Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-05-2011) 24-11-2011, n. 43354 Falsità materiale in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 novembre 2005 il Tribunale di Roma ha dichiarato C.V. colpevole:

– del reato di cui all’art. 476 cod. pen. (capo A), perchè, nella sua qualità di maresciallo dell’Esercito, in servizio presso il Battaglione supporto logistico della Scuola trasporti e materiali di Roma con funzioni di cassiere, aveva attestato falsamente e reiteratamente nel registro generale dello stesso Battaglione l’avvenuto versamento di somme di denaro, per un ammontare complessivo pari ad ottocento milioni di lire, sul conto corrente postale intestato al reparto, delle quali, invece, si era impossessato omettendo del tutto o in parte il versamento della somma registrata;

– del reato di cui all’art. 476 cod. pen. (capo B), per essersi impossessato, nella stessa qualità, di un assegno postale in bianco, che aveva riempito per la cifra di duecento milioni di lire, apponendovi la firma falsa del sergente M., che esercitava le funzioni di cassiere, e del sottotenente Calafati, delegato a controfirmare i titoli di pagamento, e appropriandosi della somma, dopo la monetizzazione del titolo;

– del reato di cui all’art. 215 c.p.m.p., continuato e aggravato (capo C), per essersi appropriato, svolgendo – perchè incaricato o di fatto – le indicate funzioni amministrative di cassiere, della somma di L. un miliardo e cinquanta milioni, appartenente all’Amministrazione militare e destinata a pagamenti da effettuarsi per conto dell’ente di appartenenza e di cui aveva il possesso e la disponibilità.

Il Tribunale, che in ragione della sua incensuratezza, concedeva all’imputato le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, unificava i reati sotto il vincolo della continuazione e determinava la pena finale in anni tre e mesi di reclusione.

2. Con sentenza del 20 gennaio 2010 la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.

3. La vicenda per cui è processo è stata ampiamente ricostruita dal primo giudice, che ha dato conto delle iniziali questioni processuali connesse alla dichiarazione da parte del Tribunale militare di Roma, con sentenza del 4 novembre 1999, del proprio difetto di giurisdizione in merito al reato di peculato militare aggravato, per la connessione tra quel procedimento e quello ordinario nel quale lo stesso imputato rispondeva dei reati di falso; alla soluzione del conflitto di giurisdizione con sentenza di questa Corte, che aveva affermato la giurisdizione del giudice ordinario, e alla riunione dei due processi in data 5 febbraio 2002.

Secondo il Tribunale, che ricostruiva la svolta attività investigativa partendo dalle particolareggiate dichiarazioni del teste tenente colonnello D.M., comandante del Battaglione, al quale apparteneva l’imputato, dal mese di settembre 1996, e anche capo del servizio amministrativo, prove univoche di colpevolezza dell’imputato erano costituite:

– per il reato di falso di cui al capo A);

– dalle dichiarazioni dei testi D.M., P., comandante della Scuola trasporti e materiali dal mese di luglio del 1996 al mese di ottobre del 1998, e T., presidente della commissione d’inchiesta amministrativa disposta dal teste P. per la quantificazione del danno subito dall’Amministrazione a causa dei rilevati ammanchi di cassa;

– dalla relazione della commissione d’inchiesta relativa al periodo durante il quale il solo imputato aveva rivestito l’incarico di cassiere (1 gennaio 1992/31 luglio 1996) e dalla documentazione allegata (estratti conto relativi al conto corrente postale in. 70156005, intestato al Battaglione supporto logistico, e registrazioni risultanti dal registro giornale);

– per il reato di falso di cui al capo B);

– dalle dichiarazioni dei testi D.M., M. (che, per disposizione del D.M., aveva sostituito l’imputato nell’incarico di cassiere, rimanendo dallo stesso affiancato, perchè inesperto), C. (apparente traente dell’assegno), e N. e Pa. (rispettivamente cassiere e dipendente della BNA all’epoca dei fatti);

– dalle dichiarazioni del perito calligrafo, maresciallo pa., e dalla relazione dallo stesso predisposta, acquisita dopo la sua escussione quale teste;

– dal verbale di perquisizione del 26 maggio 1997 presso l’abitazione dell’imputato;

– per il reato di peculato militare aggravato di cui al capo C), – dalle dichiarazioni degli indicati testi D.M., P. e T.;

– dalla suddetta relazione della commissione d’inchiesta.

