T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 30-12-2011, n. 2077

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato a mezzo del servizio postale il 3 – 5 giugno 2009, e depositato il 9 giugno successivo, la Cooperativa A., affittuaria dal Comune di Vagli Sotto degli agri marmiferi posti in località Arnetola e denominati "Piastra Bagnata", proponeva impugnazione avverso la deliberazione n. 6 dell’8 marzo 2009, con cui il Comune predetto aveva approvato il regolamento per la concessione degli agri marmiferi, che sanciva l’inefficacia dei contratti di affittanza in essere per effetto della sua entrata in vigore, nonché l’allegato regolamento per la gestione e riscossione del contributo di cui all’art. 15 della legge regionale toscana n. 78/98, e ne chiedeva l’annullamento sulla scorta di quattro motivi in diritto.

Costituitosi in giudizio il Comune di Vagli Sotto, con atto di motivi aggiunti depositato il 15 giugno 2010 la domanda di annullamento veniva estesa alla deliberazione comunale n. 5 dell’11 marzo 2010, che – preso atto della sopravvenuta inefficacia del contratto di affitto a suo tempo stipulato fra le parti – prevedeva che la cava "Piastra Bagnata" fosse assegnata alla Cooperativa A. in forza di concessione, disciplinata con atto separato ed allegato alla deliberazione medesima. Contestualmente, la ricorrente spiegava istanza incidentale di sospensione, che veniva accolta con ordinanza del 6 – 7 luglio 2010, avuto espresso riguardo al contenuto della clausola dell’atto di concessione che prevedeva la decadenza del concessionario da ogni diritto in mancanza di accettazione entro trenta giorni della nuova disciplina del rapporto.

Un secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 27 aprile 2011, era quindi indirizzato dalla ricorrente contro la ulteriormente sopravvenuta delibera n. 2 del 23 febbraio 2011, che aveva modificato la concessione n. 5/2010 nella parte relativa alla determinazione della superficie dei terreni in uso alla Cooperativa.

A seguito del deposito di documenti, memorie e repliche, la causa veniva infine discussa e trattenuta per la decisione di merito nella pubblica udienza del 3 novembre 2011.

Motivi della decisione

1. Con l’atto introduttivo del giudizio, la ricorrente Cooperativa A. – affittuaria della cava marmifera denominata "Piastra Bagnata" sin dal 1991, in virtù di successivi rinnovi e, da ultimo, di contratto stipulato il 5 febbraio 2007 – impugna il regolamento per la concessione degli agri marmiferi comunali approvato dal Comune di Vagli Sotto con deliberazione dell’8 marzo 2009, unitamente all’allegato regolamento per la gestione e la riscossione del contributo per l’estrazione di materiali ornamentali previsto dall’art. 15 della legge regionale n. 78/98. L’art. 17 del regolamento per la concessione, la cui illegittimità è segnatamente denunciata dalla ricorrente, stabilisce che ad esso debbano uniformarsi, entro centottanta giorni, "tutti i rapporti giuridici attualmente esistenti con gli operatori del settore, per i quali, ai sensi di precedenti procedure, il Comune ha dato la disponibilità di terreni per l’attività di cava". In ossequio alla previsione regolamentare, il Comune ha quindi adottato la delibera n. 5 dell’11 marzo 2010, impugnata dalla ricorrente mediante il primo atto di motivi aggiunti, con la quale, preso atto della generale perdita di efficacia dei contratti di affittanza pregressi, ha dato in concessione la cava "Piastra Bagnata" alla Cooperativa A. come da allegato atto contenente la dichiarazione di risoluzione del contratto del 5 febbraio 2007 (da intendersi sostituito dalla concessione), con onere della concessionaria di comunicare per iscritto la propria accettazione entro trenta giorni, pena la decadenza da ogni diritto.

