Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9298 Successione a titolo universale e particolare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 6 luglio 2010, la Corte d’Appello di L’Aquila ha accolto parzialmente l’appello proposto dalla s.r.l. Centro Imprenditoria Sanitaria Europea (CISE) nei confronti della s.r.l. Edil Cepsa, avverso la sentenza del Tribunale di Pescara del 21 novembre 2007. Il Tribunale era stato adito con atto di citazione notificato il 24/25 febbraio 2005 col quale la s.r.l. ARTEL aveva evocato in giudizio la s.r.l. Edil Cepsa, la s.r.l. CISE e la s.r.l. Sund, deducendo che era titolare di un ramo d’azienda, avente la disponibilità di un complesso immobiliare sito in Montesilvano (concesso in locazione dall’INAIL), all’interno del quale avrebbe potuto svolgere, essendo in possesso delle necessarie autorizzazioni, l’attività di residenza sanitaria assistenziale (RSA); che, a seguito di vicende intercorse per l’affitto del ramo d’azienda alla s.r.l. Sund (non più rilevanti in questa sede), vi era stato un sequestro penale della struttura, della quale era stata nominata custode la stessa ARTEL; che questa, così rientrata nella disponibilità dell’immobile, aveva "delegato" a gestire provvisoriamente la RSA la Edil Cepsa, ma quest’ultima (con nota del 29 novembre 2004) aveva risposto che avrebbe assunto il relativo mandato soltanto a certe condizioni che la ARTEL non aveva accettato; che, quindi, con nota del 30 novembre 2004, aveva chiesto la restituzione della struttura alla Edil Cepsa, ma questa aveva opposto un rifiuto ed aveva continuato a gestire la RSA, pur in assenza delle autorizzazioni; che la ARTEL aveva allora concluso con la CISE un contratto preliminare, col quale aveva promesso di cederle il ramo d’azienda in contestazione, a condizione che le venissero rilasciate le autorizzazioni amministrative entro il 31 maggio 2005, data fissata come termine ultimo anche per la sottoscrizione del definitivo e per la consegna dell’immobile; che era stato disposto il dissequestro in sede penale e la struttura era stata restituita alla CISE, avendo il giudice penale preso atto degli accordi frattanto raggiunti col contratto preliminare; che tuttavia la ARTEL per ottenere la materiale disponibilità della struttura, ancora trattenuta dalla Edil Cepsa, aveva dovuto richiedere al Tribunale di Pescara, in data 18 dicembre 2004, ed aveva ottenuto ed eseguito un provvedimento di rilascio ex art. 700 c.p.c.; che col presente giudizio la ARTEL chiedeva la conferma di questo provvedimento cautelare, la condanna della Edil Cepsa al rilascio dell’immobile ed al ristoro dei danni.

1.2.- Costituitasi dinanzi al Tribunale, la Edil Cepsa aveva contestato la domanda, deducendo che con la ARTEL erano intercorsi diversi rapporti funzionalmente collegati: in particolare, un contratto di affitto di azienda in data 24 novembre 2004, la cui efficacia era stata subordinata al verìficarsi di determinate condizioni (trasferimento delle autorizzazioni amministrative per l’esercizio della RSA e cessione del contratto di locazione con l’INAIL) ed in data 29 novembre 2004 un "atto di delega a gestire la struttura" a mezzo del quale le parti, in attesa che si verificassero dette condizioni, avevano inteso far proseguire l’attività di RSA, a cura della Edil Cepsa e questa aveva dato immediata esecuzione alla delega, così perfezionando il contratto, per cui si trovava, a suo dire, nella legittima detenzione dell’immobile. La convenuta, richiesto il rigetto della domanda dell’attrice, aveva proposto domanda riconvenzionale per l’adempimento da parte di ARTEL dei contratti anzìdetti, con la conseguente condanna dell’attrice alla restituzione della struttura ed al risarcimento dei danni.

