del mutamento d’uso effettuato dal conduttore, ma dal momento in cui il mutamento era intervenuto; che abbia apoditticamente ritenuto che l’atto di intimazione desse atto della conoscenza tempestiva di quel mutamento da parte del locatore; che abbia fatto coincidere il momento della suddetta conoscenza con quello della data alla quale era avvenuta la variazione anagrafica.

1.1.- I motivi sono inammissibili perchè concernono una questione non prospettata nel giudizio di appello.

Nella sentenza gravata in questa sede si legge (alle ultime quattro righe di pag. 3) che il locatore s’era doluto in appello che il tribunale non avesse considerato che "l’eventuale applicazione del regime abitativo avrebbe dovuto decorrere dalla data di modifica della destinazione e non dal momento genetico del contratto".

Se questa era la doglianza (e la sentenza non è stata oggetto di istanza di revocazione per essere stata la censura così percepita), deve inferirsi che alla corte d’appello era stata sottoposta non già la questione del momento della conoscenza da parte del locatore del cambio d’uso, ma solo quella della data di modifica della destinazione, dalla quale, secondo lo stesso appellante, avrebbe dovuto decorrere l’eventuale applicazione del regime abitativo.

2.- Il quarto ed il quinto motivo di ricorso imputano gradatamente alla Corte territoriale – mediante deduzione di violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, art. 80, comma 2, e di vizi di motivazione – di aver considerato la locazione esclusivamente abitativa dopo il 1981 benchè nessuna delle parti avesse mai prospettato che così fosse, o di aver comunque assunto l’uso abitativo come prevalente senza alcuna motivazione in ordine alla necessaria comparazione con l’uso professionale.

2.1.- I motivi sono infondati.

La Corte d’appello ha ritenuto (a pagina 5, secondo capoverso della sentenza) che il mutamento di destinazione risultava, oltre che dalle deposizioni testimoniali raccolte, da quanto affermato dallo stesso intimante, che aveva fatto riferimento alla successiva destinazione dell’immobile ad abitazione propria della conduttrice.

Del contenuto delle testimonianze acquisite, in ipotesi tali da consentire da sè sole la conclusione della sussistenza di un uso abitativo esclusivo, la Corte di cassazione non è informata dal ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza.

Quanto alla interpretazione operata dalla Corte d’appello dell’atto di intimazione, non vengono prospettati elementi tali da rivelarne la incongruità (anche alla luce del dato obiettivo costituito dalla minima estensione dell’immobile, che lungi dal consentire di ritenere che, per questo, come assume il ricorrente, l’uso professionale non potesse non essere prevalente, sul piano logico depone se mai in senso opposto, volta che non si afferma essere stato mai contestato che nella casa di due stanze abitassero madre e figlia).

3.- Col sesto motivo di ricorso, in via ancor più gradata, sono dedotti violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1998, art. 2, commi 1 e 6, e art. 3, nonchè vizio di ultrapetizione per avere la corte calcolato d’ufficio l’intero periodo di primo rinnovo (4 + 4 anni) benchè allo scadere del primo quadriennio successivo alla L. n. 431 del 1998 il contratto non potesse essere risolto a seguito di semplice disdetta (occorrendo invece un rituale diniego di rinnovazione). Non eccependo l’inoperatività della disdetta ed indicando come data di scadenza della locazione il 14.11.2005, la parte aveva rinunciato al beneficio del rinnovo, che il giudice non avrebbe potuto riconoscere officiosamente.

3.1.- Il motivo è inammissibile per la novità della questione, non prospettata in appello benchè già il primo giudice avesse ritenuto applicabile al caso la L. n. 431 del 1998 (così la sentenza impugnata, al secondo capoverso di pagina 6).

4.- Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 3.700, di cui Euro 3.500 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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