Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9294 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – Con sentenza in data 20 dicembre 2008 il Tribunale di Forlì rigettò la domanda proposta da A.B. e A. S., che avevano chiesto – la seconda anche quale rappresentante di V.E.- il risarcimento dei danni conseguenti alla morte del nonno B.A., verificatasi a seguito di sinistro stradale.

2 – Con sentenza in data 4 dicembre 2009 – 11 febbraio 2010 la Corte d’Appello di Bologna rigettò il gravame delle soccombenti.

La Corte territoriale osservò per quanto interessa: il lasso di tempo (sei ore) intercorso tra il sinistro e il decesso appariva insufficiente a integrare il danno terminale; mancava la prova che il de cujus avrebbe accantonato negli ultimi anni di vita somme di cui le appellanti avrebbero poi potuto beneficiare; carenze probatorie ostacolavano le richieste di danno psico-fisiologico; il danno da perdita del rapporto parentale era stato correttamente negato non essendo risultato idoneo legame.

3 – Avverso la suddetta sentenza le A. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quindici motivi.

La Assicurazioni Generali S.p.A. ha resistito con controricorso, mentre la responsabile del sinistro, S.M., non ha espletato attività difensiva.

Entrambe le parti hanno presentato memorie. I ricorrenti hanno formulato istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite.

La causa, originariamente avviata alla trattazione in camera di consiglio, è stata rinviata alla pubblica udienza.

Le ricorrenti e le Assicurazioni Generali hanno presentato ulteriori memorie.

Motivi della decisione

1 – L’istanza di remissione del ricorso alle Sezioni Unite non merita accoglimento avendo tutte le questioni trattate trovato adeguata risposta nella elaborazione giurisprudenziale.

2 – Preliminarmente va rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto da A.S. nella qualità di legale rappresentante della figlia V.E.. Infatti, come indicato nello stesso ricorso, costei è nata il (OMISSIS) e quindi, non solo al momento della proposizione del ricorso, ma già nel corso del giudizio d’appello aveva raggiunto la maggiore età, con conseguente venir meno del potere rappresentativo della madre (confronta, ex multis, la recente Cass. Sez. 3^, n. 4345 del 2010).

3 – Il primo motivo denuncia nullità della sentenza e/o del procedimento per omessa riunione di cause connesse per violazione dell’art. 335 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, art. 11 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

L’indicato art. 335 c.p.c., dispone che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite in un solo processo. Risulta, invece, che nella specie gli atti di appello sono stati proposti avverso sentenze diverse, anche se aventi ad oggetto il medesimo fatto storico e se le due cause sono state chiamate avanti al medesimo collegio di appello. Il tema delle cause connesse non è disciplinato dalla norma indicata. I riferimenti alle norme costituzionali non sono stati motivati.

4 – Il secondo motivo ipotizza violazione e/o falsa applicazione degli artt. 51 c.p.c. e 6 CEDU; nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c.. Si assume che il giudice d’appello, decisa la prima causa, non avrebbe dovuto decidere la seconda.

Non vi è alcuna norma che obblighi il giudice ad astenersi e gli inibisca di giudicare cause che prospettino la medesima questione ma non presentino identità soggettiva. D’altra parte le ricorrenti avevano la possibilità di ricorrere all’istituto della ricusazione.

5 – Il terzo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059 e 2043 c.c.. Le ricorrenti lamentano il mancato riconoscimento del danno non patrimoniale jure ereditario. La censura si incentra sulla risarcibilità del danno in esame anche in caso di sopravvivenza per un breve lasso di tempo, ma non considera che la Corte territoriale ha affermato (pag. 5 e 6) che non era stata censurata l’altra ratio decidendi del Tribunale, relativa alla loro qualità non di eredi ma di collegatarie del de cujus. Inoltre la stessa sentenza ha spiegato (pagg. 2 e 3) che le due ricorrenti sono le nipoti della vittima e che la loro madre (figlia del de cujus e sua erede) era stata risarcita.

6 – Il quarto motivo sostanzialmente tratta la stessa questione sotto il diverso profilo della insufficienza della motivazione ed è, quindi, infondato per le medesime ragioni.

7 – Il quinto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059 e 2043 c.c., in relazione al danno tanatologico puro.

La censura è tutta basata su lettura e valutazione della C.T.U. – nei cui confronti, peraltro, non è stato rispettato l’art. 366 c.p.c., n. 6 (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) – e, quindi, tratta un tema squisitamente di merito.

8 – Il sesto motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c., per essere stato rifiutato il parametro del triplo della pensione sociale per il danno patrimoniale delle nipoti.

