Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 22-06-2011) 24-11-2011, n. 43647 Omissione o rifiuto di atti d’ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza 23/11/2009, confermava la decisione 14/1/2008 del locale Tribunale, che aveva assolto I.F., perchè il fatto non sussiste, dal delitto di cui all’art. 328 c.p., comma 2, in quanto, nella qualità di dirigente dell’Ufficio del personale dell’Ente di Sviluppo Agricolo di Palermo e di responsabile del procedimento amministrativo, pur formalmente sollecitato da F.B., con atto di diffida e costituzione in mora del 2/12/2004, a dare esecuzione alle Delib. dell’Ente 24 febbraio 1988, n. 81/C.A. e 27 luglio 1988, n. 305/C.A., non aveva compiuto l’atto del proprio ufficio e non aveva risposto nel termine di trenta giorni per esporre le ragioni del ritardo; in (OMISSIS).

Il Giudice distrettuale escludeva, sulla base dei seguenti argomenti, la configurabilità dell’ipotizzato reato: a) l’imputato, nel periodo a cui risale l’atto di "messa in mora", era affiancato, per ragioni di salute, da tale dr. D. con funzioni di "vicario"; b) la posizione del F., che aspirava al riconoscimento della qualifica di dirigente superiore e del corrispondente trattamento economico, era stata già valutata in sede di giurisdizione amministrativa, nel senso che doveva essere contemperata con le reali necessità dell’Ente in relazione alla situazione della pianta organica; c) nessun atto era esigibile dall’imputato, considerato che la natura e il contenuto dell’attività sollecitata implicava l’esercizio di una discrezionalità tecnica, che esulava dalle funzioni esercitate dal predetto e comportava il coinvolgimento dell’Ufficio legale dell’Ente e della Commissione a ciò istituzionalmente deputata.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte territoriale e la parte civile F.B..

Il primo lamenta la mancanza, l’illogicità della motivazione, il travisamento dei fatti e la violazione della legge penale, sotto il profilo che la diffida ad adempiere indirizzata dal F. al dirigente dell’Ufficio del personale dell’E.S.A. imponeva al medesimo funzionario, quale responsabile del procedimento, di dare comunque tempestivo riscontro, sia pure interlocutorio, alla richiesta;

l’inerzia del pubblico ufficiale aveva integrato il reato di cui all’art. 328 c.p., comma 2.

La parte civile deduce: 1) violazione della legge penale, con riferimento all’art. 328 c.p., comma 2, in quanto l’atto sollecitato all’imputato, nella qualità di responsabile del procedimento, era vincolato ai principi enunciati nella sentenza n. 404/2001 del Consiglio di Giustizia Amministrativa e, in ogni caso, anche a volerlo ritenere discrezionale, v’era l’obbligo di giustificare il mancato compimento; 2) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui non dava il giusto rilievo a quanto statuito dal Consiglio di Giustizia Amministrativa, che aveva imposto all’E.S.A. di valutare la posizione del F. e di adottare le conseguenti determinazioni; 3) illogicità della motivazione nella parte in cui dava rilievo esimente alla contemporanea presenza presso l’Ufficio del personale di altro funzionario con compiti vicari del dirigente e alla missiva 27/4/2005 inviata dall’imputato al legale del F..

3. Il ricorso del Procuratore Generale è inammissibile, perchè proposto tardivamente.

La sentenza impugnata, pronunciata in data 23/11/2009, è stata depositata, completa di motivazione, in data 18/8/2010, ben oltre quindi il termine di 90 giorni fissato dal giudice ex art. 544 c.p.p., comma 3.

Il termine per proporre ricorso per cassazione, nel caso specifico, è di 45 giorni (art. 585 c.p.p., comma 1, lett. c)) e deve farsi decorrere dal giorno della comunicazione, avvenuta in data 9/9/2010, al P.G. dell’avviso di deposito (art. 585 c.p.p., comma 2, lett. c)), con l’effetto che detto termine andava a scadere il 30/10/2010 (non vanno computati i giorni dal 9 al 15 settembre, compresi nel periodo di sospensione feriale). Il ricorso risulta essere stato depositato in data 16/11/2010, quindi ben oltre il termine perentorio di legge.

