Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9299 Prove

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La presente controversia trae origine da una scrittura privata stipulata in data 24.01.2000 a margine della procedura di concordato preventivo della SCAR s.n.c. di Angelo Roveda & C, nell’ambito della quale i soci R.A. e C.G. si erano impegnati a far fronte alle passività della società con la liquidazione del loro patrimonio, in cui erano comprese le partecipazioni sociali della s.r.l. SCAR. In particolare con detta scrittura M.A. si impegnò a corrispondere al R. e alla C., in caso di acquisto delle suddette partecipazioni sociali, da parte della Borebo Invest Immobiliare s.r.l. (di cui il M. era rappresentante) o da chi da questa designato, la somma che sarebbe residuata "detraendo dall’importo di L. 11.500.000.000 il prezzo di acquisto (L. 8.600.000.000), gli oneri per la bonifica delle aree in (OMISSIS) di proprietà di SCAR s.r.l., le passività tutte, di qualsiasi natura, della SCAR s.r.l.

ad oggi, le eventuali sopravvenienze passive anche potenziali che si dovessero verificare entro il 31.01.2002 e che ripetessero la loro origine nell’epoca anteriore alla data odierna, e tutti gli oneri e costi comunque connessi all’acquisto delle quote".

Verificatasi la condizione dell’acquisto, con citazione in data 15.02.2005, R.A. e C.G. convenivano innanzi al Tribunale di Milano M.A. per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 1.497.725,01 (già L. 2.900.000.000), quale risultato positivo in loro favore dell’operazione aritmetica di cui all’indicata scrittura.

Sull’opposizione del M., che contestava l’an e il quantum debeatur, la causa era istruita con la prova documentale offerta dalle parti e con una c.t.u. e decisa con sentenza in data 11.12.2006, con la quale l’adito Tribunale, in parziale accoglimento della domanda attrice, condannava M.A. al pagamento della somma di Euro 445.669,41 oltre interessi legali dalla domanda e spese del giudizio.

Per quanto interessa in questa sede il Tribunale riteneva che si dovesse porre a deconto della somma indicata nella scrittura privata l’intero importo degli oneri di bonifica, pari ad Euro 439.437,00, senza la decurtazione arbitraria operata dal c.t.u. oltre una certa data.

Proposto appello, in via principale, da R.A. e C.G. e, in via incidentale da M.A., con sentenza non definitiva in data 29.04.2010, la Corte di appello di Milano ha respinto l’eccezione degli appellanti principali in ordine alle preclusioni di cui all’art. 184 cod. proc. civ., con riferimento alla documentazione posta dal c.t.u. nominato dal Tribunale alla base dell’indagine relativa alla determinazione degli "oneri per la bonifica delle aree in (OMISSIS) di proprietà di SCAR s.r.l." ed ha accertato l’inapplicabilità a tale voce del termine del 31.01.2002, in quanto previsto nella scrittura privata del 24.01.2000 per la sola voce delle "eventuali sopravvenienze passive"; ha disposto, inoltre, la rimessione sul ruolo istruttorio come da separata ordinanza per la nomina di c.t.u. che, sulla base della documentazione già sottoposta all’esame del c.t.u., nominato in primo grado e, senza tener conto per i costi di bonifica del termine del 31.01.2002, operi una ricostruzione dei costi e lavori relativi ai predetti oneri di bonifica, che tenga conto dei rilievi sollevati dal M. con l’appello incidentale, segnatamente a pagg. 10-20, ricalcolando l’importo dei suddetti oneri.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il R. e la C., svolgendo quattro motivi, illustrati anche da memoria.