2. L’assunto di fondo, che sta alla base dell’intera impugnativa ed è enunciato a partire dal primo motivo di cui al ricorso principale, si compendia nella negazione dell’appartenenza degli agri marmiferi al patrimonio indisponibile del Comune. Sostiene, infatti, la ricorrente che gli agri in questione, in quanto soggetti ad usi civici, formerebbero oggetto di titolarità della competente Amministrazione separata per la gestione dei beni di uso civico (ASBUC), di talché, rispetto ad essi, non sarebbe configurabile l’esercizio di poteri pubblicistici dell’amministrazione: la tesi sarebbe suffragata, in fatto, dalla circostanza che lo stesso Comune di Vagli Sotto ha chiesto a questo tribunale, in separato giudizio iscritto al n. 1658 R.G. 2006, l’accertamento incidentale della propria ed esclusiva titolarità degli agri, e della correlativa inesistenza di diritti di uso civico (giudizio attualmente sospeso in attesa della definizione, con sentenza passata in giudicato, del contenzioso pendente davanti al Commissario per la liquidazione degli usi civici per Lazio, Toscana ed Umbria con identico oggetto).

In diritto, l’esclusione delle cave dal patrimonio indisponibile discenderebbe inoltre dall’art. 826 c.c., stando a quella interpretazione giurisprudenziale della norma che limita l’attrazione al patrimonio indisponibile dello Stato o della Regione alle sole cave la cui disponibilità sia stata preventivamente sottratta al proprietario del fondo.

2.1. Replica l’amministrazione resistente rivendicando la proprietà comunale della cava "Pietra Bagnata", a maggior ragione in assenza di accertamenti giurisdizionali definitivi circa l’appartenenza della stessa all’ASBUC. In ogni caso, anche laddove si volesse ammettere la demanialità civica degli agri, questo non determinerebbe di per sé l’illegittimità del regolamento impugnato, comportando unicamente la destinazione all’Amministrazione separata dei canoni di concessione.

Per altro verso, l’interpretazione dell’art. 826 c.c. propugnata dalla ricorrente sarebbe da ritenersi superata alla stregua della giurisprudenza amministrativa più recente, la quale avrebbe riconosciuto non potersi ragionevolmente discriminare, sul piano delle modalità di sfruttamento, i giacimenti acquisiti dagli enti pubblici senza titolarità del diritto di proprietà da quelli acquisiti a titolo di proprietà, nell’uno e nell’altro caso lo sfruttamento non potendo che essere oggetto di un potere pubblicistico.

3. È evidente come la questione, prima che sul merito della controversia, rilevi al fine di stabilire se ricorra, nella specie, la giurisdizione del giudice amministrativo adito. Essa va risolta, pragmaticamente, in coerenza con l’indirizzo recentemente espresso dal tribunale, che ha aderito all’impostazione secondo cui la oggettiva finalità di interesse pubblico sottesa allo sfruttamento della cava implica necessariamente l’esercizio dei corrispondenti poteri pubblicistici da parte dell’ente proprietario della cava, a prescindere dall’acquisizione della cava stessa al patrimonio indisponibile (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 maggio 2003, n. 2992, relativa a cava di proprietà di un’ASBUC, confermata, quantomeno nelle conclusioni, da Cass. 8 luglio 2005, n. 14329); ed ha pertanto qualificato in termini di convenzione accessiva ad un rapporto di concessione amministrativa il contratto di affitto stipulato dal Comune di Vagli Sotto avente ad oggetto proprio la cessione dello sfruttamento dei medesimi agri in favore di soggetto diverso dall’odierna ricorrente, e in conflitto con quest’ultima (cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 28 gennaio 2009, n. 455).

Che la proprietà della cava "Piastra Bagnata" appartenga al Comune, ovvero all’ASBUC, i contratti di affitto che la riguardano debbono dunque essere qualificati come convenzioni accessive a concessione (secondo il noto modello tradizionale della concessionecontratto), ivi compreso il contratto del 5 febbraio 2007, che, costituendo il titolo giuridico della pretesa fatta valere dalla cooperativa ricorrente, attrae il presente giudizio nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (ai sensi dell’art. 5 della legge n. 1034/71, ma anche dell’art. 11 co. 5 della legge n. 241/90, ed, oggi, dell’art. 133 co. 1 lett. a) n. 2 e b) cod. proc. amm.).

4. Acclarata la sussistenza della giurisdizione del T.A.R. adito, l’ordine logico delle questioni impone di dare conto delle eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa del Comune di Vagli Sotto con riferimento, rispettivamente, alla tardività dell’impugnazione proposta contro la delibera n. 6 dell’8 marzo 2009 ed alla pretesa improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse determinata dalla mancata accettazione della concessione ad opera della ricorrente.