Si erano costituite in giudizio anche la CISE e la Sund ed avevano dedotto che il contratto intercorso tra la ARTEL e la Edil Cepsa era in realtà un preliminare, rimasto inefficace, per il mancato avveramento delle condizioni, mentre la "delega alla gestione provvisoria" non si era mai perfezionata; avevano quindi aderito alle tesi difensive dell’attrice ed insistito per l’accoglimento delle conclusioni da questa rassegnate; la CISE aveva aggiunto che, nelle more, aveva iniziato a gestire l’attività di RSA, avendo concluso con la ARTEL, in data 14 marzo 2005, il contratto definitivo di cessione del ramo d’azienda ed avendo ottenuto le necessarie autorizzazioni. Aveva chiesto perciò che fosse dichiarata illegittima la pregressa detenzione della struttura da parte di Edil Cepsa, con la conferma del provvedimento cautelare.

1.3.- Il Tribunale di Pescara, ritenuto che fosse valido ed efficace il contratto di affitto di ramo d’azienda intercorso tra la ARTEL e la Edil Cepsa (così qualificato il contratto, piuttosto che come contratto preliminare), posto che il mancato avveramento della condizione andava ascritto alla mancata collaborazione da parte di ARTEL, aveva rigettato le domande di quest’ultima ed, accogliendo la domanda riconvenzionale della convenuta, aveva condannato la ARTEL a restituire la struttura alla Edil Cepsa, in adempimento di detto contratto.

2.- Proposto appello da parte della CISE, e costituitasi la Edil Cepsa, nella contumacia di ARTEL ed omessa la notificazione dell’appello nei confronti di Sund, la Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza impugnata, ha accolto parzialmente l’appello ed ha rigettato la domanda riconvenzionale di Edil Cepsa, confermando i provvedimenti cautelari e condannando l’appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello, la Edil Cepsa s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

La ARTEL s.r.l. propone controricorso, con ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

La s.r.l. Centro Imprenditoria Sanitaria Europea (CISE) resiste con distinti controricorsi sia al ricorso principale che al ricorso incidentale.

La ricorrente e la ricorrente incidentale hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente i ricorsi, principale ed incidentale, vanno riuniti.

Sempre in via preliminare, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del controricorso di CISE, sollevata dalla ricorrente principale, con la memoria ex art. 378 c.p.c..

Infatti, la resistente CISE ha notificato due distinti controricorsi, entrambi ammissibili:

– il primo, per resistere al ricorso principale, è stato consegnato all’Ufficiale Giudiziario per la notificazione alla parte ricorrente in data 30 ottobre 2010 – quindi tempestivamente, tenuto conto che il ricorso è stato notificato il 21/24 settembre 2010 – e soltanto per un disguido, risultante dalla relazione di notificazione, non è stato tempestivamente recapitato al destinatario nella data del 3 novembre 2010; poichè, per il rispetto del termine di cui all’art. 370 c.p.c., occorre avere riguardo, rispetto al notificante, alla data di consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto da notificare, la norma richiamata non risulta violata;

– il secondo, per resistere al ricorso incidentale notificato il 10 novembre 2010, è stato spedito per la notificazione a I mezzo posta il 14 dicembre 2010, quindi nel rispetto del termine di cui all’art. 370 c.p.c., e art. 371 c.p.c., comma 4. 1.- Col primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 101, 156, 159, 170, 297 e 307 c.p.c., nonchè del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nella parte in cui sanciscono a garanzia e rispetto del pieno contraddittorio tra le parti che le notificazioni e le comunicazioni rese in corso di giudizio nei confronti delle parti costituite vanno effettuate presso il domicilio eletto e non in cancelleria.