4. La Corte d’appello, dopo aver sintetizzato le doglianze mosse con l’atto di appello, riteneva che:

– l’eccezione di incompetenza del Tribunale collegiale, formulata per essere competente, in virtù delle pene edittali previste per i reati contestati, il Tribunale monocratico, era superata dal disposto dell’art. 33 octies cod. proc. pen., u.c.;

– era infondata l’eccezione di illegittima acquisizione al processo di atti (peraltro non specificati), avuto riguardo alla insussistenza di limitazioni alla facoltà del giudice di acquisire documenti ritenuti utili per la decisione;

– era anche infondata l’eccezione relativa alla mancata acquisizione di atti e al mancato espletamento di perizia grafica, attesa la ritenuta loro non necessità per la decisione;

– era infondata l’eccezione di inutilizzabilità della testimonianza resa dal teste D.M., non sentito con le formalità di cui all’art. 210 cod. proc. pen. quale imputato di reato connesso, poichè non era emersa in alcun modo tale sua qualità e le formalità di cui all’art. 210 cod. proc. pen. erano a garanzia della persona escussa e del suo diritto a non rispondere, senza incidenza sul contenuto della deposizione;

– era irrilevante il motivo concernente la inutilizzabilità della "testimonianza" del perito grafico in merito al mancato rilascio da parte dell’imputato di un saggio di scrittura;

– gli argomenti "confusi, incoerenti e ripetitivi", offerti a discolpa dall’imputato, urtavano contro dati oggettivi, univocamente probativi della responsabilità dello stesso, emergenti dalle puntuali testimonianze e dai documenti acquisiti;

– le richieste istruttorie "a fronte di tanta evidenza" erano infondate e, in ogni caso, inlnfluenti;

– la pena era adeguata in rapporto alla gravità della condotta, alla sua reiterazione nel tempo e all’entità del danno cagionato e non era riducibile in assenza di alcun segnale di resipiscenza.

5. Avverso la predetta decisione C.V. ha proposto due ricorsi per cassazione, uno per mezzo del suo difensore avv. Gaetano Marino e l’altro personalmente.

6. Con il primo ricorso il ricorrente chiede l’annullamento della sentenza sulla base di nove motivi.

6.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) ed e), violazione degli artt. 491, 125 n. 3, art. 33 octies cod. proc. pen., erronea applicazione di norma processuale e manifesta illogicità della motivazione, con riguardo alla eccezione di incompetenza del Tribunale giudicante per essere competente il Tribunale in composizione monocratica ex art. 33 cod. proc. pen., atteso l’erroneo richiamo fatto dalla Corte d’appello all’art. 33 octies cod. proc. pen. relativo al giudizio di merito, mentre l’eccezione era stata formulata all’udienza svoltasi ai sensi dell’art. 491 cod. proc. pen., dopo la riunione dei due procedimenti.

6.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), violazione degli artt. 431, 432, 125 n. 3, art. 178, lett. c), artt. 546, 191 e 526 cod. proc. pen. per mancata applicazione di norma processuale, prevista a pena di nullità, in relazione alla nullità dell’ordinanza con la quale il giudice di primo grado si era riservato di provvedere sulla richiesta della difesa di espungere dal fascicolo del dibattimento atti che non dovevano esservi inseriti, senza poi dare risposta, e in relazione alla spiegazione generica e non attinente alla sollevata eccezione, data con la sentenza impugnata.

6.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), d) ed e), violazione degli artt. 493, 495, comma 2, art. 507, art. 125 cod. proc. pen. n. 3, per inosservanza di norme processuali e mancata assunzione di prova decisiva, in relazione alla nullità dell’ordinanza con la quale il Tribunale aveva rigettato le richieste istruttorie avanzate ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., volte all’acquisizione di documenti vari e all’espletamento di perizia calligrafica, e vizio di motivazione della sentenza d’appello per avere il giudice d’appello svolto una motivazione inadeguata sulle eccezioni formulate.

