Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9295 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 29 aprile 2010, la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato l’appello proposto da M.P.S. Banca per l’Impresa S.p.A. (già denominata MPS Merchant Banca per le piccole e inedie imprese S.p.A. e prima ancora Mediocredito Toscano S.p.A.) nei confronti della società La Coloniale Commissionaria Zuccheri di Giuseppe Maltinti & C. s.a.s. (d’ora innanzi La Coloniale), avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 316/00.

Il Tribunale era stato adito con atto di citazione notificato l’8 agosto 1994 col quale La Coloniale aveva evocato in giudizio la S.p.A. Mediocredito Toscano, esponendo – come si legge nella sentenza impugnata – che con lettera dell’8 giugno 1994 aveva offerto al Mediocredito Toscano la somma di L. 2,5 miliardi per l’acquisto di ogni ragione di credito vantata dallo stesso Mediocredito nei confronti della società Enny Pelletterie e che, invitata dal Monte dei Paschi di Siena (controllante il Mediocredito) ad aumentare l’offerta, con fax del 21 luglio 1994, l’aveva aumentata a L. 3 miliardi, chiedendo la preferenza in caso di offerte di terzi, a parità di prezzo e condizioni; che il Mediocredito aveva autorizzato la cessione sulla base di un prezzo di L. 3.150 milioni a favore del maggior offerente, con la precisazione che le offerte in aumento sarebbero dovute pervenire in busta chiusa entro il termine del 3 agosto 1994; che La Coloniale aveva depositato, la sera del 3 agosto, due buste, contenenti due offerte distinte, nella cassetta postale della sede del Mediocredito di Firenze e che, nonostante questo deposito fosse stato confermato con fax e telegramma dello stesso 3 agosto, la mattina successiva, il 4 agosto, il direttore del Mediocredito, alla presenza di un notaio, aveva aperto e considerato soltanto l’offerta di un altro concorrente, assegnando a quest’ultimo il credito in gara. Dato ciò, la società attrice chiedeva che, ex art. 2932 cod. civ., le si trasferissero le ragioni di credito in contestazione, con condanna del Mediocredito Toscano al risarcimento dei danni.

1.2.- Costituitosi dinanzi al Tribunale, il Mediocredito Toscano aveva contestato la domanda, precisando che La Coloniale, con fax del 1 agosto 1994, inviato al Monte dei Paschi e, per conoscenza, ad esso Mediocredito, contestando la gara, aveva revocato la precedente offerta precludendosi anche la partecipazione alla gara; che il 4 agosto 1994 il notaio aveva constatato che vi era un’unica offerta da parte di tale N.I. e questi era stato dichiarato aggiudicatario del credito per essere la sua offerta conforme alle condizioni richieste; che solo successivamente il direttore era stato avvertito che vi erano le offerte lasciate dalla società La Coloniale e che queste non erano state presentate in modo regolare.

1.3.- Il Tribunale di Firenze, con la sentenza n. 316/00, aveva condannato il Mediocredito Toscano a risarcire i danni subiti da La Coloniale nella misura da liquidare in separata sede.

2.- Proposto appello da parte del Mediocredito, e costituitasi l’appellata, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1240/02, riformava integralmente la decisione del primo giudice.

Avverso questa sentenza proponeva ricorso per cassazione La Coloniale e la Corte di Cassazione, con sentenza n. 20784/06, cassava la sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della stessa Corte d’Appello ed enunciando il seguente principio di diritto: "l’atto recettizio unilaterale si reputa conosciuto dal destinatario e produce i suoi effetti quando, avuto riguardo alle previste modalità della sua comunicazione, consegna o spedizione, da accertarsi caso per caso dal giudice di merito, deve ritenersi che il destinatario medesimo ne abbia avuto o ne abbia potuto avere cognizione usando la normale diligenza; fatta salva, peraltro, la prova, il cui onere incombe su di lui, di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia".