La ricorrente denuncia il vizio in procedendo della sentenza impugnata perchè pronunciata a seguito dell’udienza di precisazione delle conclusioni illegittimamente tenuta nell’assenza dei procuratori della parte appellata, odierna ricorrente. Deduce quest’ultima che la Edil Cepsa avrebbe eletto domicilio, per il giudizio di appello, R.D. n. 37 del 1934, ex art. 82, comma 1, in L’Aquila, alla piazza S. Teresa n. 2 presso lo studio dell’avv. Riccardo Lopardi e che presso tale indirizzo l’appellante aveva anche notificato l’istanza ex art. 283 c.p.c.; che invece, sospeso ex lege il giudizio ai sensi del D.L. n. 39 del 2009, art. 5, comma 1, convertito nella L. n. 97 del 2009 (a seguito del sisma verificatosi nel comprensorio aquilano il 6 aprile 2009) e riassunto il giudizio (a seguito del provvedimento del Presidente della Corte d’Appello di L’Aquila del 23 luglio 2009) da parte dell’appellante, questa aveva notificato l’istanza di riassunzione ed il decreto di fissazione dell’udienza per il 19 gennaio 2010, non al domicilio eletto in L’Aquila, piazza S. Teresa, 2, presso lo studio dell’avv. Riccardo Lopardi, bensì presso la Cancelleria della Corte d’Appello; che, per effetto di tale notificazione, da reputarsi, secondo la ricorrente, invalida, all’udienza di precisazione delle conclusioni del 19 gennaio 2010 e quindi a quella di rinvio del 16 febbraio 2010, non parteciparono i procuratori dell’appellata Edil Cepsa e le conclusioni vennero precisate soltanto dai procuratori dell’appellante CISE, che avevano fatto acquisire anche ulteriore documentazione, in difetto di contraddittorio, ed avevano ottenuto che la causa fosse trattenuta in decisione con i termini dimidiati per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.

Secondo la ricorrente, vi sarebbe stata una violazione insanabile del diritto al contraddittorio, oltre che la nullità di tutti gli atti e le attività processuali posti in essere successivamente all’udienza del 19 gennaio 2010, poichè la notificazione effettuata presso la Cancelleria sarebbe stata inesistente e quindi insuscettibile di sanatoria. Aggiunge la ricorrente che, per effetto della, sopravvenuta caducazione di efficacia dell’istanza di prosecuzione del giudizio e quindi del sopravvenuto decorso del termine previsto dall’art. 297 c.p.c., il processo de quo si dovrebbe considerare estinto ex art. 307 c.p.c., fatti salvi gli effetti dell’art. 310 c.p.c., comma 2, quanto alla sentenza di primo grado.

1.1.- Il motivo è infondato.

Per come risulta dal testo della procura alle liti rilasciata per il giudizio d’appello, fu la parte appellata ad eleggere domicilio in L’Aquila, nel luogo di cui sopra, mentre non vi fu elezione di domicilio da parte dei procuratori nominati, avvocato Paolo Sperduti, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. Matilde Giammarco, entrambi del foro di Chieti; questi ultimi infatti, all’atto della costituzione nel giudizio di appello, non elessero domicilio nel luogo in cui era la sede dell’autorità giudiziaria di secondo grado, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82.

Sebbene vi sia stato nella giurisprudenza di questa Corte un orientamento minoritario in forza del quale si è ritenuto che l’elezione di domicilio formalmente fatta dalla parte potesse valere anche per il procuratore abilitato dalla procura ad litem contenente l’elezione di domicilio e che ne avesse autenticato la sottoscrizione, così facendo propria quell’elezione (cfr. Cass. n. 9863/00), questo orientamento è stato disatteso dalle Sezioni Unite che, con la sentenza del 5 ottobre 2007 n. 20845 (quindi emessa in data di gran lunga precedente quella della notificazione di che trattasi, che risale invece al 26 ottobre 2009), hanno ribadito l’orientamento largamente maggioritario, già condiviso da pronunce precedenti anche delle Sezioni Unite, affermando il seguente principio di diritto: "Ai sensi del R.D. n. 31 del 1934, art. 82, – non abrogato neanche per implicito dalla L. n. 21 del 1991, artt. 1 e 6, ed applicabile anche al rito del lavoro – il procuratore che eserciti il suo ministero fuori della circoscrizione del tribunale cui è assegnato deve eleggere domicilio, all’atto di costituirsi in giudizio, nel luogo dove ha sede l’ufficio giudiziario presso il quale è in corso il processo, intendendosi, in difetto, che egli abbia eletto domicilio presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria. Ne consegue che tale domicilio assume rilievo ai fini della notifica della sentenza per il decorso del termine breve per l’impugnazione, nonchè per la notifica dell’atto di impugnazione, rimanendo di contro irrilevante l’indicazione della residenza o anche l’elezione del domicilio fatta dalla parte stessa nella procura alle liti".

