Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-09-2011) 24-11-2011, n. 43304

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.G. ricorre per Cassazione avverso la sentenza 29.10.2010 con la quale la Corte di Appello di Lecce ha confermato la decisione 26.4.22007 del Tribunale di Brindisi – sezione distaccata di Ostuni condannandolo alla pena di anni due di reclusione e 1.000 Euro di multa oltre alle spese processuali, per la violazione dell’art. 648 c.p. per avere ricevuto la autovettura Lancia Y 10 tg.

(OMISSIS) provento del delitto di truffa commesso ai danni di Fiat SAVA in data successiva al 13.9.2001, conoscendone la provenienza illecita.

Condannato dal Tribunale di Brindisi, tramite il difensore, lo imputato ha interposto appello deducendo: 1) la mancanza della prova dello elemento psicologico del reato, avendo acquistato il veicolo da tale M.F., successivamente ceduto alla concessionaria MASTERCAR che, a sua volta lo aveva rivenduto a tale B. E.; 2) doveva essere contestato il reato di incauto acquisto o in subordine la ipotesi attenuata di cui all’art. 648 c.p., comma 2;

3) il reato doveva essere comunque derubricato nel meno grave delitto di truffa; 4) dovevano essere riconosciute le attenuanti generiche con conseguente riduzione della pena nei suoi minimi edittali.

La Corte territoriale ha ricostruito la vicenda nei seguenti termini:

a seguito di denuncia – querela presentata dalla finanziaria SAVA Leasing, in data 31.3.2003, la Procura della Repubblica di Taranto disponeva il sequestro della autovettura Lancia Y 10 tg. (OMISSIS) acquistata da tale M.T. con un finanziamento ottenuto in modo fraudolento mediante la esibizione di una carta di identità, un codice fiscale e una busta paga risultati falsi. La autovettura, rinvenuta nella disponibilità di B.E., veniva sequestrata dalla Polizia Giudiziaria. La suddetta persona dichiarava di avere acquistato il veicolo presso la MASTERCAR di L. K., per la somma di Euro 7.645,00, non riuscendo peraltro ad ottenere il trasferimento della proprietà del veicolo per la mancanza di taluni documenti, lamentandosi del fatto con il CO.Ma., coniuge della titolare dell’autosalone che aveva curato materialmente la vendita del veicolo. Il Co., a sua volta si era rivolto al C. dal quale aveva ricevuto l’autovettura, sollecitando – anche a mezzo di un legale – l’invio della documentazione necessaria al passaggio della proprietà. Il C., quindi, su sollecitazione del B., aveva sottoscritto una dichiarazione in data 8.3.2003 con la quale si assumeva la responsabilità per la mancata consegna dei documenti e per lo eventuale pagamento di contravvenzioni, rilasciando allo stesso copia di un suo documento di identità.

Respingendo i motivi di appello, la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento della consapevolezza dello imputato circa la illegittima provenienza del veicolo perchè il C., venuto sicuramente in possesso del veicolo, non ha rivelato le modalità, le circostanze e il prezzo di acquisto del veicolo e in particolare non ha fornito alcuna prova circa la corresponsione di somme in pagamento del prezzo, nè ha offerto indicazioni utili per la identificazione di colui che aveva ottenuto il finanziamento facendo uso di falsi documenti. La Corte territoriale ha inoltre posto in evidenza che lo imputato è rimasto contumace nel corso del giudizio e non ha reso dichiarazioni processualmente utilizzabili posto che le sommarie informazioni rese nel corso delle indagini preliminari – alle quali la difesa ha fatto riferimento – neppure hanno fatto parte del fascicolo per il dibattimento. Da tale assunto la Corte territoriale ha tratto la prova della malafede dello imputato, avendo lo stesso ricevuto il veicolo privo dei documenti necessari per il trasferimento della proprietà, proponendolo successivamente in vendita, senza consegnare, seppur sollecitato, il libretto di circolazione del mezzo. La Corte territoriale, inoltre ha ritenuto che la dichiarazione 8.3.2003 rilasciata dall’imputato al B. non può essere considerata come prova di buona fede, ma collido mezzo per guadagnare tempo e al fine di far soprassedere il B. dall’assumere iniziative giudiziarie. Di qui la Corte territoriale ha escluso che il fatto potesse essere riqualificato come violazione dell’art. 712 c.p. e nel contempo ha altresì escluso che il fatto potesse essere riqualificato come ipotesi di truffa, mancando qualsiasi elemento di prova dal quale poter inferire che il C. avesse acquisito il possesso del veicolo agendo con le false generalità di M.T., commettendo frode in danno della Sava Leasing spa, mancando altresì qualsivoglia dichiarazione in tal senso da parte dello imputato. La Corte territoriale, infine ha escluso che il fatto ascritto potesse essere ricondotto alla ipotesi lieve di cui all’art. 648 c.p., comma 2 avendo tenuto conto del valore intrinseco del bene ricettato e delle conseguenze pregiudizievoli cagionate alla parte offesa. La Corte territoriale, infine ha escluso la concedibilità delle attenuanti generiche alla luce del comportamento processuale dello imputato e di un suo precedente giudiziario specifico.