2.1.- Con atto di citazione notificato in data 1 febbraio 2007 La Coloniale ha riassunto la causa ex art. 392 cod. proc. civ., insistendo per la conferma della sentenza di primo grado. Si è costituita in giudizio Monte dei Paschi di Siena Banca per l’Impresa S.p.A., ribadendo la difesa relativa alla rinuncia de La Coloniale a qualsiasi gara con la comunicazione effettuata in data 1 agosto 1994 ed osservando che così l’appellante aveva perso il diritto di partecipare alla gara e risultava esclusa qualsiasi colpa del Mediocredito, che aveva aperto l’unica busta, senza indagare se fossero pervenute delle altre offerte.

La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 316/00 ed ha condannato la s.p.a. Monte dei Paschi di Siena Banca per l’Impresa a rimborsare alla società La Coloniale le spese del secondo grado, quelle del giudizio di cassazione e quelle del giudizio di rinvio.

3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze, MPS Capital Services Banca per le Imprese S.p.A. (già denominata MPS Banca per l’Impresa S.p.A.) propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso La Coloniale.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1367 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per avere errato la Corte d’Appello nell’interpretare la dichiarazione unilaterale de La Coloniale del 1 agosto 1994 e per avere inadeguatamente ed illogicamente motivato riguardo all’interpretazione della frase che chiude questa lettera ("Questa società revoca pertanto la sua precedente offerta, ritenendo le richieste del fax del 27/07/94 del Mediocredito incompatibili con le trattative intercorse"). Secondo la ricorrente, questa frase avrebbe dovuto essere interpretata come manifestazione della volontà di rinunciare non soltanto alla precedente offerta ma anche alla partecipazione alla gara indetta dal Mediocredito.

1.1.- Col secondo motivo di ricorso si denuncia il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sostenendosi da parte ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria laddove pretende che sia colposo il comportamento del Mediocredito consistito nell’aver aperto la mattina del (OMISSIS) la sola busta contenente l’offerta di N., senza indagare se fosse pervenuta, entro il giorno precedente, altra offerta: secondo la ricorrente, non vi sarebbe stata invece colpa alcuna da parte del Mediocredito, dato che era stato destinatario della lettera del 1 agosto 1994 di rinuncia da parte della società La Coloniale.

2.- I motivi, che sono evidentemente connessi, vanno esaminati congiuntamente.

Poichè si tratta dell’interpretazione di una dichiarazione unilaterale, i criteri interpretativi che vanno seguiti, in forza del richiamo contenuto nell’art. 1324 cod. civ., sono quelli di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg. (Cass. n. 11592/03), sia pure nei limiti di compatibilita (cfr. Cass. n. 7178/95, n. 5234/04). Pertanto i criteri ermeneutici principali sono quelli del senso letterale delle parole e dell’interpretazione complessiva delle clausole le une per mezzo delle altre (cfr. Cass. n. 2399/09), dovendosi rispettare, anche rispetto agli atti unilaterali, il principio del gradualismo, secondo cui deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando risulti non appagante il ricorso ai criteri di cui agli artt. 1362-1365 cod. civ. ed il giudice fornisca adeguata motivazione al riguardo (cfr. Cass. n. 6656/04, n. 12721/07).

L’obiettivo, riservato al giudice di merito, non può essere altro che quello di ricostruire la volontà dell’unica parte dichiarante (cfr. Cass. n. 7973/02, n. 13543/02, n. 460/11). Pertanto, va ribadito il principio per il quale nell’interpretazione degli atti unilaterali, il canone ermeneutico di cui all’art. 1362 cod. civ., comma 1, impone di accertare esclusivamente l’intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio ed è invece esclusa, provenendo l’atto da un solo soggetto, la possibilità di applicare il canone interpretativo previsto per i contratti dal comma 2 di detto articolo, che fa riferimento alla comune intenzione dei contraenti, imponendo di valutare il comportamento complessivo delle "parti" anche posteriore alla conclusione del contratto (così Cass. n. 7973/02, cit., nonchè Cass. n. 1397/05), non rilevando, in particolare, il comportamento dei destinatari della dichiarazione (cfr. Cass. n. 4251/04, n. 1387/09).