Pertanto, è infondata la pretesa della ricorrente per la quale il ricorso in riassunzione ed il relativo decreto di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni avrebbero dovuto essere notificati presso il domicilio eletto dalla parte con il mandato alle liti, sito in L’Aquila, piazza S. Teresa n. 2, presso lo studio dell’avv. Riccardo Leopardi. Non avendo i procuratori dell’appellata, avvocati Paolo Sperduti e Matilde Giammarco, entrambi del foro di Chieti, eletto domicilio nello stesso, od in altro, indirizzo di L’Aquila, sede della Corte presso la quale si svolgeva il giudizio d’appello, è valida la notificazione effettuata nella Cancelleria della Corte d’Appello, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., comma 1, e del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, comma 2. 2.- Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale vanno trattati congiuntamente poichè involgono entrambi la questione concernente la posizione, nei giudizi di merito, dell’odierna ricorrente CISE e la sua legittimazione ad impugnare la sentenza di primo grado.

Col secondo motivo, si deduce violazione dell’art. 111 Cost., art. 345 c.p.c., comma 3, artt. 184 e 153 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nella parte in cui consacrano il divieto di nuove: produzioni documentali in appello in violazione del regolare contraddittorio tra le parti. Deduce la ricorrente la nullità del procedimento per essere stati acquisiti in appello nuovi documenti:

in particolare, la copia del contratto di cessione del ramo di azienda autenticato nelle firme per notaio Rozzi di Pescara il 14 marzo 2005, che, prodotta soltanto all’udienza di precisazione delle conclusioni del 19 gennaio 2010, sarebbe stata acquisita in violazione del divieto del terzo comma dell’art. 345 c.p.c..

2.1.- Col terzo motivo, si deduce violazione degli artt. 81, 100, 105 e 111 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, nella parte in cui, in costanza di giudicato determinatosi per effetto dell’acquiescenza prestata dall’originario soccombente (ARTEL) alla sentenza di primo grado, il terzo intervenuto (CISE), in difetto di valida motivazione, è stato qualificato titolare di un diritto autonomo d’impugnazione. La ricorrente censura, in particolare, la parte della sentenza con la quale sono state rigettate le eccezioni di difetto di legittimazione attiva e di cosa giudicata avanzate in appello dalla Edil Cepsa nei confronti dell’impugnazione proposta autonomamente dalla CISE, sulla base delle seguenti tre considerazioni: a) la CISE non è terzo interventore ma uno dei soggetti che la ARTEL ha fin dall’origine evocato in giudizio; b) il diritto che rivendica la CISE è incompatibile con la sentenza di primo grado; c) in ogni caso, in quanto successore a titolo particolare nel diritto controverso, ex art. 111 c.p.c., comma 4, la CISE è titolare di autonomo diritto ad impugnare. Secondo la ricorrente, nessuno dei tre argomenti, considerato isolatamente, o tutti nel loro complesso sarebbero idonei a fondare l’affermazione di un siffatto diritto: a) la ARTEL non avrebbe svolto nei confronti di CISE alcuna domanda, pur avendola chiamata nel primo grado di giudizio, e ciò perchè era intervenuta volontariamente nella fase cautelare ante causava; b) la CISE non avrebbe avuto alcun diritto e/o interesse proprio all’esito della lite, dato che l’atto di cessione di azienda è stato stipulato tra la CISE e la ARTEL in data 14 marzo 2005, quindi in data successiva alla notificazione dell’atto di citazione, tanto è vero che avrebbe partecipato alla causa sempre e solo in relazione alla posizione espressa dalla ARTEL, tanto da qualificarsi nell’intestazione dell’atto di appello come "appellante-terza intervenuta"; c) a prescindere dalla tardiva produzione dell’atto di cessione di azienda del 14 marzo 2005, la CISE non avrebbe mai avanzato alcuna richiesta volta a garantire e/o soddisfare un suo diritto esclusivo men che meno derivante dal contratto di cessione in parola. Pertanto, secondo la ricorrente, la posizione di CISE sarebbe qualificabile ai sensi dell’art. 105 c.p.c., come quella dell’interveniente adesivo alle sorti della parte attrice privo di autonoma legittimazione all’impugnazione, in costanza dell’acquiescenza prestata dalla ARTEL alla sentenza di primo grado.