La censura non coglie il punto cruciale della decisione. Il parametro indicato è un criterio per liquidare un danno patrimoniale ontologicamente certo. La sentenza impugnata ha sostanzialmente ritenuto carente la prova che le nipoti potessero usufruire di aiuti economici da parte del nonno.

9 – Il settimo motivo rappresenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2059 e 2043 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. art. 3 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 e artt. 20-21 Carta di Nizza. La censura attiene al diniego del danno da perdita del rapporto parentale.

Le argomentazioni a sostegno non spiegano le ragioni delle addotte violazioni o false applicazioni (non specificate come se fossero sinonimi) delle norme indicate e non censurano specificamente la motivazione della sentenza. Il riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano è del tutto incongruo e irrilevante.

La sentenza impugnata si è uniformata alla giurisprudenza della Corte (Cass. Sez. 3^, n. 10823 del 2007) evidenziando la carenza probatoria circa i necessari elementi della intensità del rapporto e di comunanza di vita tra nonno e nipoti.

10 – L’ottavo motivo lamenta motivazione insufficiente circa il giudizio di genericità dei capitoli di prova orale formulati.

La valutazione dell’ammissibilità dei mezzi di prova implica necessariamente apprezzamenti di merito che non possono essere compiuti dal giudice di legittimità. La Corte territoriale ha spiegato le ragioni del diniego.

11 – Il nono motivo lamenta motivazione omessa circa un punto decisivo della controversia. Il tema è una circostanza che – a dire delle ricorrenti – dimostrerebbe la particolare affezione e il profondo attaccamento del nonno nei confronti delle nipoti.

E’ sufficiente osservare, al riguardo, che il giudice non è tenuto a valutare e a motivare in ordine a ogni e qualsiasi circostanza prospettata dalle parti, ma deve solo evidenziare quei fatti e quelle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione.

12 – Il decimo motivo denuncia nullità della sentenza per non aver esaminato la posizione di erede di A.S. e dunque la sicura legittimazione ad essere titolare sia del danno morale sia del danno da lesione del rapporto del rapporto parentale, mentre l’undicesimo lamenta motivazione omessa circa la qualifica delle ricorrenti come co-legatarie del de cujus.

Le due censure, che possono essere esaminate congiuntamente presentando questioni connesse, sono manifestamente infondate, poichè le argomentazioni addotte non dimostrano l’indispensabile collegamento tra le qualità indicate e una diversa soluzione in tema di risarcimento del danno.

13 – Il dodicesimo motivo (erroneamente indicato come tredicesimo) postula nullità della sentenza per mancata specifica motivazione in relazione al sesto e settimo motivo in appello delle ricorrenti in relazione agli artt. 421 e 281 ter c.p.c.. Il tema è il mancato esercizio dei poteri istruttori, anche d’ufficio, attribuiti al giudice dal rito del lavoro.

A prescindere da qualsiasi considerazione in ordine ai limiti di applicabilità alle ipotesi di risarcimento danni da circolazione stradale delle norme dettate per il rito del lavoro, è determinante il rilievo che la censura riguarda un potere discrezionale del giudice di merito.

14 – Il tredicesimo motivo (erroneamente indicato come dodicesimo) lamenta nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alla dedotta violazione dei principi fondamentali dell’equo ed effettivo processo e della convenzione di Roma (artt. 6 e 13) e della Carta di Nizza. La censura si ricollega alla precedente e si rivela inammissibile per l’assoluta genericità delle argomentazioni.

15 – Il quattordicesimo motivo (erroneamente indicato come quindicesimo) ipotizza nullità della sentenza per omessa motivazione in ordine alla dedotta violazione degli artt. 2, 3, 24, 111 e 117 Cost..

La censura, sostanzialmente ripetitiva delle precedenti, risulta del tutto aspecifica e, quindi, è inammissibile.

16 – Il quindicesimo motivo (erroneamente indicato come sedicesimo) assume inesistenza della sentenza per mancata adozione del criterio della rimessione in sede di appello e violazione del diritto fondamentale a che il giudice sia terzo, indipendente e imparziale secondo l’accezione CEDU e UE e comunque proposizione di questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 4, 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 Convenzione di Roma e 47 Carta di Nizza.

La censura è ripetitiva delle precedenti e priva di argomentazioni specificatamente critiche della sentenza impugnata. La questione di costituzionalità è inammissibile poichè non spiega quali norme di legge e per quali ragioni sarebbero in contrasto con i numerosi articoli della Costituzione citati.

17 – Conclusivamente, il ricorso di A.S., quale genitore e legale rappresentante di V.E., è inammissibile, mentre il ricorso di A.B. e A.S. in proprio è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso di A.S., quale genitore e legale rappresentante di V.E., inammissibile; rigetta il ricorso di A.B. e di A.S. in proprio.

Condanna le ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 8.200.00, di cui Euro 8.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2012

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