6.4. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) ed e), inosservanza di norme processuali, di cui agli artt. 191, 526, 210 e 125 n.3 cod. proc. pen., in relazione alla inutilizzabilità della testimonianza del teste D.M. per l’inattendibilità delle sue dichiarazioni e per inosservanza delle formalità previste dall’art. 210 cod. proc. pen., e vizio di motivazione della sentenza d’appello, perchè generica e apodittica, sussistendo la dedotta inutilizzabilità in virtù "della utilizzazione della testimonianza in violazione di legge". 6.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) ed e), violazione degli artt. 191, 526, art. 125 cod. proc. pen., n. 3 e art. 75 disp. att. cod. proc. pen., erronea applicazione di norma processuale in relazione alla inutilizzabilità della testimonianza del consulente grafico, nella parte in cui questi ha riferito che l’imputato, dopo la disponibilità espressa telefonicamente di sottoporsi a scrittura di comparazione, non si era presentato per tale adempimento, e vizio di motivazione della sentenza d’appello per non avere il giudice d’appello preso in considerazione tale doglianza.

Secondo il ricorrente, l’eccezione doveva essere accolta per non essere l’indagato obbligato, in sede di indagini preliminari, a sottoporsi all’esame comparativo di scrittura, e la stessa consulenza, espletata su incarico del Pubblico Ministero e condotta sulla base di fotocopie e di sigle, doveva essere ritenuta inutilizzabile, mentre andava disposta una perizia nel dibattimento, con eventuale accompagnamento coattivo di esso ricorrente in quella sede.

6.6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) ed e), violazione degli artt. 546, 125 n. 3, 191, 526 cod. proc. pen., per inosservanza di norme processuali e manifesta illogicità e comunque mancanza della motivazione, avuto riguardo alla utilizzazione delle acquisizioni dibattimentali limitata ai punti occorrenti per affermare la responsabilità penale, alla totale noncuranza delle testimonianze addotte dalla difesa, e alla estrapolazione di dati dall’elaborato della commissione di inchiesta e di quello grafico del consulente del Pubblico Ministero, nonostante la loro inutilizzabilità. 6.7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b) ed e), violazione dell’art. 476 cod. pen., art. 215 c.p.m.p., art. 125, n. 3, artt. 191, 526, 546, cod. proc. pen., per erronea applicazione della norma penale e manifesta illogicità della sentenza impugnata, con riguardo alla valutazione del materiale probatorio svolta in modo estremamente generico e senza approfondimento delle varie questioni sollevate dalla difesa.

In particolare, si deduce, con riguardo al reato di falso di cui al capo A), che, alla luce delle disposizioni del RAU – regolamento amministrativo unico -, i superiori gerarchici avevano il compito della verifica e del controllo di tutte le operazioni contabili effettuate nel Comando, e non doveva, pertanto, individuarsi la responsabilità del solo cassiere. Nè di tali disposizioni amministrative ha tenuto conto la Commissione d’inchiesta.

Ad avviso del ricorrente, neppure si è valutato il comportamento da esso tenuto, avendo egli chiesto più volte, a far data dal febbraio 1993, di essere trasferito, nè si è presa in esame la circostanza della mancanza dei dovuti passaggi di consegna in occasione delle sue assenze, con ratifica da parte sua dell’operato di coloro che avevano gestito ininterrottamente l’attività contabile del Battaglione.

Con riguardo al reato di falso contestato al capo B), le testimonianze, secondo il ricorrente, non sono state correttamente esaminate alla luce delle argomentazioni svolte con i motivi di appello, e riproposte con il ricorso, evidenzianti che esso ricorrente non aveva influito sul M. per la riscossione dell’assegno ed era rimasto, per tutti gli episodi, vittima delle condotte altrui, non approfondite in sede di merito.

6.8. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione degli artt. 61 n. 7, 133 e 476 cod. pen. per mancata applicazione della norma penale e mancanza e comunque manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’omesso esame della richiesta difensiva, svolta con i motivi di appello, di esclusione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 476 e art. 61 cod. pen., n. 7 e in relazione all’applicazione dell’art. 133 cod. pen., non effettuata "secondo legge ed evoluzione giurisprudenziale", integralmente richiamando l’ottavo motivo di appello.