3.- Premesso che la situazione del giudizio di appello e le statuizioni della sentenza impugnata in punto di autonoma legittimazione ad impugnare da parte di CISA sono quelle delineate in ricorso, si osserva quanto segue, in ordine al terzo motivo, logicamente preliminare.

La terza delle rationes decidendi su enunciate è, da sola, sufficiente a sorreggere la decisione della Corte d’Appello di rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dalla Edil Cepsa, nel presupposto che il gravame fosse stato proposto da soggetto (la CISE) che in primo grado sarebbe intervenuto ad adiuvandum, a sostegno delle domande svolte dalla ARTEL. Essa si fonda sul disposto dell’art. 111 c.p.c., comma 4, per il quale la sentenza pronunciata contro l’alienante spiega i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui. Si tratta di una norma che conferisce al successore a titolo particolare un autonomo diritto all’impugnazione che gli spetta in quanto, in corso di causa, gli sia stato trasferito il diritto controverso (cfr., tra le tante, Cass. n. 6945/07, nonchè, in tema di trasferimento di ramo di azienda, Cass. n. 25952/05) e prescinde dalla sua partecipazione al giudizio di primo grado (cfr. Cass. n. 6444/09).

Pertanto, venendo al caso di specie, non rileva (più) l’accertamento della posizione rivestita da CISE nella fase cautelare e nel primo grado di giudizio, occorrendo, invece, verificarne esclusivamente la posizione rispetto all’autonoma impugnazione della sentenza di primo grado, sfavorevole alle ragioni della ARTEL. Orbene, con la comparsa di costituzione nel primo grado di giudizio del 21 giugno 2005, CISE aveva dedotto, per come si legge nella sentenza impugnata (cfr. pag. 5) e per come risulta anche dagli atti (cfr. pagg. 11-12 del controricorso), di essere entrata in possesso dell’azienda in contestazione in virtù di atti negoziali intercorsi con l’attrice ARTEL, che erano specificamente "… omissis…il più volte richiamato preliminare di cessione di ramo d’azienda – divenuto successivamente definitivo con atto pubblico stipulato in data 14.3.2005.."; con l’atto di impugnazione è stata ribadita la qualità di parte dell’impugnante, nei cui confronti si producevano gli effetti della sentenza, specificamente "…rispetto alla sua posizione sostanziale ed ai diritti dalla stessa acquisiti in virtù regolari e pienamente efficaci accordi negoziali intercosi con la Artel s. r…..". Ne segue che l’affermazione della sentenza impugnata per la quale "la CISE è anche successore a titolo particolare nel diritto controverso, avendo nelle more sottoscritto, con la Artel, anche il contratto definitivo di cessione del ramo d’azienda…", non appare validamente confutata dall’assunto della ricorrente secondo cui per tutto il corso del giudizio la CISE si sarebbe limitata a sostenere le ragioni della ARTEL. Ed, invero, essendo, per quanto detto sopra, irrilevante la proposizione nei confronti di CISE di autonome pretese dell’attrice originaria, sua dante causa, e/o della convenuta, attrice in riconvenzionale, ciò che rileva è la posizione spesa da CISE con l’atto di appello. Di tale posizione si è occupata la Corte territoriale quando ha valutato l’ammissibilità dell’appello ex art. 111 c.p.c., comma 4, sulla base della sola considerazione della successione dell’appellante nel diritto controverso. La relativa deduzione – confortata, come si dirà, da una prova adeguata- è sufficiente all’ammissibilità dell’impugnazione, non essendo a tale scopo necessario, come sembra ritenere la ricorrente, che il a successore a titolo particolare proponga proprie autonome pretese nei confronti della controparte originaria della sua dante causa (ponendo il contratto che ha determinato la sua successione nel diritto controverso come "autonoma fonte di diritti": cfr. pag. 6 del ricorso), poichè il diritto ad impugnare la sentenza di primo grado in capo al successore a titolo particolare deriva esclusivamente dalla soccombenza del suo dante causa e quindi, per l’ammissibilità dell’impugnazione, è sufficiente che, allegata siffatta qualità, egli chieda la riforma della sentenza che tale soccombenza a sancito;

