Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-11-2011) 25-11-2011, n. 43769 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza in data 16.05.2011 il Tribunale di Roma, costituito ex art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame proposta da N.F. avverso il provvedimento 21.04.2011 (eseguito il 03.05.2011) del Gip dello stesso Tribunale con il quale era disposta nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere per il reato associativo D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 e per cinque reati fine D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73.

Trattasi di una vasta indagine su traffico di stupefacenti nella zona sud-est di Roma per il periodo successivo al 2008. L’associazione in questione faceva capo a M.G. coadiuvato in posizione preminente dal N. e da A.P., ed era articolata sulla partecipazione di molti soggetti in varia misura operativi nel narcotraffico. Riteneva dunque il Tribunale che sussistessero gravi indizi di colpevolezza a carico del N. in ordine a tutti i reati a lui ascritti.

Quanto al reato associativo finalizzato, emergevano sicuri elementi di alto valore sintomatico: – frequentazione quotidiana tra gli associati; – punti di ritrovo precostituiti; – fitta rete dei collaboratori nello spaccio; – vari luoghi per il deposito e la lavorazione; – strumentazione necessaria; – utilizzo di codici criptati di comunicazione; – utilizzo di varie utenze telefoniche; – meccanismi di solidarietà e di aiuto tra gli associati. Vi erano stati poi attentati e spedizioni punitive armate per difendere il gruppo ed il suo predominio nella zona di operatività. Rilevante, quindi – riteneva sempre il Tribunale – il contributo del collaboratore S.M. che aveva disvelato la mappa dei protagonisti con ruoli e modalità, elementi tutti puntualmente riscontrati. Vi erano infine i servizi di osservazione e gli interventi mirati, esitati in sequestri ed arresti di corrieri e depositali.- Ciò posto la partecipazione del N. a detta associazione era desumibile in modo certo dal complesso dei risultati captativi e dai servizio di osservazione che tutti confermavano la sua vasta attività specifica, così come la partecipazione ai singoli episodi contestati ex art. 73.

Quanto a questi ultimi (capi 3, 18, 19, 20 e 21 dell’incolpazione provvisoria) le intercettazioni e le osservazioni avevano dimostrato la partecipazione diretta del N. a vari episodi di movimentazione di hashish e cocaina in dichiarata associazione da un lato con il M. e con i singoli operatori dall’altro.

Le esigenze cautelari, comunque presidiate – quanto al reato associativo – dalla presunzione ex lege di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, erano radicate nella pericolosità dell’indagato e nel rischio di recidiva specifica.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto indagato che motivava l’impugnazione deducendo: a) egli, già arrestato nel Dicembre del 2009 per il possesso di 27 gr. di cocaina, era stato seguito e controllato per lungo tempo, senza mai essere stato trovato in posizione illecita; b) le eseguite intercettazioni davano risultati insignificanti per l’ambiguo senso delle frasi e per le molte incomprensioni; c) le esigenze cautelari erano state affermate apoditticamente, senza reali riferimenti alle specifiche condotte che potessero far fondatamente presumere pericolo di specifica recidiva.

3. Il ricorso, manifestamente infondato, deve essere dichiarato inammissibile con ogni dovuta conseguenza di legge.

Ed invero il provvedimento impugnato si fonda sua una serie di risultati delle indagini (a ragione definiti di imponenza quantitativa e qualitativa) di sicura rilevanza a carico dell’indagato. Si tratta di elementi convergenti (captazioni telefoniche, osservazioni, sequestri, arresti, dichiarazioni, ecc.) che hanno consentito di delineare in modo nitido l’organigramma dell’associazione illecita, i suoi traffici, e – per quello che qui interessa – la posizione del N. (uno dei più stretti collaboratori del M., capo indiscusso del gruppo criminoso).

E’, dunque, del tutto infondato il primo motivo del ricorso dell’indagato che deduce, peraltro in modo apodittico, di essere stato seguito per lungo tempo senza mai essere stato colto in posizione illecita. Di contro, egli è stato monitorato a mezzo intercettazioni con i più che significativi risultati ben illustrati nell’ordinanza del Tribunale (cui comunque si rimanda). Neppure può dirsi, peraltro, che i risultati delle intercettazioni siano – come erroneamente sostiene il ricorrente nel suo secondo motivo-equivoci o insufficienti, atteso che, di contro, si tratta di conversazioni in chiaro, sia per le persone nominate con i loro nomi o soprannomi ((OMISSIS), ecc), sia per la materia trattata ("erba", "cocaina"), sia per i quantitativi ("2,5 Kg.", "20 kg.", "80 gr.", ecc), sia per le cifre (somme di denaro), i luoghi di appuntamento o di deposito ("là dentro il box"). Si tratta di risultati captativi che, anche uniti alle altre ben robuste emergenze sopra indicate, rendono inattaccabile l’impugnata ordinanza, ben adeguatamente motivata, e, per converso, del tutto infondato il ricorso sui profili della sufficienza indiziaria, sia in punto reato associativo che in ordine ai singoli reati fine, su ognuno dei quali sussistono indiscutibili clementi di attiva partecipazione del N..

Anche in ordine alle esigenze cautelari il ricorso è del tutto infondato. La difesa non si confronta con il vincolante disposto dell’art. 275 c.p.p., comma 3 (quanto al reato associativo) e con la corretta motivazione dell’impugnato provvedimento in punto pericolo di recidiva connesso alla dinamica di un struttura associativa nonchè in relazione agli elementi specifici di pericolosità personale a carico dell’odierno ricorrente. Anche sul punto, dunque, il ricorso mostra la sua totale infondatezza.

In definitiva il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile ex art. 591 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3.

Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).- Deve seguire altresì la comunicazione prevista dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

A scioglimento della riserva formulata all’udienza del 3 Novembre 2011, così provvede: dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente N.F. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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