6.9. Il nono motivo attiene alla denuncia, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. b), c) ed e), di erronea applicazione di norma processuale, mancata acquisizione di prova fondamentale per la decisione e mancanza di motivazione, per non essere stata presa in considerazione la necessità della richiesta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con l’espletamento di perizia grafica e con l’accoglimento delle richieste formulate con il nono motivo d’appello.

7. Con il ricorso proposto personalmente il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 601 e art. 178 cod. proc. pen., lett. c), in riferimento all’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità.

Il ricorrente, in particolare, deduce che tutte le notifiche sono state eseguite erroneamente e che, per tale ragione, non ha potuto partecipare al giudizio di appello, nel quale è stata erroneamente dichiarata la sua contumacia.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.

2. Deve innanzitutto rilevarsi, quanto alla erronea dichiarazione di contumacia del ricorrente nel giudizio di appello, dedotta con il ricorso per cassazione proposto personalmente dallo stesso ricorrente, che quando è dedotto, mediante ricorso per cassazione, un errar in procedendo, questa Corte è "giudice anche del fatto" e, per risolvere la relativa questione, può – e talora deve – accedere all’esame diretto dei relativi atti processuali (Sez. U, n, 42792 del 31/10/2001, dep. 28/11/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 4, n. 47891 del 28/09(2004, dep. 10/12/2004, Muro, Rv. 230568;, e, da ultimo, Sez. 1, n. 30558 del 15/07/2010, dep. 30/07/2010, Contino, non massimata).

2.1. Nel caso di specie, risulta dagli atti che la notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello, fatta ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen., è stata rinnovata più volte (per le udienze del 27 marzo 2008, del 19 novembre 2008, del 26 febbraio 2009, del 28 aprile 2009 e del 26 giugno 2009), o per difetto di prova della sua esecuzione, o per omesso ritiro della lettera raccomandata spedita ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen., comma 3, o per esecuzione della notifica fuori del termine di cui all’art. 601 cod. proc. pen..

Detta notifica è stata, infine, effettuata all’imputato per l’udienza del 13 novembre 2009, ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen., con deposito di copia in busta sigillata nella casa comunale di Latina, affissione dell’avviso alla porta della sua casa di abitazione e spedizione il 6 ottobre 2009,ella raccomandata con avviso di ricevimento, non ritirata dal destinatario e restituita per compiuta giacenza il 24 ottobre 2009.

La dichiarazione di contumacia dell’imputato in detta udienza è stata consequenziale al rilievo della regolarità e legittimità della procedura seguita per la notifica ed ha consentito il rinvio del processo, per assenza del relatore e senza ulteriore avviso all’imputato appellante, all’udienza del 20 gennaio 2010, nel corso della quale è stata emessa la sentenza nella contumacia dello stesso e alla presenza del difensore di fiducia, che non ha sollevato eccezione alcuna.

2.2. Le eccezioni di irregolarità delle notifiche delle citazioni, della "chiamata in causa" per l’udienza del 20 gennaio 2010 e della dichiarazione di contumacia non hanno, pertanto, alcun fondamento alla stregua delle indicate emergenze, che il ricorrente nè esamina, nè specificatamente contesta.

3. Il primo motivo del ricorso, presentato per mezzo dell’avv. Marino, attiene al dedotto omesso rilievo da parte del Giudice di appello della incompetenza del Tribunale in composizione collegiale, che si assume eccepita, ex art. 33 cod. proc. pen., in limine litis nel corso dell’udienza di cui all’art. 491 cod. proc. pen., dopo la riunione dei due procedimenti, l’uno per i reati di falso e l’altro per il peculato militare, e non nel giudizio di merito.