4. Il ricorso della parte civile F.B. è fondato e merita accoglimento, ai soli effetti della responsabilità civile dell’imputato.

Deve premettersi, in punto di fatto, che I.F., nella qualità di dirigente dell’Ufficio del personale dell’E.S.A. di Palermo e di responsabile del procedimento amministrativo, dopo avere ricevuto la diffida ad adempiere, datata 2/12/2004, inviata da F.B. (già dipendente dello stesso Ente), che rivendicava il riconoscimento della qualifica di dirigente superiore e del corrispondente trattamento economico, aveva omesso una qualsiasi risposta a tale sollecitazione nei successivi trenta giorni. Si tratta di stabilire se tale condotta, ai soli fini della responsabilità civile, integri o meno gli estremi dell’omissione di cui all’art. 328 c.p., comma 2. Il percorso argomentativo su cui riposa la sentenza impugnata non fa buon governo della legge penale (art. 328 c.p., comma 2) e dei connessi principi in tema di responsabilità civile per fatto illecito (art. 2043 c.c.) e da rilievo, per giustificare la pronuncia assolutoria di I. F. dal reato contestatogli, a circostanze di fatto non coerenti con tale conclusione: la presenza presso l’Ufficio del personale dell’E.S.A. di altro funzionario con compiti vicari non esclude la responsabilità del dirigente del medesimo ufficio, che non risulta essersi venuto a trovare nella condizione di assoluta impossibilità ad adempiere i propri doveri, dando comunque riscontro alla diffida inviatagli dal F.; quest’ultimo era in una posizione di conflittualità, non ancora definita, con l’Ente, per rivendicare l’inquadramento in una determinata qualifica professionale, e legittimamente aveva diffidato l’Ente medesimo ad adottare le proprie determinazioni; la valutazione della posizione rivendicata dal F., anche se oggetto di un procedimento amministrativo complesso, che richiedeva plurimi passaggi, non escludeva la competenza funzionale dell’imputato, che a tale valutazione avrebbe dovuto dare concreta esecuzione, di informare la persona interessata sullo stato della pratica.

Riassuntivamente deve osservarsi che l’art. 328 c.p., comma 2 incrimina non solo l’omissione dell’atto richiesto, ma anche la mancata indicazione delle ragioni del ritardo entro i trenta giorni dall’istanza di chi vi abbia interesse. L’omissione dell’atto, in sostanza, non comporta ex se la punibilità dell’agente; questa scatta soltanto se il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio), oltre a non avere compiuto l’atto, non risponde per esporre le ragioni del ritardo; viene punita non già la mancata adozione dell’atto, che potrebbe rientrare nel potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, bensì l’inerzia del funzionario, la quale finisce per rendere poco trasparente l’attività amministrativa. La formulazione della norma, che utilizza la congiunzione "e", delinea una equiparazione ex lege dell’omessa risposta che illustra le ragioni del ritardo alla mancata adozione dell’atto richiesto.

Deve precisarsi, inoltre, che il delitto di cui si discute si perfeziona quando la prestazione omessa coincide con la funzione propria del pubblico ufficiale, competente ad effettuare tale prestazione, e certamente il dirigente dell’Ufficio del personale dell’E.S.A. era il referente del procedimento amministrativo al quale era interessato il F. e, in quanto tale, a prescindere dall’iter complesso che caratterizzava tale procedimento e che implicava una approfondita valutazione da parte della P.A., aveva – quanto meno – l’obbligo di dare riscontro alla diffida nel termine di legge previsto, informando l’interessato sullo stato del procedimento medesimo e sulle ragioni che ne determinavano il ritardo nella definizione. Tale obbligo non può ritenersi adempiuto con il tardivo invio della missiva 27/4/2005 al legale della parte civile.

Non va sottaciuto, infine, che, al di là della condotta materiale ascritta all’imputato, va approfondita l’indagine, sempre ai soli fini della responsabilità civile conseguente a reato, in ordine alla prospettazione soggettiva dell’agente.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata, ai soli effetti della responsabilità civile, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale.

Annulla agli effetti civili la sentenza impugnata e rimette le parti dinanzi al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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