2.1- La sentenza impugnata esamina la dichiarazione unilaterale del 1 agosto 1994, della cui interpretazione si tratta, alle pagine da 7 a 9, svolgendovi un’interpretazione letterale, ma anche una puntuale analisi delle contrapposte tesi interpretative delle parti, al fine di corroborare il dato letterale (che si assume essere "sicuramente nel senso della revoca della precedente offerta, senza che sia minimamente fatto cenno ad una rinuncia alla partecipazione alla gara"), con la valutazione del comportamento della dichiarante, con esso convergente, sia quanto alla fase precedente la gara che quanto alla partecipazione successiva. L’attività ermeneutica della Corte territoriale risulta essere assolutamente conforme ai principi sopra richiamati, atteso che la sentenza adeguatamente motiva in punto chiarezza del dato letterale, quindi di sufficienza del ricorso al criterio di cui all’art. 1362 cod. civ., e di idoneità del testo della missiva a dar conto, senza alcuna incertezza, del vero intento del soggetto dichiarante. Risulta rispettato anche il canone dell’art. 1363 cod. civ., atteso che l’ultima frase della missiva, che è quella sulla quale si appunta l’attenzione della ricorrente, è considerata sia in sè e per sè che in connessione con tutta la parte precedente (atta da manifestare -secondo la Corte d’Appello- "il disappunto della Coloniale per il comportamento tenuto dal Mediocredito…"), onde individuare le ragioni della revoca della precedente offerta, senza tuttavia farne causa della preclusione all’accesso alla gara che si sarebbe dovuta espletare (cfr. pagg. 7- 8). Quanto agli effetti prodotti dalla dichiarazione di cui sopra, essi sono logicamente spiegati dalla Corte territoriale (cfr., ancora, pagg. 7-8), sicchè non vi è spazio per il ricorso al criterio di cui all’art. 1367 cod. civ., invocato dalla ricorrente, avendo questo carattere sussidiario (cfr. Cass. n. 28357/11, da ultimo).

La Corte territoriale ha inoltre motivato in punto di significato obiettivo delle espressioni adoperate nella missiva, concludendo che effettivamente queste apparivano finalizzate "a lasciare una certa incertezza sulla futura partecipazione alla gara": questa affermazione non va intesa nel senso preteso dalla ricorrente, cioè nel senso che il significato della dichiarazione fosse in sè incerto; essa va intesa piuttosto nel senso che il significato letterale fosse tale da far venir meno indiscutibilmente la precedente offerta, ma senza dire nulla di specifico riguardo al comportamento futuro della dichiarante, al fine -che, secondo il giudice d’appello, sarebbe stato proprio quello voluto dalla dichiarante- di lasciare appunto come incerta la futura partecipazione alla gara.

Quanto sopra comporta che sia improprio il richiamo che la ricorrente fa dell’art. 1366 cod. civ., atteso che questo detta un criterio di interpretazione oggettiva, che presuppone l’ambiguità dell’espressione adoperata. In particolare, il criterio della buona fede nella interpretazione dei contratti, applicabile anche agli atti unilaterali, deve ritenersi funzionale ad escludere il ricorso a significati unilaterali o contrastanti con un criterio di affidamento dell’uomo medio, ma non consente di assegnare all’atto una portata diversa da quella che emerge dal suo contenuto obiettivo, corrispondente alla convinzione soggettiva di una singola persona.

Esso rappresenta, difatti, il punto di sutura tra la ricerca della reale volontà delle parti ed il persistere di un dubbio sul preciso contenuto della volontà contrattuale (in base ad un criterio obbiettivo, fondato su di un canone di reciproca lealtà nella condotta tra le parti, ed inteso alla tutela dell’affidamento che ciascuna parte deve porre nel significato della dichiarazione dell’altra), e rappresenta, pertanto, un mezzo, alfine, soltanto sussidiario dell’interpretazione, non invocabile quando il giudice di merito abbia, attraverso l’esame degli elementi di prova raccolti, già accertato l’effettiva volontà delle parti (cfr. Cass. n. 5239/04).