Ha resistito il M., depositando controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia vizio logico e omissivo della sentenza impugnata su fatti controversi e decisivi (art. 360 cod. proc. civ., n. 5) in relazione all’art. 2697 cod. civ. e agli artt. 99, 112, 115, 62 e 194 cod. proc. civ. e in ogni caso violazione o falsa applicazione degli artt. 99, 112, 115, 62 e 194 cod. proc. civ., degli art. 183-184 cod. proc. civ. (nel testo in vigore sino alla L. n. 51 del 2006), dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

1.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, con il quale la Corte di appello ha rigettato l’eccezione formulata dagli odierni ricorrenti di violazione dell’art. 184 cod. proc. civ. per essere stata utilizzata dal c.t.u. documentazione per le opere di bonifica che non era stata prodotta nei termini di cui alla norma indicata. In particolare la Corte territoriale, oltre ad evidenziare che la documentazione relativa ai costi di bonifica risultava prodotta dal documento n. 3 del fascicolo di primo grado, ha ritenuto assorbente che i documenti, elencati dal c.t.u. negli allegati alla propria relazione e da questi utilizzati, concernevano strettamente le indagini richieste al perito, inerivano all’incarico conferito ed ai poteri di indagine connessi e non erano stati sottratti al contraddittorio delle parti.

1.1.1. Parte ricorrente – premesso che il doc. n. 3 allegato alla comparsa di risposta nel primo grado del giudizio non corrispondeva agli allegati all’elaborato peritale e precisato, altresì, che il proprio consulente di parte aveva contestato la pretesa del consulente di parte M. di sottoporre all’esame del c.t.u. la contabilità Lodim-SCAR – deduce che "i documenti post 2000 consegnati informalmente e del tutto irritualmente dal M." (pag. 21 del ricorso) non potevano essere utilizzati dal c.t.u., perchè non prodotti nei termini di cui all’art. 184 cod. proc. civ.;

osserva che la relativa violazione avrebbe dovuto essere oggetto di rilievo anche di ufficio e non è sanabile dall’acquiescenza, anche perchè la consulenza di ufficio non può risolversi nell’esonero delle parti dal loro onere probatorio; rileva, altresì, che la violazione dei limiti dell’incarico del c.t.u., si traduceva in vizio della sentenza di primo grado.

1.2. Il motivo non merita accoglimento: ciò in quanto è assertiva la denuncia di vizio logico e omissivo; mentre è infondata la deduzione di violazione di legge.

Invero – come emerge chiaro dalla motivazione della decisione impugnata e contrariamente a quanto sembra supporre parte ricorrente – la Corte di appello non ha affatto ritenuto che la documentazione sub 3 del fascicolo di parte convenuta corrispondesse a quella esaminata dal c.t.u., ma ha piuttosto osservato che, ferma la prova dell’esistenza degli oneri di bonifica, desumibile dalla ridetta documentazione, l’ulteriore materiale documentale era stata acquisito, nel contraddittorio delle parti, nell’ambito dell’incarico e nell’esercizio dei poteri conferiti al c.t.u.; con il che resta evidentemente esclusa la violazione, dedotta con il motivo di appello, con riferimento alla norma di cui all’art. 184 cod. proc. civ., che (nel testo applicabile ratione temporis) disciplinava le preclusioni probatorie delle parti.

Vero è che il problema andava prospettato – non già con riguardo all’ammissibilità o meno di alcuni dei documenti (i "documenti post 2000") consegnati dalle parti al c.t.u. – bensì con riferimento all’ampiezza dei contenuti dell’incarico affidato al c.t.u. e dei poteri allo stesso spettanti; in ogni caso l’eventuale violazione dei limiti di detto incarico andava eccepita entro i termini entro i quali vanno dedotte eventuali nullità della consulenza.

Sotto il primo profilo si osserva che, secondo principio assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale, nel caso in esame, aveva affidato al consulente – come riferisce la stessa parte ricorrente (pag. 18) – il compito "esaminati gli atti, sentite le parti e gli eventuali CTP …" di accertare, tra l’altro, quale fosse "la possibile quantificazione degli oneri per la bonifica". Inoltre, se è vero che la consulenza tecnica non può supplire alla deficienza delle allegazioni o prove offerte dalla parte, è pur vero che, ai sensi dell’art. 194 cod. proc. civ., comma 1, il consulente può assumere informazioni da terzi e procedere all’accertamento dei fatti costituenti presupposti necessari per rispondere ai quesiti postigli, semprechè si tratti di fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico dell’incarico affidatogli e non di fatti e situazioni posti direttamente a fondamento delle domande o delle eccezioni delle parti.

