Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-06-2012, n. 9470

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di propria sentenza non definitiva con cui erano state risolte alcune delle questioni proposte circa le domande avanzate da C.G. in proprio e nella qualità, la Corte molisana provvedeva ad assumere il giuramento suppletorio disposto con sentenza non definitiva, al cui esito,in data 13.2/16.3.2007, ha emesso la sentenza definitiva, con cui ha compiutamente provveduto sulla domanda riconvenzionale originariamente proposta da Fi. e Ca.Ma., formulazione ed alla prestazione del deferito giuramento suppletorio ed ha ritenuto la corte distrettuale inammissibili e comunque infondate le censure rivolte alla pertanto sulla base delle risultanze dello stesso, ritenuta raggiunta la prova dell’intervenuta usucapione a favore di Fi. e Ca.Ma., compensando le spese.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.G. in proprio e nella qualità, sulla base di sei motivi; resistono le controparti con controricorso.

Motivi della decisione

Non sussistono i presupposti per l’accoglimento della istanza di riunione del presente ricorso a quelli (principale ed incidentale) proposti avverso la sentenza non definitiva tra le stesse parti, trattandosi di decisioni diverse.

Va preliminarmente esaminata la eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata in udienza dal P.G., il quale ha sostenuto che il ricorso stesso non sarebbe conforme ai canoni previsti dall’art. 366 c.p.c., atteso che lo stesso si presenta in modo assolutamente singolare.

Deve infatti rilevare la Corte che il ricorrente, esaurita la esposizione dei sei motivi in cui il ricorso si articola, ha spillato al ricorso stesso le fotocopie di una non ordinata e comunque non classificata (e corposa) serie di atti processuali, cui segue la procura, anch’essa contenuta in atto spillato.

La produzione dei documenti cui si fa riferimento in ricorso può essere ammissibile, ma certo non nel modo in cui la stessa è stata effettuata nella specie. La costante giurisprudenza di questa Corte infatti è consolidata (v. Cass. Nn. 5153 e 4479 del 2012; 6023 del 2009 e molte altre) nel senso in cui ove si denuncino vizi di valutazione di elementi probatori legati a documenti, gli stessi devono essere non solo prodotti, anche nella loro integrità, se necessario, ma deve essere altresì specificamente indicati i punti ritenuti decisivi a sostegno delle tesi sostenute al riguardo, in quanto in caso contrario, la doglianza si risolverebbe in un inammissibile richiesta del riesame del contenuto della documentazione e di reperimento di fatti decisivi in ordine a cui la sentenza risulterebbe lacunosa.

Devesi aggiungere che risulta altresì pienamente fondata la osservazione da cui il P.G. ha fatto discendere il rilievo di non conformità ai canoni legali del presente ricorso, atteso che la spillatura di un (corposo) apparato documentale, non nel corso del ricorso stesso, in relazione ai singoli motivi in cui è articolato, ma alla fine di esso, comporta che la lettura dell’atto risulti insufficiente a valutare le ragioni di illegittimità che in esso vengono denunciate, e quindi imporrebbe al giudice di legittimità di compiere una opera selettiva e di aggregazione dei singoli documenti alle doglianze svolte, sì da imporre una vera e propria ricostruzione del pensiero sottostante alle critiche contenute in ricorso, secondo una valutazione che risulterebbe infine del giudice e non già della parte, quanto meno nell’identificazione e nell’abbinamento dei singoli documenti alla doglianze svolte.

Ritiene questo Collegio assolutamente difforme dai canoni legali cui deve uniformarsi il ricorso per cassazione questa singolare maniera di articolare tale atto (cfr. in tal senso specifico SS. UU. 11.4.2012, n 5698; Cass. 16.3.2011), anche perchè in tal guisa si potrebbe ipotizzare l’aggiramento della norma di cui all’art. 372 c.p.c. quanto alla produzione di documenti in sede di legittimità.

L’eccezione deve essere pertanto accolta, senza necessità di scendere all’esame dei singoli motivi, atteso che l’inammissibilità va riferita all’atto nel suo complesso, in ragione delle conformazione stessa di esso quale descritta.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *