Cass. civ. Sez. III, Sent., 08-06-2012, n. 9288 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bologna ha confermato, per quello che qui ancora interessa, la decisione del Giudice di pace che ha liquidato in Euro 3.061,27 l’importo del risarcimento per i danni subiti da S. A. a seguito di un incidente stradale verificatosi in data (OMISSIS) con un veicolo rimasto sconosciuto.

Avverso tale sentenza propone ricorso S.A. con tre motivi illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la Fondiaria Sai, quale impresa designata dal F.G.V.S..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo si denunzia violazione degli artt. 2056 2059 c.c., degli artt. 114, 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 57 del 2001, ex art. 360, n. 3. Sostiene il ricorrente che il giudice di merito ha riconosciuto un danno biologico nella misura di 1,5 punti percentuali, mentre per il tipo di lesioni riportate avrebbe dovuto riconoscere una percentuale non inferiore al 2%.

Nel liquidare l’entità del danno riportato, il Tribunale ha erroneamente fatto ricorso alla liquidazione equitativa, disattendendo le prove fornite dal ricorrente, facendo indebita applicazione del D.M. 3 luglio 2003 in combinato disposto con la L. n. 57 del 2001.

2. Il motivo è infondato.

I giudici di merito, disattendendo le conclusioni dei c.t.u. che aveva escluso le persistenza di significativi postumi invalidanti permanenti, hanno riconosciuto ai ricorrente una percentuale di invalidità permanente stimata nella misura dell’1,5%, utilizzando per la sua liquidazione , quale piattaforma meramente orientativa, i parametri del D.M. 3 luglio 2003.

L’accertamento del grado di invalidità permanente residuata è un accertamento di fatto che il giudice di legittimità non può modificare se il giudice di merito ha sorretto la sua decisione con una motivazione logica e non contraddittoria.

Il ricorrente, denunziando un vizio di violazione di legge, chiede in sostanza una nuova valutazione di merito, inammissibile in questo giudizio di legittimità, senza peraltro segnalare alcun vizio motivazionale o contraddittorietà logica nella sentenza impugnata.

3. In ordine all’entità del danno biologico liquidato per gli esiti permanenti, si osserva che il danno biologico deve liquidarsi necessariamente con il ricorso alla liquidazione equitativa, in quanto è un tipo di danno di cui non può essere provato il preciso ammontare. Il giudice di merito ha fatto corretta applicazione di tale principio liquidando equitativamente il danno riportato nel sinistro, avvenuto in epoca anteriore alla L. n. 57 del 2001, facendo riferimento in via orientativa ai parametri di cui al D.M. 3 luglio 2003.

4. Non ha alcuna rilevanza la denunziata violazione dell’art. 3 Cost., in quanto il motivo di ricorso si fonda su una circostanza non dimostrata, vale a dire che i postumi permanenti invalidanti sono superiori a quelli effettivamente accertati, e non tiene conto che il giudice di merito ha applicato per la liquidazione in via equitativa del danno proprio i parametri di liquidazione indicati D.M. 3 luglio 2003.

5. Come secondo motivo si denunzia omessa liquidazione danno morale personalizzato e violazione degli artt. 2043, 1226, 2056 e 2059 c.c. e art. 3 Cost..

Sostiene il ricorrente che il giudice di merito ha omesso di liquidare il danno morale, che egli aveva espressamente richiesto, senza una idonea personalizzazione dello stesso.

6. Il motivo è infondato.

Il giudice di appello ha evidenziato, alla luce della recente giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. 11-11-2008 n. 26973), che il danno non patrimoniale costituisce una categoria generale unitaria di cui fa parte quello che tradizionalmente viene definito come danno biologico, danno alla salute o alla integrità psico-fisica, comprensivo anche dei danni agli aspetti esistenziali della vita della persona, e che in tale accezione pluridimensionale è ricompreso, utilizzando una formula descrittiva, anche quel pregiudizio tradizionalmente denominato danno morale soggettivo, inteso quale sofferenza soggettiva in sè considerata derivante da reato, da lesione di interessi protetti da specifiche leggi o dalla lesione di valori di rango costituzionale non suscettibili di valutazione economica.

Il danno morale, non potendo considerarsi come autonoma figura di danno non patrimoniale, può essere in concreto determinato attraverso un’adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando l’effettiva consistenza delle sofferenza fisiche e psichiche sofferte dal soggetto leso, purchè detto pregiudizio sia stato esplicitamente allegato dalla parte e dimostrato almeno in via presuntiva.

7. La Corte di merito ha ritenuto che, nel caso di specie, l’atto introduttivo del giudizio, al di là dei profili biologico -dinamico -relazionali già valutati, non conteneva neppure sommariamente l’allegazione dei profili relativi al danno cosiddetto morale e di conseguenza ha rigettato l’impugnazione sul punto, anche tenendo conto della natura micropermanente dei postumi invalidanti.

8. Il giudice di appello si è attenuto alla più recente giurisprudenza di questa Corte che ha ricondotto le voci di risarcimento dei danni alle sole fattispecie previste dalla legge (danni patrimoniali, danni biologici, danni non patrimoniali) escludendo l’ammissibilità delle molteplici, ulteriori voci di danno emerse negli ultimi tempi dalla dottrina e dalla prassi giurisprudenziale, che possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento al caso specifico delle somme liquidate in risarcimento.

9. Questa Corte ha affermato che il danno risarcibile ex art. 2059 c.c., è sempre un danno conseguenza.

Ciò comporta che esso vada provato, non essendo ammissibile la ritenuta esistenza di tale danno, anche se conseguente a reato, come danno in re ipsa. Ovviamente nell’ambito delle prove per l’esistenza di tale danno non patrimoniale il giudice potrà avvalersi anche della prova presuntiva (Cass. n. 20143 del 2009; Cass. n. 7695 del 2008. Ordinanza n. 8421 del 12/04/2011).

10.Con il terzo motivo si denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione sulla liquidazione delle spese di primo grado. Sostiene il ricorrente che la liquidazione delle spese giudiziali ha comportato una sensibile riduzione di quanto richiesto con l’analitica nota spese.

11. Il motivo è inammissibile per novità della questione.

Dalla sentenza impugnata risulta che il ricorrente ha dedotto come motivo di appello l’omessa liquidazione dalla spese dell’espletata c.t.u. medico legale.

Con il motivo di ricorso lamenta la riduzione senza motivazione dell’importo delle spese diritti ed onorari come richiesti nella nota spese.

12. Si osserva, infatti, che giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che abbiano formato oggetto del giudizio di merito, restando escluso, pertanto, che in sede di legittimità possano essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di contestazione involgenti accertamenti di fatto non compiuti, perchè non richiesti, in sede di merito (Cass. 6 giugno 2000, nn. 7583 e 7579). Inoltre, si osserva, ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi ai giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Case.

12 settembre 2000, n. 12025, nonchè Cass. 9 aprile 2001, n. 5255, specie in motivazione).

Il ricorrente non ha adempiuto in alcun modo agli oneri di allegazione che gli incombevano rendendo inammissibile il motivo.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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