gli effetti di quest’ ultima nei suoi confronti derivano infatti dalla legge (arg. ex art. 111 c.p.c., comma 4).

3.1.- Va ribadito, peraltro, il principio, richiamato anche dalla ricorrente, per il quale il soggetto che proponga appello – non diversamente da chi proponga ricorso per cassazione – nell’asserita qualità di successore di colui che ha partecipato al precedente grado del giudizio deve allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore e fornirne, quindi, tramite le opportune produzioni documentali, la necessaria dimostrazione, essendo la mancanza di tale prova circostanza rilevabile d’ufficio, al di là della contestazione della controparte, in quanto attinente alla titolarità del diritto processuale di adire il giudice dell’impugnazione e, come tale, alla regolare instaurazione del contraddittorio (cfr. Cass. n. 2702/04, n. 13685/06, nonchè di recente Cass. n. 1943/11).

Dell’allegazione della qualità di successore a titolo particolare da parte di CISE si è già detto.

Quanto alla produzione documentale atta a dimostrare la successione nel diritto controverso, viene in rilievo il secondo motivo di ricorso, col quale Edil Cepsa ne ha dedotto la tardività, per essere stata la copia del contratto di cessione d’azienda del 14 marzo 2005 prodotta soltanto all’udienza tenuta dalla Corte d’Appello il 19 gennaio 2010, fissata per la precisazione delle conclusioni dopo la riassunzione.

Il motivo è infondato. Si deve ritenere ammissibile la produzione del documento in parola poichè relativa alla prova della legittimazione ad impugnare, che può essere data anche con una produzione documentale effettuata successivamente alla proposizione dell’atto di impugnazione (cfr. Cass. n. 6238/06, n. 14784/06), quindi, nel caso di appello, anche in deroga al divieto di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3. Nè si può ritenere che, come sostenuto dalla ricorrente, nel caso di specie, la produzione documentale sia stata effettuata in violazione del principio del contraddittorio, per non essere stati presenti all’udienza del 19 gennaio 2010 i procuratori della parte appellata. Si è già detto, trattando del primo motivo di ricorso, che la notificazione del decreto di fissazione di questa udienza nei confronti dei procuratori dell’appellante era perfettamente valida ed idonea provocarne la presenza alla stessa udienza.

Pertanto, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale vanno rigettati.

4.- Col quarto motivo del ricorso principale si deduce il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla questione dell’avveramento o meno ex art. 1359 c.c., delle condizioni apposte al contratto di affitto di azienda intercorso tra le parti in data 24 novembre 2004, nonchè per quanto riguarda l’accettazione della delega conferita il 28 novembre 2004.

Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili.

Quanto al contratto di affitto d’azienda la sentenza impugnata è fondata su due distinte rationes decidendi:

– l’avere fatto ARTEL tutto quanto nella sua possibilità per consentire l’avveramento delle condizioni alle quali era subordinata l’efficacia del contratto (in particolare, il trasferimento alla Edil Cepsa delle autorizzazioni amministrative da parte della Regione Abruzzo e la cessione del contratto di locazione dell’immobile da parte dell’INAIL), secondo l’apprezzamento del comportamento tenuto da ARTEL e di quello dei terzi, che la sentenze fa dal punto 9.1) al punto 9.6) della motivazione;

– l’essere comunque inapplicabile l’art. 1359 c.c., per essere stata, nel caso di specie, la condizione pattuita nell’interesse di entrambe le parti, come da clausola contrattuale riportata al punto 9.7) della motivazione. Quanto a tale seconda ratio decidendi, la ricorrente sostiene che la norma sarebbe stata, invece, applicabile in quanto, in concreto, la ARTEL avrebbe dimostrato di non avere più interesse all’avveramento della condizione e dovendo essere così interpretato l’art. 1359 cod. civ., come da giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso (cfr. pagg. 25-26). La censura, in quanto riferita al vizio di motivazione, così come sostenuto nell’intitolazione e nell’illustrazione del motivo in esame, è inammissibile, poichè tale parte della sentenza avrebbe dovuto essere censurata per violazione dell’art. 1359 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Infatti, ciò che viene censurata non è l’inadeguatezza della motivazione, ma l’applicazione che la Corte territoriale ha fatto del disposto dell’art. 1359 c.c. – nella parte in cui subordina la fictio iuris ivi contemplata all’essere la causa del mancato avveramento imputabile "alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento" della condizione – per avere ritenuto che la valutazione della sussistenza di un interesse siffatto prescinda dal concreto atteggiarsi del comportamento delle parti in pendenza della condizione e debba invece fondarsi sulle clausole del contratto, astrattamente considerate.

Quanto, invece, alla prima ratio decidendi, essa è relativa ad un apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dalla Corte di merito, senza che la ricorrente evidenzi in ricorso quale sia il fatto controverso e decisivo per il giudizio sul quale la motivazione sarebbe omessa, contraddittoria od insufficiente. La censura si risolve sostanzialmente nella richiesta a questa Corte di un nuovo esame nel merito della decisione, non consentito in sede di legittimità. Per di più, il motivo è, a monte, inammissibile perchè, come detto, si limita a censurare una soltanto di due rationes decidendi, entrambe idonee a sorreggere la decisione impugnata (cfr., da ultimo, Cass. n. 2107/12).

4.1.- Altrettanto inammissibile è la censura relativa al vizio di motivazione circa il contratto di mandato, che la Corte d’Appello ha escluso essersi mai perfezionato tra le parti e che la ricorrente sostiene invece essere stato validamente stipulato.

La censura ha ad oggetto la valutazione della prova per interpello del legale rappresentante di ARTEL che, secondo la ricorrente, avrebbe avuto portata confessoria ed invece non sarebbe stata considerata dalla Corte d’Appello; questa, a dire della ricorrente, avrebbe motivato "semplificando le risultanze istruttorie acquisite all’incarto processuale", valorizzando la nota del 30 novembre 2004 piuttosto che lo scambio di fax del 1 dicembre 2004, oggetto dell’interrogatorio formale.

La Corte d’Appello ha esaminato le risultanze istruttorie in parola ai punti da 8.2) a 8.7) della motivazione: questa risulta completa, congrua e logica, laddove il motivo di ricorso tende a sollecitare non solo una nuova valutazione delle risultanze istruttorie ma soprattutto una diversa interpretazione del contenuto e della portata delle dichiarazioni pre-negoziali delle parti, quindi il compimento di un’attività valutativa ed interpretativa che è riservata al giudice di merito.