2.2.- La motivazione della sentenza impugnata è logica e coerente nel ragionamento svolto riguardo all’interpretazione del significato delle parole e dell’intenzione del dichiarante, così come obiettivamente percepibile dal testo della dichiarazione.

Giova aggiungere che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, essa, nella parte immediatamente successiva della motivazione (pag.

9) non si avvale del riferimento al comportamento della parte dichiarante, al fine di accertare la "comune intenzione" delle parti ex art. 1362 cod. civ.: ciò, che, alla stregua della giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, sarebbe effettivamente impraticabile, trattandosi di dichiarazione unilaterale (cfr., già Cass. n. 11712/98, nonchè Cass. n. 12908/00, n. 12328/02, n. 13970/05, tra le altre). Piuttosto, il comportamento posteriore della dichiarante è considerato dal giudice di merito per dare riscontro all’individuazione della sua volontà, quale risultante dall’attività interpretativa, basata sul dato letterale della dichiarazione.

Nessuna contraddittorietà vi è pertanto tra la prima e la seconda parte della motivazione.

Allo stesso modo, deve escludersi che sia contraddittorio il cenno fatto dalla Corte alla "resipiscenza" della dichiarante (pag. 9);

questo si inserisce coerentemente nel contesto anticipato dall’affermazione che precede, secondo cui la comunicazione era tale da lasciare oggettivamente incerto il comportamento futuro della dichiarante, avendo questa inteso puntualizzare soltanto la revoca di ogni precedente offerta.

2.3.- All’infondatezza del primo motivo di ricorso, secondo quanto fin qui detto, segue quella del secondo motivo. Infatti, il significato della missiva del 1 agosto 1994 non era tale da esonerare il (Mediocredito dalla necessità di indagare in merito alla presentazione di altre offerte da parte di altri concorrenti, e de La Coloniale, in particolare, alla stregua del criterio di normale diligenza fissato dal principio di diritto di cui alla sentenza di questa Corte n. 20784/06.

Poichè dalla motivazione della sentenza risulta che si sarebbe dovuto intendere che La Coloniale non aveva rinunciato alla gara, coerente con tale premessa è la conclusione raggiunta nell’ultima parte della motivazione, per la quale il Mediocredito bene avrebbe potuto avere tempestiva notizia del fatto che vi erano altre offerte "usando l’ordinaria diligenza" (cfr. pag. 10). Non sussiste il vizio di motivazione denunciato col secondo motivo.

3.- Col terzo motivo di ricorso sono denunciati molteplici vizi:

omessa pronunzia su un motivo d’appello (art. 360 cod. proc. civ., n. 4); violazione per mancata applicazione dell’art. 394 cod. proc. civ.; violazione per mancata applicazione dell’art. 1337 cod. civ.;

motivazione contraddittoria: il motivo del quale sarebbe stato omesso l’esame sarebbe quello col quale il Mediocredito Toscano aveva sostenuto che il ritardo nella conoscenza della presentazione delle offerte de La Coloniale fosse ascrivibile soltanto al "comportamento preordinato e malizioso" di quest’ultima.

3.1.- Il motivo è infondato.

Va fatta applicazione del principio in forza del quale ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia fcfr., così da ultimo, Cass. n. 20311/11).

Orbene, nel caso di specie, risulta dal tenore della sentenza che, anche a voler ritenere il comportamento "malizioso" della società La Coloniale, questo non sia stato affatto la causa della mancanza della tempestiva conoscenza delle offerte in capo al Mediocredito Toscano, che, secondo la Corte d’Appello, sarebbe invece ascrivibile al comportamento poco diligente di quest’ultimo. Avendo il giudice di merito congruamente motivato su tale fatto, riservato al suo apprezzamento, e risultando questo apprezzamento conforme al principio di diritto di cui alla sentenza di cassazione n. 20784/06, con la quale è stato disposto il rinvio, nonchè alla norma dell’art. 1337 cod. civ., non si può che concludere nel senso del rigetto anche del presente motivo di ricorso.

4.- In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella somma di Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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