4.1. Quanto al primo aspetto, è sufficiente rilevare come la delibera n. 6/2009 sia stata pubblicata il 21 marzo 2009, per quindici giorni consecutivi, a norma dell’art. 124 T.U.E.L.. Posto che il termine per impugnare decorre, pacificamente, (non dal primo giorno di pubblicazione, ma) dalla scadenza del termine di pubblicazione, vale a dire dal successivo 5 aprile, in relazione a tale data la notificazione del ricorso introduttivo – da intendersi eseguita per la ricorrente il 3 giugno 2009, mediante la spedizione postale – risulta tempestiva.

Quanto alla dedotta improcedibilità, basti dire che, in virtù della pronuncia cautelare adottata dalla Sezione il 6 – 7 luglio 2010, debbono ritenersi paralizzati gli effetti sia dell’art. 4 della concessione approvata dal Comune con l’impugnata delibera n. 5/2010, sia dell’art. 17 del regolamento di cui alla delibera n. 6/2009, di talché nessuna decadenza è ravvisabile a carico della Cooperativa A. in conseguenza della mancata accettazione della nuova disciplina del rapporto concessorio.

4.2. Il Comune eccepisce, ancora, l’inammissibilità dell’impugnativa rivolta contro il regolamento per la gestione e la riscossione del contributo per l’estrazione dei materiali ornamentali, che sarebbe sprovvisto di immediata lesività in ragione del rinvio, ivi contenuto, all’adozione di apposite delibere attuative. In contrario, deve tuttavia osservarsi come il regolamento stesso, per la propria entrata in vigore, non rinvii all’adozione delle delibere di Giunta cui è rimessa la determinazione della misura del contributo, ma all’attivazione della pesa comunale, circostanza che la stessa amministrazione resistente riconosce essersi verificata.

4.3. L’amministrazione resistente deduce, conclusivamente, la tardività del primo atto di motivi aggiunti nella parte in cui è indirizzato contro la delibera n. 28 del 25 settembre 2009, contenente l’approvazione dello schema di concessione per gli agri marmiferi in proprietà comunale, nonché la misura del canone da applicarsi a tutti i concessionari. Anche tale eccezione è infondata, atteso che la lesione dell’interesse azionato dalla ricorrente può considerarsi attualizzata solo con l’adozione della successiva delibera n. 5/2010, di modifica individuale del contenuto della concessione già rilasciata alla Cooperativa A., la quale aveva al più la facoltà, ma non l’obbligo, di impugnare autonomamente l’atto presupposto.

5. Tornando al merito, ed alle deduzioni svolte dalla Cooperativa A. con il primo motivo di ricorso, deve convenirsi con la puntualizzazione del Comune, secondo cui il problema da dirimere non attiene tanto alla configurabilità, indiscutibile, del potere dell’amministrazione di disciplinare in via regolamentare l’uso degli agri marmiferi in sua proprietà, del quale la delibera n. 6/09 costituisce manifestazione; quanto di stabilire se la anche la cava "Piastra Bagnata" possa reputarsi assoggettata a tale disciplina, ciò che presupporrebbe il definitivo accertamento dello statuto proprietario del bene.

La materia, come si è visto, esula dalla giurisdizione di questo tribunale. Tuttavia, il collegio ritiene possibile evitare l’impasse processuale valorizzando l’esame delle censure, tra quelle proposte, che presentano carattere potenzialmente assorbente anche rispetto al tema della titolarità della cava. Allo scopo, viene in rilievo innanzitutto la memoria depositata dalla ricorrente il 14 giugno 2011, con la quale è precisato (rectius: ridimensionato), alla luce delle difese avversarie, il contenuto dello stesso primo motivo di ricorso, nel senso che, ad avviso della Cooperativa A., la conclamata incertezza in merito alla titolarità della cava avrebbe dovuto indurre il Comune a maggiore prudenza e, in particolare, a soprassedere sull’adozione di atti intesi a stravolgere la disciplina del rapporto già in corso.

Nella medesima prospettiva, si presta ad essere altresì esaminato il secondo motivo di ricorso, volto a far valere l’illegittimità del sopra citato art. 17 del regolamento per la concessione degli agri marmiferi, disposizione mediante la quale il Comune avrebbe inteso operare con efficacia retroattiva sui rapporti in corso, ancorché di natura concessoria, anziché attivare i propri poteri di autotutela (della quale mancherebbero, in ogni caso, i presupposti).

Le censure sono fondate.

5.1. L’art. 17 dell’impugnato regolamento per la concessione degli agri marmiferi prevede, lo si è visto, l’adeguamento alle nuove disposizioni, entro centottanta giorni, dei rapporti già in essere in forza di precedenti procedure con gli operatori del settore. Afferma la difesa del Comune di Vagli Sotto che, incidendo il regolamento su rapporti di durata, ed operando solo per il futuro, la sua asserita retroattività sarebbe solo apparente, mentre, del resto, l’adeguamento risponderebbe a legittime esigenze di pubblico interesse.

Ora, è noto che, nell’ambito dell’azione amministrativa, vige la regola generale dell’irretroattività, espressione del principio di legalità e dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, la quale impedisce all’amministrazione di incidere unilateralmente e con effetto ex ante sulle situazioni soggettive del privato ed, a maggior ragione, opera in presenza di provvedimenti con valenza regolamentare, con riguardo ai quali il principio di irretroattività discende direttamente dall’art. 11 delle preleggi, ed è derogabile unicamente per effetto di una disposizione di legge pari ordinata. Questo significa che solo in presenza di una norma di legge che a ciò abiliti gli atti e regolamenti amministrativi possono avere efficacia retroattiva (fra le altre, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4301).

La regola dell’irretroattività non è però sufficiente a fondare il giudizio di illegittimità del regolamento adottato dal Comune di Vagli Sotto, ove gli effetti dello stesso vengano riguardati nella prospettiva dell’incidenza sullo svolgimento futuro del rapporto originato dalla concessione. Portando a estreme conseguenze la prospettazione del Comune, in effetti la fattispecie potrebbe essere assimilata a quella dell’inserzione automatica di clausole ex art. 1339 c.c. nel contenuto negoziale della concessionecontratto del 5 febbraio 2007: la giurisprudenza ritiene infatti che la sopravvenienza, nel corso di un rapporto di durata, di una norma che vincoli l’autonomia negoziale delle parti comporti l’assoggettamento del contratto, per la sua durata residua, all’efficacia della clausola imperativa da detta norma imposta, che sostituisce la clausola difforme relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre in avvenire (cfr. Cass., 26 gennaio 2006, n. 1689). Nel caso in cui la norma sopravvenuta abbia natura regolamentare, occorre tuttavia che il potere di statuire l’imperatività di clausole contrattuali sia delegato all’amministrazione dalla legge (cfr. Cass., 21 dicembre 1994, n. 11032), ma una delega siffatta qui non è rinvenibile, né in materia al Comune resistente sono riconosciuti poteri regolamentari autonomi, idonei a incidere sui rapporti privati alla stregua di quelli attribuiti ai Comuni di Massa e Carrara dall’art. 64 co. 3 della legge mineraria del 1927.

5.2. Le ragioni ostative più profonde all’ammissibilità delle modifiche apportate dal regolamento impugnato, ancorché per il futuro, alla disciplina dei rapporti concessori in atto risiedono, peraltro, nella specificità del regime giuridico di tali rapporti.

La coesistenza, nel medesimo contesto procedimentale, di contenuti provvedimentali e contenuti convenzionali è fenomeno oramai da lungo tempo codificato dal diritto positivo nell’istituto degli accordi tra la pubblica amministrazione e i privati, di cui all’art. 11 della legge n. 241/90. In particolare, interessa in questa sede la tipologia dell’accordo "integrativo" di provvedimento, che, in virtù di una lettura non formalistica della previsione legislativa, non necessariamente deve intervenire in una fase precedente l’adozione del provvedimento stesso, ma ben può essere contestuale ad essa, ovvero seguirla, come nel caso in esame, in cui il "contratto" intercorso fra il Comune di Vagli Sotto e la Cooperativa A. il 5 febbraio 2007 accede – secondo la comune prospettazione delle parti – alla delibera consiliare di concessione n. 13 del 13 maggio 2006 (e della successiva n. 23 dell’11 agosto 2006) e lo recepisce, integrandolo.

Non è certo il luogo per ripercorrere il dibattito, non ancora sopito, circa la natura giuridica degli accordi amministrativi. Ai fini della decisione, importa solo rilevare che dottrina e giurisprudenza assolutamente maggioritarie vi ravvisano una innegabile matrice pattizia, variamente declinata, il cui primo portato è quello della reciproca vincolatività dell’accordo secondo la regola sancita per i contratti dall’art. 1372 c.c., direttamente applicabile agli accordi de quibus per effetto del rinvio ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, contenuto nel secondo comma dell’art. 11 l. n. 241/90.

D’altro canto, la concorrente, ed altrettanto innegabile, connotazione pubblicistica degli accordi giustifica la previsione del sempre immanente potere della parte pubblica di sciogliersi unilateralmente dal vincolo convenzionale, esercitando il recesso ai sensi del successivo quarto comma del medesimo art. 11. Al di là del nomen juris adoperato dal legislatore, non vi sono peraltro tratti in comune fra il recesso della pubblica amministrazione dagli accordi ed il recesso dai contratti, quest’ultimo oggi disciplinato dall’art. 21sexies della legge sul procedimento amministrativo: il primo, infatti, è espressamente condizionato alla sopravvenienza di motivi di pubblico interesse e presenta – al verificarsi del presupposto – caratteri di doverosità, di talché deve essere ascritto, secondo l’opinione prevalente, ai poteri di autotutela decisoria dell’amministrazione, pur con la peculiarità di un duplice vincolo nella causa e nella forma.

Dunque, in relazione agli accordi è la legge a dettare un regime speciale dell’autotutela, solo in parte sovrapponibile a quello della revoca dei provvedimenti, giacché, nel caso degli accordi, deve comunque escludersi che l’amministrazione possa rivalutare in ogni momento l’originaria opportunità dell’accordo, anche in assenza di circostanze sopravvenute tali da rendere l’accordo stesso non più compatibile con il pubblico interesse: diversamente opinando, si finirebbe per svuotare di effettività il vincolo nascente dalla convenzione, privando di ogni garanzia di stabilità l’affidamento della parte privata.

Tale ultimo rilievo rende opportuno precisare, quanto agli effetti del recesso, che in presenza di accordi integrativi esso è ipotizzabile purché si ritenga che l’accordo continui a mantenere una propria individualità ed autonomia rispetto al provvedimento. Ove, invece, si ritenga che l’accordo integrativo resti interamente assorbito dal provvedimento, è evidente che sarà questo a costituire l’oggetto di autotutela (revoca), negli stessi limiti – sistematici – stabiliti per il recesso.

Il quadro dei poteri pubblicistici di autotutela, di cui l’amministrazione continua a disporre dopo la stipula dell’accordo, va completato con il potere generale di annullamento d’ufficio, riconosciuto dalla dottrina pur tra alcune cautele. Sul piano degli effetti civilistici, non sembrano invece esservi ostacoli a che nell’accordo amministrativo sia inserita una clausola convenzionale di recesso, ai sensi dell’art. 1373 c.c., così come pare del tutto ovvio che le parti possano addivenire alla rinegoziazione dell’accordo.

5.3. Gli elementi raccolti consentono di concludere che la P.A., per sottrarsi legittimamente al vincolo di un accordo amministrativo, dispone – oltre che dei rimedi esportabili dalla disciplina civilistica del contratto – di alcuni rimedi tipicizzati dal legislatore, il ricorso ai quali implica lo scioglimento del rapporto scaturito dall’accordo, non la sua conservazione; e, in particolare, che il governo delle sopravvenienze di pubblico interesse è garantito all’amministrazione dallo strumento del recesso di cui all’art. 11 co. 4 della legge n. 241/90. La soddisfazione del pubblico interesse sopravvenuto non può, di contro, essere surrettiziamente conseguita con strumenti e modalità differenti, laddove questi non solo si appalesino inidonei a garantire l’affidamento della controparte privata, ma, a maggior ragione, ove mirino a realizzare la modifica unilaterale delle condizioni convenute, in contrasto con la natura stessa dell’accordo amministrativo.

