Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-06-2012, n. 9471 Reintegrazione o spoglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso in data 30 aprile 2003 i coniugi V.E. e D.C. proponevano ricorso dinanzi al Tribunale di Lucca perchè quest’ultimo ordinasse a Di.Gi. e a P.M. la reintegrazione nel possesso di una servitù di passo carrabile (che consentiva l’accesso all’ingresso secondario dell’abitazione di loro proprietà) di cui assumevano essere stati spogliati. Nella costituzione dei resistenti e dopo l’espletamento di una fase istruttoria, il giudice adito, con provvedimento in data 15 settembre 2003 (al quale riconosceva che si sarebbe dovuto attribuire natura sostanziale di sentenza) rigettava la domanda possessoria e dichiarava compensate tra le parti le spese del procedimento.

Dichiarato inammissibile il reclamo formulato ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. sul presupposto del conferimento del carattere di sentenza al provvedimento impugnato, i predetti coniugi ricorrenti in prima istanza proponevano appello avverso il suddetto provvedimento decisorio del Tribunale di Lucca notificandolo il 19 gennaio 2004 impersonalmente agli eredi di Di.Gi. e ad A. V., nonchè il 21 gennaio 2004 al difensore costituito del "de cuius". Nella costituzione dell’ A., la Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 57 del 2006 (depositata il 18 gennaio 2006), dichiarava, in via pregiudiziale, l’ammissibilità dell’appello stante la natura di sentenza del provvedimento impugnato, il cui termine si sarebbe dovuto considerare decorrente dalla sua notificazione e non dalla comunicazione del suo avvenuto deposito a cura della cancelleria; nel merito, ravvisava la fondatezza del gravame alla luce della valutazione degli esiti della complessiva istruttoria esperita, pervenendo, pertanto, all’accoglimento della domanda possessoria avanzata dai coniugi V. – D., con condanna dell’appellata alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la A.V. basato su quattro motivi, in relazione al quale si sono costituiti in questa sede entrambi gli intimati con apposito controricorso. Il difensore della ricorrente ha depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione ed errata applicazione degli artt. 325 e 326 c.p.c., nonchè degli artt. 133, 176, 280 e 285 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), prospettando l’inammissibilità dell’appello e la conseguente carenza di potere giurisdizionale del giudice di secondo grado e, quindi, la nullità del procedimento e della sentenza.

2. Con il secondo motivo la A. ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 331 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), con riferimento alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di P. M., non citata in appello dai coniugi V. – D..

3. Con la terza doglianza la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 354 c.p.c. (in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4), ritenendo che a Corte di appello di Firenze aveva omesso di ravvisare che, nel giudizio di primo grado, sarebbe stato necessario integrare il contraddittorio anche nei confronti della Parrocchia di (OMISSIS), indicata quale proprietaria "dello stradello e del resede" su cui insisteva la sbarra apposta dal Di..

4. Con il quarto motivo la ricorrente ha prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1144 e 1168 c.c. nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di fondatezza della domanda possessoria (il tutto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

5. Rileva il collegio che il primo motivo (il quale riveste indubbio carattere pregiudiziale rispetto agli altri) è fondato e deve, perciò, essere accolto con l’adozione dei conseguenti provvedimenti che saranno in seguito specificati.

Con questa censura la ricorrente ha dedotto che, nel caso di specie, essendo pacifica la natura decisoria dell’ordinanza conclusiva del procedimento possessorio intentato dinanzi al Tribunale di Lucca-sez. dist. Di Viareggio del 15 settembre 2003, lo stesso provvedimento, dotato della qualità e dell’efficacia della sentenza, avrebbe dovuto essere impugnato con il mezzo dell’appello da proporsi nel termine per esso previsto, ovvero in quello breve di trenta giorni decorrente, nell’ipotesi in esame, dalla data di notificazione del reclamo poi dichiarato inammissibile proprio sul presupposto della natura di sentenza del provvedimento reclamato (e, quindi, della sua appellabilità), evento che denotava la piena conoscenza del provvedimento medesimo da parte di V.E. e D. C., come tale equivalente a quello della sua notificazione ed idoneo a determinare la decorrenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c. ai sensi del successivo art. 326. Pertanto, poichè l’ordinanza decisoria era stata comunicata i 29 settembre 2003 e il relativo reclamo era stato notificato i successivo 16 ottobre 2003, da quest’ultima data la Corte di appello di Firenze avrebbe dovuto far decorrere il termine breve per la formulazione dell’appello avverso il medesimo provvedimento avente natura di sentenza, nel mentre il gravame era risultato notificato il 19 gennaio 2004 e, quindi, ampiamente oltre la scadenza del predetto termine.

Ciò posto, si osserva che nella sentenza impugnata la Corte territoriale ha respinto la doglianza dell’appellata (avanzata nei termini precedentemente indicati) sul presupposto che, in ogni caso, ai fini del decorso del termine breve per la proposizione dell’appello occorreva – pur essendo incontestata la natura decisoria dell’ordinanza emanata all’esito del procedimento possessorio – che quest’ultima venisse notificata ad opera della parte nei modi previsti dall’art. 285 c.p.c., modalità non surrogabile con altra evenienza processuale dalla quale si sarebbe potuta desumere la piena conoscenza dell’ordinanza decisoria stessa e, come tale, idonea a far decorrere il termine breve per la formulazione dell’appello.

Decidendo in tal senso, tuttavia, la Corte toscana non ha preso in considerazione l’orientamento – ormai pressochè consolidato – della giurisprudenza di questa Corte (adeguatamente richiamato con la prospettazione del motivo in esame) fondata sul principio della equipollenza tra la notificazione della sentenza e la notificazione dell’impugnazione ai fini della decorrenza del termine stabilito dall’ari. 325 c.p.c.. Secondo tale indirizzo (cfr. Cass. n. 9393 del 1993; Cass. n. 15797 del 2003 e, tra le più recenti, Cass. S.U. n. 13431 del 2006; Cass. n. 2055 del 2010) la notificazione dell’impugnazione, ancorchè quest’ultima sia inammissibile od improcedibile, equivale – sul piano della "conoscenza legale" da parte dell’impugnante – alla notificazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che, ove il soccombente in primo grado proponga, avverso la relativa sentenza non notificata, una prima impugnazione e, successivamente, ritenendo la medesima sentenza impugnabile con altro rimedio, la seconda impugnazione mediante il diverso mezzo di gravame può essere ritenuta ammissibile e tempestiva a condizione che sia proposta entro il termine breve decorrente dalla notificazione dell’originario atto di impugnazione.

Del resto questa Corte (v. Cass. n. 16207 del 2007) ha anche rilevato che il suddetto principio generale secondo cui la notificazione dell’impugnazione (e non altro evento processuale dal quale si possa pervenire alla conoscenza della sentenza oggetto di impugnazione: v.

la citata S.U. n. 13431 del 2006) equivale, agli effetti della scienza legale, alla notificazione della sentenza va ricavato anche dalla disposizione di cui all’art. 326 c.p.c., comma 2 (che recita:

"nel caso previsto dall’art. 332, l’impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente il termine per proporla contro le altre parti"); infatti, se si dovesse ritenere che la notificazione dell’impugnazione inammissibile non fa decorrere il termine per proporla, si creerebbe una disparità di trattamento, sulla base degli artt. 333, 343 e 371 c.p.c., tra la parte cui l’impugnazione è notificata, che deve impugnare in via incidentale nel termine di cui ai detti articoli, e la parte che ha notificato l’impugnazione inammissibile, che in tal modo avrebbe a disposizione per rinnovarla il termine lungo. Infine, si è anche aggiunto che i principi costituzionali stabiliti dal nuovo testo dell’art. 111 Cost., comma 2, ai fini del giusto processo di durata ragionevole escludono la legittimità di soluzioni interpretative che comportino il ritardo nella definizione della controversia. Alla stregua di tale orientamento (al quale si aderisce), dunque, avendo V.E. e D.C. proposto, malgrado la incontroversa natura decisoria dell’ordinanza adottata al termine del procedimento possessorio (e la sua conseguente appellabilità: cfr. Cass., S.U., n. 24071 del 2004; Cass. n. 17098 del 2006 e Cass., S.U., n. 23305 del 2006), reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. (poi dichiarato inammissibile proprio per effetto della ritenuta appellabilità della decisione che ne formava oggetto), notificandolo alla controparte il 16 ottobre 2003, avrebbero dovuto considerare quest’ultimo momento come il "dies a quo" per la decorrenza del termine breve per la proposizione tempestiva dell’appello, rimasto, invece, inosservato poichè il gravame successivo risulta essere stato notificato il 19 gennaio 2004, e, quindi, oltre la maturazione del termine decadenziale previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 1. A tal riguardo non appare rilevante la circostanza che il primo rimedio formulato non si identificava con uno dei mezzi propri di impugnazione ordinaria, poichè – anche sotto questo profilo – la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. n. 10177 del 1994 e Cass. n. 20547 del 2004) ha chiarito che il principio secondo cui la notificazione dell’impugnazione, ancorchè quest’ultima sia inammissibile o improcedibile, equivale, sul piano della "conoscenza legale" da parte dell’impugnante, alla notificazione della sentenza impugnata, si applica anche nell’ipotesi in cui la dichiarazione d’inammissibilità o d’improcedibilità non precluda la proponibilità di un diverso rimedio, il quale, pertanto, deve essere notificato nel termine "breve" decorrente dalla proposizione dell’impugnazione originaria. In altri termini, occorre precisare che, indipendentemente dalla notificazione della sentenza, ove avverso di essa sia già stato formulato un diverso tipo di impugnazione (e non può disconoscersi che al reclamo non sia, a questi fini, riconoscibile tale carattere, tanto è vero che, nel regime precedente in cui veniva proposto dinanzi al Tribunale avverso i provvedimenti pretorili, si riteneva che potesse essere anche convertito in appello qualora ne ricorrevano i presupposti: cfr.

Cass. n. 8838 del 1998 e Cass. n. 11007 del 2002), il termine breve per la proposizione della seconda impugnazione decorre dalla notificazione della prima, proprio in virtù della stessa "ratio" del principio più generate poc’anzi richiamato secondo il quale la notificazione di un rimedio impugnatorio implica la piena "conoscenza legale" del provvedimento impugnato.

6. In definitiva, alla stregua del principio di diritto da ultimo evidenziato ed essendo risultato, nella specie, proposto tardivamente il secondo rimedio impugnatorio dell’appello, deve trovare accoglimento il primo motivo del ricorso (con conseguente pacifico assorbimento degli altri), poichè la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’appello proposto dagli odierni controricorrenti. Alla declaratoria di inammissibilità dell’appello può procedersi direttamente in questa sede ai sensi dell’art. 382 c.p.c., comma 3, (configurandosi l’ipotesi in cui il giudizio di secondo grado non poteva essere proseguito), con la derivante cassazione senza rinvio della sentenza oggetto di ricorso (cfr. Cass. n. 10208 del 2002; Cass. n. 24047 del 2009 e Cass. n. 15405 del 2010).

In dipendenza di tale pronuncia occorre provvedere (ex art. 385 c.p.c., comma 2) alla regolamentazione delle spese dei giudizi di primo e secondo grado oltre che di quelle del presente giudizio: al riguardo, il collegio rileva che sussistono giusti e congrui motivi riconducibili alla peculiare natura della questione processuale affrontata (la cui soluzione è, peraltro, controversa in dottrina) e alla natura della causa (in ordine alla quale erano stati, oltretutto, raggiunti esiti opposti nei gradi di merito) per dichiararle interamente compensate tra le parti con riferimento sia ai gradi di merito (e nel primo era già intervenuta una tale pronuncia poi riformata in appello a seguito dell’accoglimento del gravame, che, invece, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile) che al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo sull’appello proposto nell’interesse di V.E. e D. C., lo dichiara inammissibile. Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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