Sotto l’altro profilo sopra evidenziato è poi dirimente la considerazione che l’eventuale nullità della consulenza tecnica – ivi inclusa quella dovuta ad un eventuale allargamento della indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – è soggetta al regime di cui all’art. 157 cod. proc. civ., avendo carattere relativo, con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione del consulente (cfr.: Cass. 15 aprile 2002, n. 5422; Cass. 14 agosto 1999 n. 8659; Cass. 24 giugno 1984 n. 3743). Nel caso di specie parte ricorrente non allega (nè tantomeno fornisce elementi utili a dimostrare) di avere tempestivamente eccepito tale nullità, non rilevando la deduzione in appello della violazione dell’art. 184 cod. proc. civ., perchè inidonea per le ragioni innanzi svolte e, comunque, tardiva ai fini indicati.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia il vizio logico e omissivo della motivazione della sentenza impugnata su fatti decisivi e controversi (art. 360 cod. proc. civ., n. 5) in relazione all’art. 2697 cod. civ. e agli artt. 1362 e 1371 cod. civ.; in ogni caso violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1367 cod. civ. e art. 2697 cod. civ., artt. 99, 112 e 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4.

2.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, nel quale la Corte di appello – richiamato il tenore testuale della scrittura privata (riportato nella parte espositiva della presente sentenza) nel punto relativo agli importi da sottrarre dalla somma concordata tra le parti – ha evidenziato che il riferimento temporale del 31.01- 2002 riguardava le (sole) sopravvenienze passive "che ripetessero la loro origine nell’epoca anteriore alla data odierna", osservando, che detto riferimento, dal punto di vista letterale, nell’ambito della costruzione dell’intera frase, era riferibile esclusivamente a tale voce, come elemento di specificazione delle particolarità di questa soltanto, essendo diverse le peculiarità che caratterizzavano le altre voci da detrarre e, dal punto di vista logico, aveva un significato solo se abbinato alle sopravvenienze, per le quali, stante la loro potenzialità ed eventualità futura, si imponeva, a differenza delle altre voci da detrarre, l’apposizione di una data entro la quale poter circoscrivere il conteggio delle sopravvenienze passive.

2.1.1. Secondo parte ricorrente – tenuto conto dell’inciso "ad oggi" contenuto nello stesso paragrafo della scrittura – non vi era alcuna possibile interpretazione letterale tale da escludere che le parti intendessero ricollegare la data del 31.01.2002 agli oneri di bonifica; inoltre tenuto conto che nel successivo paragrafo era previsto che l’impegno economico doveva essere liquidato tra il 24.01.00, data della stipula, e il 31.01.2002, data dello svincolo del deposito fruttifero della somma presso un notaio, sarebbe illogico ritenere che le parti avessero previsto una variabile sine die per gli oneri di bonifica; peraltro dal carteggio intercorso tra le parti successivamente alla scrittura risultava che le stesse – e, in specie, il M. – avevano presente che gli oneri di bonifica era ben individuati e che nel 2001 stavano per essere ultimati. In definitiva la Corte territoriale avrebbe violato il canone letterale per non avere tenuto conto dell’intero documento e perchè, in presenza di un testo ambiguo, avrebbe dovuto far ricorso al canone di conservazione e alla verifica dell’interpretazione alla luce del comportamento successivo delle parti.

2.2. Il motivo è infondato, non ricorrendo la dedotta violazione delle regole ermeneutiche e non ravvisandosi alcun contrasto disarticolante, nè carenza argomentativa nelle valutazioni espresse dalla Corte territoriale.

Si rammenta che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione del contratto, concretandosi nell’accertamento della volontà dei contraenti, si traduce in un’indagine di fatto affidata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per il caso di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione, o per violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca soltanto nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto vagliati dal predetto giudice di merito (cfr. ex plurimis Cass. 29 luglio 2003, n. 11679 e ancora: Cass. n. 9730 del 1998; Cass. n. 4032 del 1998; Cass. n. 4483 del 1996). Non è dunque sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante (Cass. 20 maggio 2001, n. 7242; Cass. 20 marzo 2001, n. 4009; Cass. 26 marzo 2001, n. 4342).