Per tali ragioni, incorre nei vizi dedotti il regolamento impugnato, illegittimo nella parte in cui, con la norma transitoria dettata dall’art. 17 co. 2, vincola lo stesso Comune a procedere all’adeguamento dei rapporti concessori in corso, senza tenere conto del divieto – ricavabile dal sistema – di modifica unilaterale delle clausole negoziali accessive alle concessioni già rilasciate, e senza condizionarlo quantomeno alla verifica, caso per caso, dei presupposti per il corretto esercizio dei poteri di autotutela (e, per l’effetto, alla preventiva instaurazione del contraddittorio procedimentale con l’interessato e all’osservanza dell’obbligo di motivazione intorno alle ragioni sopravvenute di interesse pubblico giustificative dell’esercizio di tali poteri: il rilievo vale altresì a evidenziare la fondatezza del quarto motivo aggiunto, con cui la ricorrente rimarca come la delibera n. 5/2010, recante la modifica unilaterale della concessione rilasciata alla Cooperativa A., non sia stata preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento).

A questo, si aggiunga la mancata considerazione della pur notoria situazione di incertezza sulla titolarità della cava "Piastra Bagnata", che vizia ulteriormente il regolamento sotto il profilo della irragionevole omissione di clausole di salvaguardia per il relativo rapporto concessorio, soggetto a contenzioso.

6. L’invalidità del regolamento per la concessione degli agri marmiferi si estende certamente alla delibera n. 5/2010, adottata in dichiarata esecuzione dell’art. 17 del regolamento predetto, ed alla successiva delibera n. 2 del 23 febbraio 2011, che della prima è correttiva. La valenza assorbente dei vizi rilevati esime il collegio dall’esame di ogni altra censura rivolta avverso detti provvedimenti.

Rimane esclusa dall’annullamento la delibera n. 28/2009, che, per la parte relativa all’approvazione dello schema di concessione conforme al regolamento, è sprovvista di autonoma efficacia lesiva, mentre, per la parte relativa alla determinazione dell’aliquota di cui all’art. 11 co. 1 lett. c) del regolamento nella misura dell’8% per il biennio 2010 – 2012, non è attinta da alcuna censura diretta a contestarne la legittimità in assoluto. La ricorrente si limita, infatti, a far valere l’esorbitante aumento rispetto al canone attualmente corrisposto (profilo assorbito dall’accertata inapplicabilità del regolamento al rapporto in essere fra le parti, per l’intera durata dello stesso), ma non allega che la misura del canone, così determinata, debba ritenersi viziata anche in relazione ad eventuali concessioni future (un’allegazione siffatta, del resto, dovrebbe ritenersi inammissibile per difetto di attualità dell’interesse sottostante, tanto più che la concessione rilasciata alla Cooperativa A. andrà a scadere nel 2015, quando la delibera n. 28/2009 avrà oramai esaurito i propri effetti).

7. Le illegittimità riscontrate a carico del regolamento per la concessione degli agri marmiferi non coinvolgono neppure il coevo regolamento per la gestione e la riscossione del contributo per l’estrazione dei materiali ornamentali, di cui all’art. 15 co. 4 della legge regionale n. 78/98. Esso non incide, infatti, sul contenuto della concessione, ovvero del rapporto nascente dalla concessione del febbraio 2007, se non, di riflesso, per il fatto che la Cooperativa A. vi è soggetta nella sua veste di concessionaria; e, in ogni caso, non pone alcun problema di retroattività, essendo espressamente destinato ad operare per l’avvenire, in relazione, cioè, ai soli materiali scavati dopo la sua entrata in vigore (in questo senso, è inequivocabile l’art. 7 co. 2 del regolamento). Da ciò, la necessità di vagliare la fondatezza delle censure dirette a farne valere l’illegittimità in via autonoma, ed articolate con il quarto motivo di cui al ricorso introduttivo.

7.1. Sostiene la Cooperativa ricorrente che il regolamento in questione, nello stabilire che il contributo per l’escavazione venga determinato sulla base dell’entità, della natura e della qualità dei materiali costituenti la produzione della cava, violerebbe l’art. 15 co. 4 della legge regionale n. 78/98, che porrebbe come criterio per la determinazione del contributo non il volume dei materiali scavati, ma quanto fatturato in sede di commercializzazione.

La tesi non è condivisibile.

L’art. 15 co. 4 cit. prevede che, per l’estrazione di materiali ornamentali, sia versato al Comune un contributo rapportato alla quantità e qualità del materiale ornamentale estratto, in applicazione degli importi stabiliti dal Comune stesso, nel limite massimo del 5% del valore di vendita del materiale. La norma ha formato oggetto di interpretazione autentica ad opera dell’art. 33 della legge regionale n. 62/08, secondo cui "il materiale ornamentale cui fare riferimento per l’applicazione del contributo è quello idoneo alla commercializzazione". Il tenore letterale delle disposizioni smentisce chiaramente che il riferimento per la determinazione del contributo possa ritenersi costituito dal fatturato delle imprese che esercitano l’attività estrattiva, nella misura in cui il requisito dell’idoneità alla commercializzazione implica un giudizio che si colloca – per definizione, e necessariamente – in un momento anteriore a quello della cessione a terzi, mostrando come il legislatore regionale abbia ritenuto doversi attribuire rilievo alla mera potenzialità commerciale del materiale estratto; il che, traducendosi nell’attribuire esclusivo rilievo alle quantità scavate (del solo materiale potenzialmente commerciabile), è perfettamente coerente con la ratio indennitaria del contributo, destinato a far fronte agli interventi infrastrutturali e alle opere di tutela ambientale comunque correlati alle attività estrattive, nonché alla razionalizzazione degli adempimenti comunali relativi all’istruttoria delle domande di autorizzazione e al controllo delle attività di cava, e perciò del tutto ragionevolmente commisurato all’effettivo impatto dell’attività di cava sul territorio, impatto stimabile, appunto, attraverso le quantità di materiali scavati (sulla natura indennitaria, e non tributaria, del contributo ex art. 15 co. 4 l.r. toscana n. 78/98, cfr. Cass. SS.UU. ord. 24 dicembre 2009, n. 27347).

Nessuna difformità dal dettato legislativo può dunque essere ravvisata a carico dell’art. 3 del regolamento impugnato, che indica criteri sostanzialmente sovrapponibili a quelli stabiliti dall’art. 15 co. 4. Vero è che quest’ultimo contiene un ulteriore riferimento al "valore di vendita del materiale", ma al diverso fine di determinare l’ammontare massimo del contributo. E proprio la circostanza che tale ammontare massimo sia rappresentato da una quota del valore di vendita conferma, a contrario, che tale valore – anche a volerlo, in ipotesi, identificare con il fatturato – non coincide con il valore corrispondente alla "quantità e qualità del materiale estratto", che rappresenta invece la base per la determinazione del contributo (del tutto ragionevolmente, il legislatore toscano ha voluto che l’onere del contributo, ferma restandone la commisurazione alle quantità di materiali estratte, non gravi oltre una certa misura percentuale sui ricavi ritraibili dalla vendita dei materiali stessi).

7.2. Per quel che attiene alla pretesa illegittimità della disposizione regolamentare transitoria (il già citato art. 7 co. 2 del regolamento) sotto il profilo della violazione dei termini stabiliti dall’art. 15 co. 4 per il versamento del contributo, la doglianza è inammissibilmente generica, non avendo la ricorrente allegato di essere stata in concreto assoggettata a termini di versamento non rispettosi di quelli legali. È peraltro evidente che, come osservato dalla difesa del Comune, ai fini dell’eventuale avvio di procedimenti sanzionatori o di riscossione coattiva gli unici termini operativi sono quelli stabiliti dalla legge.

8. Alla stregua delle considerazioni che precedono, vanno dunque annullati il regolamento per la concessione degli agri marmiferi approvato dal Comune di Vagli Sotto con delibera n. 6/2009, nella parte in cui impone al Comune stesso di adeguare alle disposizioni da esso introdotte anche i rapporti concessori già in corso, nonché le successive delibere comunali n. 5 dell’11 marzo 2010, con l’allegato atto di concessione, e n. 2 del 23 febbraio 2011.

Le spese di lite seguono la soccombenza dell’amministrazione resistente, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione le impugnative proposte dalla ricorrente Cooperativa A. con l’atto introduttivo del giudizio e i due atti di motivi aggiunti notificati in corso di causa.

Condanna il Comune resistente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Maurizio Nicolosi, Presidente

Bernardo Massari, Consigliere

Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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