L’infondatezza della censura discende dal rilievo che la Corte di merito ha esattamente interpretato il disposto dell’art. 33 octies cod. proc. pen., che, nel prevedere, nel caso di inosservanza delle disposizioni sull’attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione collegiale o monocratica, che "il giudice di appello pronuncia tuttavia nel merito se ritiene che il reato appartiene alla cognizione del tribunale in composizione monocratica", non fissa, contrariamente a quanto dedotto, alcuna distinzione in rapporto al momento in cui l’eccezione è formulata.

Nella specie, pertanto, è coerente con detta regola la decisione della Corte d’appello che ha ritenuto che la dedotta inosservanza, riproposta con i motivi di impugnazione, delle disposizioni sull’attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale monocratico, in luogo di quello collegiale, non legittimava l’annullamento della sentenza di primo grado, e ha esaminato nel merito la proposta impugnazione (in tal senso, Sez. 6, n. 2416 del 08/10/2009, dep. 20/01/2010, Briatico e altri, Rv. 245805; Sez. 6, n. 7179 del 28/10/2003, dep. 19/02/2004, Natale, Rv. 228230).

4. Il secondo motivo dello stesso ricorso riguarda la dedotta illegittima acquisizione al processo di atti, che, secondo la difesa, dovevano essere espunti e restituiti al Pubblico Ministero e la contestata spiegazione data dalla Corte all’analoga eccezione formulata con l’atto di appello, che stata ritenuta non fondata, nel suo riferimento ad atti neppure specificati, sotto il profilo dell’ampia facoltà lasciata al Giudice dal codice di rito di acquisire i documenti ritenuti utili per la decisione.

La censura sviluppata con l’indicato motivo è del tutto generica, poichè il ricorrente, mentre persiste nella omessa specificazione degli atti che assume illegittimamente acquisiti, non chiarisce le ragioni e il fondamento della formulata eccezione, nè la rilevanza della medesima ai fini della decisione.

5. Il terzo motivo, nel denunciare la nullità della sentenza per la nullità dell’ordinanza con la quale il Tribunale ha respinto le richieste istruttorie avanzate dalla difesa e dirette all’acquisizione di documenti vari e all’espletamento della perizia grafica, ripercorre testualmente le censure svolte con il terzo motivo d’appello, che integra con la generica deduzione dell’omessa spiegazione da parte della Corte in merito alle svolte lamentele.

Tale integrazione non rende tuttavia la censura meno aspecifica, difettando il riferimento meditato alle ragioni della decisione impugnata che ha confermato il giudizio di completezza dell’indagine istruttoria e di superfluità dei chiesti atti istruttori, espresso dal primo Giudice.

6. La censura sviluppata con il quarto motivo attiene alla inutilizzabilità della testimonianza del teste D.M. per l’inattendibilità delle sue dichiarazioni e per inosservanza delle formalità previste dall’art. 210 cod. proc. pen..

Il motivo, generico nella parte in cui si limita ad affermare l’inattendibilità della testimonianza perchè resa da soggetto che ha condotto le prime indagini in favore della Procura Militare, è infondato nella parte in cui deduce che l’indicato teste, in quanto imputato di reato connesso, doveva essere sentito ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen. e che la motivazione della sentenza impugnata, sanando la questione della inutilizzabilità, ha illogicamente non considerato che "la inutilizzabilità sussiste proprio in virtù della utilizzazione della testimonianza in violazione di legge". 6.1. La Corte d’appello ha svolto due rilievi, avendo osservato che lo stato del teste quale soggetto imputato di reato connesso non era emerso in alcun modo.

Ha, quindi, aggiunto che, anche ove ciò fosse stato, le dichiarazioni dallo stesso rese non sarebbero state inutilizzabili per il fondamento della procedura di cui all’art. 210 cod. proc. pen., che, senza produrre effetto sulle medesime dichiarazioni, è posta a garanzia della persona escussa e del suo diritto di non rispondere.

A prescindere dalla fondatezza del secondo rilievo, il primo è corretto e assorbente e trova ulteriore conforto, in questa sede di legittimità, nella circostanza che non è stata offerta dal ricorrente alcuna documentazione a comprova della qualità di imputato in procedimento connesso del D.M., o della sussistenza di una iscrizione dello stesso nel registro degli indagati di cui all’art. 335 cod. proc. pen..