In particolare, in tema di interpretazione del contratto, non è sindacabile in sede di legittimità la scelta da parte del giudice di merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento dell’intenzione dell’autore o degli autori dell’atto, qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiati solo quando i criteri principali (significato letterale e collegamento tra le varie parti dell’atto) siano insufficienti all’individuazione della detta intenzione (ex plurimis: Cass. 13 ottobre 2003, n. 15279; Cass. 3 aprile 2003, n. 5150). Inoltre il giudice di merito, allorchè le espressioni usate dalle parti fanno emergere in modo immediato la comune volontà delle medesime (ovvero, nel caso di atto unilaterale, la volontà espressa dal dichiarante), deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non può fare ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici, il ricorso ai quali (fuori dell’ipotesi dell’ambiguità del negozio, che qui non è , ravvisatale) presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volontà contrattuale (Cass. 29 novembre 1999, n. 13351).

Orbene, nel caso di specie, parte ricorrente contrappone la propria interpretazione a quella svolta dalla Corte di appello, sulla base di una rigorosa indagine letterale e logica, come sopra riassunta e – pur formalmente enunciando la violazione dei canoni di ermeneutica legale e il vizio di motivazione – in realtà critica il convincimento espresso nella sentenza impugnata in modo difforme dalle proprie aspettative. Valga considerare che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice del merito a un contratto (o una clausola contrattuale) non deve essere l’unica possibile e neppure la migliore in astratto, ma una delle possibili interpretazione. E nel caso di specie parte ricorrente si limita, invero, ad offrire un’interpretazione alternativa e non esclusiva.

Il motivo va, dunque, rigettato.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizio logico e omissivo della motivazione della sentenza impugnata su fatti decisivi e controversi – violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, in relazione all’art. 345 cod. proc. civ.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia tenuto conto dell’eccezione di inammissibilità da essa formulata con riguardo alla perizia allegata dalla controparte alla propria comparsa di risposta in appello e, anzi, disponendo nuova c.t.u. in base ai "rilievi sollevati" dal M., abbia nella sostanza utilizzato proprio quella relazione che era stata riprodotta dal procuratore nella propria comparsa.

3.2. Il motivo è manifestamente infondato e va rigettato.

Innanzitutto la perizia di parte non è dotata di efficacia probatoria, di modo che, rispetto ad essa, non è prefigurabile la preclusione documentale; inoltre non sussiste alcun ostacolo logico o giuridico, perchè le argomentazioni tecniche svolte dal perito di parte, siccome costituenti mere allegazioni difensive, vengano recepite nella comparsa di costituzione o in altro atto sottoscritto dal procuratore, che, in tal modo, fa proprie quelle argomentazioni;

infine rientra nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice del merito, cui è rimesso il relativo apprezzamento, la decisione di rinnovare il mezzo tecnico, avuto riguardo ai "rilievi sollevati" in tal modo dalla parte.

4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e vizio logico e omissivo della sentenza impugnata su fatti controversi e decisivi – violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, in relazione agli artt. 61, 62, 191 e 194 cod. proc. civ. e art. 111 Cost., comma 2. Al riguardo parte ricorrente deduce che la Corte di appello, disponendo nuova c.t.u. sulla base dei rilievi svolti dalla controparte, avrebbe già predeterminato l’iter procedimentale, essendo già in nuce nel disponendo quesito la risposta economica al quesito stesso, secondo i conteggi predisposti dai c.t. dell’altra parte, con l’indubbio effetto di porre le parti in posizione di "non parità".

4.2. Il motivo è al limite dell’inammissibilità e, comunque, infondato.

Buona parte del motivo – ivi inclusa la deduzione della violazione delle norme sul giusto processo – è assertiva e generica; per il resto le censure di parte ricorrente si concretano in una mera illazione sul possibile futuro iter del processo, peraltro smentita dal prudente apprezzamento che ha orientato la Corte territoriale ad invitare le parti "ad indicare un tecnico di loro comune fiducia ed a predisporre una bozza di quesito" (cfr., p. 16 della sentenza impugnata).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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