Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9296 Factoring

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- All’inizio del 1995 Lareter s.p.a. (meglio indicata in epigrafe) concluse un contratto, espressamente qualificato di factoring, col quale si convenne che avrebbe effettuato cessioni pro soluto ad Ifitalia s.p.a. di tutti i crediti maturati verso clienti nazionali (oltre un certo volume di affari), a pena del venir meno della garanzia del factor su tutti i crediti in essere.

Nel gennaio del 1996 Lareter recedette dal rapporto e nel 1999 convenne in giudizio Ifitalia, sostenendo che il contratto aveva sostanziale natura di assicurazione dei crediti e chiedendone la condanna al pagamento di Euro 62.293,92, corrispondenti a debiti non saldati dai debitori ceduti.

Ifitalia resistette e chiese in riconvenzione il pagamento della somma di Euro 40.771 per commissioni non corrisposte su alcuni crediti non ceduti, che avrebbero dovuto esserlo nonostante la cessazione del rapporto in virtù del principio di globalità che connotava il contratto di factoring, il cui mancato rispetto aveva fatto venir meno la garanzia del factor in ordine al credito reclamato dall’attrice.

Così ritenne il tribunale di Milano che, espletata c.t.u., con sentenza n. 3672 del 2006 respinse la domanda di Lareter ed accolse quella riconvenzionale di Ifitalia. E così ha ritenuto la Corte d’appello di Milano che, con sentenza n. 823 del 2010 ha riformato la decisione di primo grado elidendo solo la condanna di Lareter al pagamento di Euro 10.000 per danno all’immagine di Ifitalia, confermandola per il resto e condannando Lareter anche alle spese del secondo grado.

2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione Lareter affidandosi a cinque motivi illustrati anche da memoria, cui Ifitalia resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo (illustrato alle pagine da 11 a 39 del ricorso) sono dedotti violazione e falsa applicazione degli artt. 1341, 1342 c.c., art. 1362 cod. civ., e segg., e della L. n. 52 del 1991 (disciplina della cessione dei crediti d’impresa) ed ogni possibile tipo di vizio della motivazione, assumendosi che la Corte d’appello ha errato laddove ha interpretato il contratto in questione qualificandolo di factoring e non, invece, di cessione di crediti a scopo di garanzia.

1.1.- Il motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che la prospettazione è nuova, avendo la ricorrente sostenuto in grado di appello che il contratto integrasse un’assicurazione del credito. Il che è stato escluso dal giudice del gravame proprio in relazione alle illustrate differenze tra assicurazione sui crediti e factoring ed alle caratteristiche di tale tipo di contratto quali delineate anche dalla giurisprudenza di legittimità (a pag. 3 della sentenza impugnata è citata Cass., n. 17116/2004, dalla quale la società ricorrente prescinde) e raffrontate a quelle del contratto in scrutìnio, tutte analiticamente esaminate prima pagina 5 della sentenza.

2.- Col secondo motivo (pp. 40-44 del ricorso) è alternativamente denunciato ogni possibile vizio della motivazione in ordine alla "esatta applicazione delle norme contrattuali in materia di inadempimento e recesso e consequenziali erronee determinazioni" per avere la Corte territoriale erroneamente applicato le norme del contratto che regolano la modifica e la revoca della garanzia del factor al regime del recesso che, diversamente da quanto ritenuto dai precedenti giudicanti è regolato dall’art. 18 delle condizioni generali per le future operazioni di factoring. 2.1.- Anche questa censura è inammissibile per la novità della questione posta.

La controricorrente rileva che la mancata applicazione dell’art. 18 delle condizioni generali è formulata per la prima volta da Lareter col ricorso per cassazione, non trovando alcun riscontro nelle difese svolte nel giudizio di merito.

E, d’altronde, la ricorrente non chiarisce dove e come il disposto di quella clausola avesse, invece, in ipotesi invocato.

3.- Col terzo motivo la sentenza è censurata per violazione delle disposizioni sull’importanza dell’inadempimento ai fini risolutivi e dell’art. 1384 c.c. (sulla possibilità di riduzione della penale), nonchè per ogni possibile tipo di vizio della motivazione sull’eccessiva onerosità della clausola contrattuale di decadenza dalle garanzie in caso di parziale inadempimento.

3.1.- Premesso che nella specie si verte in ipotesi di recesso della stessa ricorrente e non di risoluzione per inadempimento, sicchè la dedotta violazione degli artt. 1218, 1453 e 1455 c.c., è manifestamente infondata per assoluto difetto di pertinenza, la controricorrente eccepisce l’inammissibilità della questione relativa alla clausola penale (della cui mancata riduzione la ricorrente sembra dolersi) per la novità anche di tale questione, che sostiene mai prospettata nel giudizio di merito.

Ebbene, essendo anche in tal caso omesso ogni riferimento all’intervenuta posizione della questione nel giudizio di merito, la censura risulta inammissibile per novità (ovvero per difetto di autosufficienza del ricorso se la questione, cui la sentenza impugnata peraltro non si riferisce, fosse stata invece posta).

4.- Col quarto motivo è denunciato ogni possibile tipo di vizio della motivazione su fatto decisivo per avere la Corte d’appello escluso l’accredito di L. 14.107.980, nonchè di L. 4.046.000 e di L. 15.559.402, sulla base dell’affermazione "non esattamente vera" che dette somme erano rimaste prive di sostegno documentale e perfino di allegazione.

4.1.- La censura è inammissibile in quanto, alternativamente, o mira ad un non consentito riapprezzamento delle risultanze probatorie, o si risolve nella denuncia di un errore revocatorio – come tale non denunciabile col ricorso per cassazione – se l’affermazione della Corte d’appello sul difetto di allegazione e prova fosse obiettivamente non vera.

5.- Col quinto motivo sono da ultimo dedotti violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 191 c.p.c., nonchè ogni possibile tipo di vizio della motivazione sulla "esatta valutazione della consulenza tecnica d’ufficio di natura contabile".

Vi si eccepisce il vizio dei presupposti su cui è fondata la consulenza tecnica d’ufficio una volta acclarato che Lareter era correttamente receduta dal contratto il 17.1.1996 e che, dunque, non aveva alcun obbligo di cedere i crediti maturati successivamente a tale data.

5.1.- La censura è inammissibile in quanto non è mossa alcuna specifica critica al rilievo della Corte d’appello (a pagina 6, prime quattro righe della sentenza impugnata) sull’inconsistenza di tale contestazione "sia perchè contrattualmente Lareter si è obbligata a cedere crediti futuri e quindi anche quelli non ancora scaduti, sia perchè l’accertamento non è stato esteso ad un impegno a vita, come afferma l’appellante, ma è stato circoscritto alle operazioni concluse in costanza di rapporto".

Il ricorrente riporta in memoria il contenuto dell’art. 20 del contratto, concernente gli effetti dello scioglimento ("Lo scioglimento del presente contratto non pregiudicherà la validità ed efficacia delle cessioni di credito già perfezionate o da perfezionare in conformità degli accordi dell’art. 10), ma non anche il richiamato art. 10, sicchè neppure tardivamente è offerta alla Corte la possibilità di conoscere quale fosse l’assetto pattizio in ordine ai crediti relativi a fatture emesse dopo il recesso, ma concernenti forniture già eseguite (alle quali si riferisce il comma 3 dell’art. 6 del contratto, anch’esso riportato a pagina 11 della memoria).

6.- Il ricorso è respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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