7. Il quinto motivo, nel dedurre l’inutilizzabilità della testimonianza del consulente grafico, nella parte in cui ha riferito in ordine al mancato rilascio di una scrittura di comparazione da parte dell’imputato, e della consulenza espletata su incarico del Pubblico Ministero e condotta su fotocopie e sigle, introduce insussistenti violazioni di norme processuali.

Presupponendo, infatti, la inutilizzabilità una prova "vietata" per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità la pone al di fuori del sistema processuale (tra le altre, Sez. 1, n. 2690 del 21/02/1997, dep. 19/03/1997, Mirino, Rv. 207271; Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, dep. 16/05/1996, Sala, Rv. 204644), non esiste alcuna ragione perchè l’indicata testimonianza debba essere inquadrata, unitamente all’elaborato tecnico, nell’ambito della patologia della prova e della dedotta categoria della inutilizzabilità, mentre la valutazione del rifiuto dell’imputato a sottoporsi alla scrittura di comparazione rientra nei poteri cognitivi del giudice di merito.

8. Il sesto e il settimo motivo, che, attenendo all’analisi delle acquisizioni dibattimentali e alla valutazione del materiale probatorio in particolare, che si assumono illegittime e illogiche, vanno esaminati congiuntamente, sono del tutto infondati.

8.1. La sentenza, infatti, con motivazione succinta, ma esente da evidenti incongruenze e da interne contraddizioni (saldata con la struttura motivazionale della decisione di primo grado per formare un unico complesso corpo argomentativo: Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, P.M., p.c., Musumeci e altri, Rv. 191229), ha analizzato le risultanze processuali e le dedotte ragioni di doglianza, coerentemente giustificando la ricostruzione dei dati oggettivi connotanti l’imputato "come un impiegato infedele e disonesto dell’Amministrazione militare", emersi dalle testimonianze acquisite dei testi D.M., M. e C., dai documenti acquisiti dal Tribunale e dalle deposizioni dei testi dipendenti della B.N.A., e logicamente rappresentando le ragioni dimostrative della responsabilità dello stesso in ordine ai reati contestatigli.

8.2. Il ricorrente, che, prospettando una contraddizione esterna della motivazione, assume che vi sarebbero testimonianze a suo favore non valutate, mentre indica genericamente tali atti processuali, ai quali questa Corte non ha accesso, non identifica neppure gli elementi fattuali o i dati probatori emergenti dai medesimi, nè le ragioni per cui essi sarebbero tali da compromettere la tenuta logica della motivazione e da essere incompatibili con l’operata ricostruzione dei fatti e della responsabilità (da ultimo, sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, dep. 22/12/2010, Damiano, Rv. 249035).

Nè hanno fondamento le doglianze attinenti all’omesso approfondimento da parte della Corte d’appello delle questioni di inutilizzabilità, sollevate dalla difesa, con riguardo al materiale probatorio rappresentato dall’elaborato della commissione di inchiesta e da quello grafico del consulente del Pubblico Ministero, poichè non solo, in generale, l’obbligo del Giudice di fornire una risposta alle questioni proposte trova un limite nella inammissibilità delle censure, ma, nel caso specifico, la generica affermata inutilizzabilita non è ancorata ad alcun elemento che consenta di valutare, in rapporto alla censura, la sua ammissibilità e la sua fondatezza.

8.3. Anche le doglianze che riguardano la logicità della motivazione della sentenza impugnata, rispetto al materiale probatorio acquisito, sono destituite di fondamento.

Gli argomenti svolti, nel ripercorrere il contenuto delle deduzioni svolte con l’atto di appello, si pongono, infatti, come censure sul significato e sulla interpretazione di alcuni degli elementi probatori utilizzati in sede di merito e come prospettazioni di dissenso di merito quanto alla valutazione del risultato probatorio.