Va qui ribadito che non può essere considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza alle aspettative della parte della ricostruzione del fatto nei suoi vari aspetti, o un miglior coordinamento dei dati o un loro collegamento più opportuno e più appagante in quanto tutto ciò rimane all’interno delle possibilità di apprezzamento dei fatti e, non contrastando con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento del giudice senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (cfr. Cass. n. 2948/01 e 10052/01); pertanto, nel giudizio di cassazione, la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 2272/07, n. 7972/07, nonchè Cass. n. 9908/10 in motivazione).

In conclusione, il ricorso principale va rigettato.

5.- Il rigetto del ricorso principale comporta, a parere del Collegio, l’assorbimento del ricorso incidentale proposto da ARTEL. Con l’unico motivo del ricorso incidentale si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 159, 161, 292, 297, 303 e 307 c.p.c., e art. 125 disp. att. c.p.c., e nullità della sentenza e/o del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, perchè l’atto di riassunzione del processo non sarebbe stato notificato alla ARTEL, malgrado la contumacia di questa sia stata dichiarata soltanto con la sentenza conclusiva del giudizio.

Si sostiene che, in ragione di questa dichiarazione soltanto sopravvenuta, la ARTEL, per tutto il corso del giudizio d’appello, non avrebbe assunto lo status processuale del contumace e quindi la CISE avrebbe dovuto notificarle l’atto di riassunzione del giudizio ed il decreto di fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni dopo la sospensione ex lege, di cui si è già detto trattando del primo motivo del ricorso principale. Tale omessa notificazione avrebbe comportato un insanabile vizio del contraddittorio e, non risultando il processo essere stato tempestivamente e regolarmente riassunto, esso si sarebbe estinto ex art. 307 c.p.c., fatti salvi gli effetti residui di cui all’art. 310 c.p.c., comma 2, in ordine alla sentenza di merito pronunciata in primo grado. La ricorrente incidentale ha quindi concluso perchè la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila sia cassata senza rinvio, nel presupposto che il giudizio si sia estinto.

Sebbene il ricorso incidentale non sia stato espressamente condizionato all’accoglimento del ricorso principale, tale condizionamento discende dalla valutazione dell’interesse ad impugnare. Ed invero, secondo quanto esplicitato nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., l’interesse a fare valere il motivo di ricorso incidentale in tanto potrebbe, in astratto (ed a prescindere da ogni valutazione in merito alla fondatezza del motivo ed all’esito di un eventuale giudizio di rinvio), sussistere in capo ad ARTEL, in quanto fosse accolto il ricorso principale.

Nella memoria, la ricorrente incidentale ha evidenziato come il proprio interesse all’impugnazione sia correlato all’interesse ad una pronuncia di estinzione tout court del giudizio, piuttosto che ad una decisione di cassazione con rinvio, che, a suo dire, potrebbe comportare la devoluzione al giudice di secondo grado anche della domanda di risarcimento del danno formulata nei suoi confronti da Edil Cepsa; domanda, sulla quale il primo giudice non si sarebbe invece pronunciato e sulla quale non si sarebbe formato il giudicato.

Orbene, così argomentando, la ricorrente incidentale ha evidenziato come il suo ricorso sia, in concreto, subordinato all’accoglimento del ricorso principale con una decisione di cassazione con rinvio.

Ne segue che esso resta assorbito dal rigetto del ricorso principale.

6.- La ricorrente principale Edil Cepsa va condannata a pagare le spese del giudizio di cassazione in favore della resistente CISE, in applicazione del principio della soccombenza, secondo quanto precisato in dispositivo.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente incidentale e le altre parti, in ragione dell’assorbimento del ricorso incidentale.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna la ricorrente Edil Cepsa s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore della resistente C.I.S.E. s.r.l., nella somma di Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge; compensa le spese tra le altre parti.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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