La difesa dello imputato, ricorrendo in questa sede denuncia il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), perchè dal comportamento processuale dello imputato non può essere desunto alcun elemento di carattere probatorio o indiziario, con la conseguenza che nessuna prova è stata raccolta, idonea a dimostrare la consapevolezza del prevenuto della provenienza delittuosa del veicolo. Sul punto la difesa sostiene che il C., commerciante di autovetture, si è comportato con buona fede essendo impensabile che potesse acquistare e rivendere un veicolo sapendo che non fosse stato pagato ed oggetto di truffa, avendo altresì rilasciato al dichiarazione 8.3.2003. Con un secondo motivo la difesa taccia di illogicità la decisione della Corte territoriale in punto riqualificazione del fatto in truffa, sulla base di due considerazioni: "…proprio perchè si trattava di false generalità di M.T., rimasto peraltro inesistente, non poteva che essere una persona interessata, cioè C.G. ad esibire la documentazione e il falso documento. La seconda: se non è stato direttamente il C., sarà stato qualcuno a lui vicino con il quale ha concorso nella perpetrazione della truffa".

Il ricorso è manifestamente infondato.

Circa la doglianza per la quale il giudice non avrebbe dovuto tenere in considerazione il comportamento processuale dello imputato e da questo non avrebbe dovuto desumere elementi di prova, in particolare in relazione allo elemento psicologico del contestato delitto di ricettazione, va qui confermato il principio, già espresso in sede di legittimità v. da ultimo Cass. Sez. 2 21.4.2010 in Ced Cass. Rv 247426) per il quale al giudice non è precluso valutare la condotta processuale (nel presente caso la omessa presentazione in udienza e l’omessa indicazione di spiegazioni circa la vicenda) del giudicando, coniugandola con ogni altra circostanza sintomatica, con la conseguenza che egli, nella formazione del libero convincimento, può ben considerare, nel concorso di altre circostanze, la portata significativa del silenzio mantenuto dall’imputato, su circostanze potenzialmente idonee a scagionarlo (e nello stesso senso Cass. Sez. 5, 14.2.2006, n. 12182, in Ced Cass. Rv. 233903. Nel caso in esame il giudizio della Corte d’Appello ha trovato il proprio fondamento nelle incontestate circostanze fattuali consistite nel fatto che lo imputato, persona adusa a svolgere commercio di autoveicoli, abbia acquistato da persona rimasta sconosciuta una autovettura (provento di un delitto di truffa) priva della documentazione idonea alla sua circolazione, procedendo alla sua successiva vendita. La condotta pienamente provata sul piano oggettivo non è stata confutata dalla difesa e la circostanza che l’imputato abbia mantenuto il silenzio su elementi circostanziali (modalità di acquisto del veicolo, prezzo pagato, elementi utili alla identificazione dello sconosciuto venditore) idonei a scagionarlo, ben può costituire prova dell’elemento psicologico del delitto di ricettazione v. in tal senso, fra le altre: Cass. Sez. 2 27.10.2010 n. 41423 in Ced Cass. Rv 248718; idem 25.5.2010 n. 29198 in Ced Cass. Rv 248265; idem 11.6.2008 n. 25756 in Ced Cass. Rv 241458; Cass. Sez. 4 12.12.2006 n. 4170 in Ced Cass. Rv. 235897. Pertanto il procedimento di valutazione della Corte d’Appello appare immune da qualsivoglia censura in ordine alla adeguatezza della motivazione.

Le ulteriori considerazioni svolte dalla difesa (che peraltro già le aveva proposte con i motivi di appello) in ordine alle modalità di vendita del veicolo e alla firma della dichiarazione 8.3.2003 da parte dell’imputato, finalizzate alla dimostrazione della buona fede del prevenuto, non possono qui essere prese in considerazione. Si tratta nella specie di considerazioni di fatto, che sono state adeguatamente valutate e confutate dalla Corte territoriale con una motivazione che appare immune da vizi e come tale non sindacabile nel merito nella presente sede.

Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, perchè con esso viene prospettata una ricostruzione del fatto che oltre a porsi in alternativa con quella stabilita dalla Corte territoriale, è fondata su soggettive congetture della difesa, senza riscontri probatori.

Per le suddette ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, ravvisandosi nella condotta processuale dell’imputato elementi di responsabilità ex art. 616 c.p.p., per impugnato la decisione su motivi manifestamente infondati.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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