Tali censure e prospettazioni, invadendo il campo della discrezionalità nelle valutazioni di merito delle risultanze probatorie, tendono a impegnare questa Corte in una inammissibile nuova lettura delle stesse e in una, del pari inammissibile, revisione, in un’ottica più favorevole alla tesi difensiva, delle valutazioni effettuate e delle conclusioni raggiunte dal Giudice di merito, al quale – a fronte del convincimento, espresso con la pronuncia conclusiva di condanna, supportato da una trama motivazionale idonea a rappresentare, in modo ragionevole e congruo rispetto al fine del provvedimento, le ragioni giuridicamente significative, di carattere necessariamente unitario e globale, della decisione adottata (da ultimo, Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010, Merja, Rv. 248698) – non può imputarsi, come si assume, di aver omesso l’esplicita confutazione d’ogni tesi non accolta o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio, non significativi o già implicitamente apprezzati come inconferenti.

9. Le censure svolte con l’ottavo motivo, in relazione all’omesso esame della richiesta difensiva di esclusione delle circostanze aggravanti di cui all’art. 476 e art. 61 cod. pen., n. 7, sono del tutto infondate.

9.1. La Corte ha, infatti, risposto alla censura svolta con l’ottavo motivo di appello e relativa all’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, con riferimento al reato di peculato militare, non solo rappresentando gli ammanchi nella gestione dell’Ufficio cassa e l’impossessamento dell’importo di lire duecentodiecimilioni attribuiti all’imputato, ma espressamente rilevando, nell’esaminare il trattamento sanzionatolo e la non riducibilità della pena, anche la gravità del danno cagionato all’Amministrazione militare dall’imputato con la condotta illecita tenuta.

9.2. Con riferimento ai reati di falso di cui all’art. 476 cod. pen. non risulta essere stata alcuna aggravante.

Il riferimento alla qualificazione del registro giornale del Battaglione quale atto pubblico, perchè destinato a documentare le operazioni contabili effettuate dal pubblico ufficiale, è stato, infatti, fatto dal Tribunale agli effetti della norma incriminatrice contestata (art. 476 cod. pen., comma 1), escludendosi che la nozione di atto pubblico dalla stessa contemplata corrisponda alla nozione fornita dall’art. 2699 cod. civ. e si esaurisca con la stessa, ed evidenziandosi che gli atti pubblici fidefacienti sono tutelati dall’art. 476 cod. pen., comma 2, che configura l’ipotesi più grave, non contestata all’imputato.

9.3. Del tutto generica è l’affermazione difensiva della eccessività della pena, fondata sul rilievo che l’art. 133 cod. pen. deve essere applicato "secondo legge ed evoluzione giurisprudenziale", poichè la Corte ha congruamente motivato le ragioni della quantificazione della pena, facendo riferimento alla gravità della condotta illecita tenuta dall’imputato, alla sua reiterazione nel tempo, all’entità del danno cagionato all’amministrazione militare e all’assenza di alcun segno di resipiscenza.

Il richiamo all’ottavo motivo di appello quanto al giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti generiche trascura di rilevare che di fatto l’applicazione delle dette circostanze è stata fatta dal giudice di primo grado con giudizio di prevalenza, confermato in sede di appello.

10. Infondato è, infine, il nono motivo che riguarda la chiesta rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con l’espletamento di perizia grafica e con l’accoglimento delle richieste formulate con il nono motivo d’appello.

La completezza e logicità del ragionamento probatorio seguito dai Giudici di merito giustificano, infatti, la decisione contraria alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, che costituisce nel giudizio di appello un istituto eccezionale subordinato alla condizione che il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti contro la presunzione di completezza dell’indagine istruttoria con le acquisizioni processuali (tra le altre, Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, dep. 25/06/2010, D. S. B., Rv. 247872; Sez. 5, n, 15320 del 10/12/2009, dep. 21/04/2010, Pacini, Rv. 246859; Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Messina e altro, Rv. 245009; Sez. 1, n. 19022 del 10/10/2002, dep. 22/04/2003, Di Gioia, Rv. 223985).

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto in modo inequivoco con giudizio coerente e logico, incensurabile in questa sede, che le prove acquisite erano tali da rendere il giudizio maturo per la decisione, e tale giudizio di completezza e concludenza degli elementi probatori disponibili è confortato da quanto già congruamente rappresentato in sede di merito e prima evidenziato.

11. Il ricorso deve essere, pertanto rigettato.

Al rigetto del ricorso segue per legge, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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