Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-06-2012, n. 9467 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con contratto del 14.10.97 C.O., titolare di una officina meccanica in (OMISSIS), ordinò alla società SIPAV s.p.a un ponte sollevatore per autoveicoli, che, a seguito della consegna effettuata direttamente dalla società costruttrice OMER s.p.a., venne poi installato in data 6.12.97 dal tecnico B.M., artigiano specializzato a tal fine incaricato dalla venditrice.

A seguito di un sinistro occorso il successivo 11 dicembre, nel corso del quale per una improvvisa inclinazione del ponte il C. aveva riportato gravi lesioni, quest’ultimo instaurò due giudizi, poi riuniti dal Tribunale di Sondrio: il primo dei quali (con citazione del 1.9.98), per la risoluzione del contratto e conseguenti statuizioni restitutorie e risarcitorie, nei confronti della venditrice società SIPAV, che resisteva, formulava domanda riconvenzionale di pagamento del saldo del prezzo e chiamava in causa il B. e la società OMER, che a sua volta chiamava in causa il predetto, nonchè, quale assunta assicuratrice, la società Zurigo Assicurazioni s.p.a.; il secondo (con citazione del 21.6.99) nei confronti delle società SIPAV e OMER, nonchè del B., per il risarcimento dei danni da lesioni, giudizio quest’ultimo nel quale veniva poi dalla seconda società chiamata in causa l’effettiva garante assicuratrice, Zurich International s.p.a., avendo la Zurigo s.p.a. eccepito la propria estraneità al relativo rapporto.

Contestate dalle varie parti convenute e chiamate, per quanto di rispettivo interesse, le rispettive domande, dopo la riunione dei due giudizi, venivano espletate prove orali, consulenza tecnica di ufficio ed acquisita copia della sentenza in data 11.10.01 del Tribunale Penale di Sondrio, con la quale il B. era stato assolto dal delitto di lesioni colpose in danno del C..

Con sentenza del 18/3-2/4/04, l’adito Tribunale rigettò le domande del C., condannandolo al pagamento del residuo prezzo del macchinario in favore della SIPAV ed al rimborso delle spese del giudizio a ciascuna delle controparti.

A seguito dell’appello del soccombente, resistito da tutte le parti appellatela Corte di Milano, con sentenza del 23.12.08-23.7.09, rigettava il gravame e condannava l’appellante al rimborso delle spese del grado in favore di ciascuna della controparti. L’integrale conferma della decisione di primo grado veniva motivata da una serie di considerazioni che, in estrema sintesi, possono così riassumersi:

a) pregiudizialità, ai sensi degli artt. 652 e 654 c.p., del giudicato penale formatosi nel processo a carico del B., in quanto assolutorio con la formula "perchè il fatto non sussiste"; b) utilizzabilità delle risultanze del suddetto processo anche ai fini della decisione della controversia civile nei rapporti con le altre parti, trattandosi di elementi indiziari, caratterizzati da "convergenza globale" e "pregnanza conclusiva", ai fini della ricostruzione dello svolgimento dei fatti, nei termini di seguito indicati; c) ascrivibilità esclusiva, sulla base degli elementi rinvenienti dal processo penale e di una complessiva valutazione di quelli emersi dalle prove orali (in particolare una testimonianza de relato di tale M.) e documentali (in particolare da un appunto datato 6.12.97, in occasione dell’intervento del B., controfirmato dallo stesso C.) acquisite in sede civile, dell’incidente a colpa esclusiva dell’attore, il quale, benchè messo a conoscenza della provvisorietà del montaggio del macchinario, ancora necessitante di alcuni elementi, e della necessità di un secondo intervento per la definitiva messa in opera, aveva imprudentemente ritenuto di metterlo in funzione pur essendo lo stesso non ancora idoneo all’uso; d) conseguente esclusione, pertanto, del diritto alla garanzia per i vizi della cosa venduta e di quella ex art. 1512 c.c. per il buon funzionamento della cosa, obbligazione che sarebbe sorta soltanto dopo il completamento delle prestazioni preparatorie a tanto finalizzate, in effetti solo successivamente compiute e verbalizzate con il collaudo avvenuto il 15.12.97; e) genericità delle censure rivolte contro le conclusioni del consulente tecnico, peraltro non indispensabili (in considerazione della sufficienza degli altri elementi conclamanti l’esclusiva responsabilità dell’attore) ai fini della decisione, che aveva riferito di non aver rilevato anomalie nel macchinario ed escluso guasti di tipo meccanico o cedimento repentino nel sistema di sollevamento; f) scarsa significatività delle deposizioni di alcuni testi che avrebbero, nell’ago sto del 1998, constatato de visu lo "sbilanciamento " del ponte elevatore, che pure era stato utilizzato fino a quell’epoca dal C., così come lo sarebbe stato successivamente per cinque anni, fino alla verifica compiuta dal c.t.u., che non aveva rilevato inconvenienti di sorta; g) inattendibilità, evidenziata dal primo giudice con argomentazione non censurata dall’appellante, delle deposizioni rese dai due assunti testi oculari addotti dall’attore, in quanto contrastate dalle risultanze ispettive dell’A.S.L., riferenti della dichiarata assenza di testimoni all’incidente.

La parte finale della motivazione della sentenza veniva, infine, dedicata alla reiezione delle censure relative al regolamento delle spese, ribadendo si in particolare, la non sussistenza di particolari ragioni comportanti la compensazione, i principi di soccombenza e causalità, quanto al rimborso di quelle in favore delle chiamate in causa, rilevando infine, quanto alle doglianze di eccessività, la genericità delle censure e, comunque, la loro infondatezza, sulla base di analitica verifica delle relative liquidazioni.

Avverso la suddetta sentenza C.O. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quindici motivi.

Hanno resistito con rispettivi controricorsi la SIPAV s.p.a., la OMER s.p.a. e la Milano Assicurazioni s.p.a..

Non hanno svolto attività difensiva gli altri due intimati, B.M. e la Zurich International Italia s.p.a..

MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 652 e 654 c.p.c. e dell’art. 1306 c.p.c., censurandosi la ritenuta utilizzazione, con effetti vincolanti, ai fini dell’accertamento dei fatti, della sentenza penale di assoluzione del B..

Si evidenzia al riguardo che il C. non aveva esercitato la facoltà di costituirsi parte civile, trasferendo la propria domanda risarcitoria in sede penale, avendo preferito persistere nella propria azione precedentemente intrapresa in sede civile, per cui il giudicato assolutorio non avrebbe potuto essergli opposto, per di più essendo stato anch’egli, a sua volta imputato dei reati di cui al D.P.R. n. 577 del 1955, art. 374, comma 2, art. 389, lett. b) assolto dagli stessi.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 c.p.c., art. 1306 c.c., artt. 652 e 654 c.p.p., censurandosi la ritenuta applicabilità del suddetto giudicato penale anche nei confronti delle altre parti, cui a fortiori, in considerazione della mancanza della necessaria condizione dell’identità soggettiva tra le parti del processo penale e di quello civile, detta sentenza non sarebbe stata opponibile.

I motivi, che per la stretta connessione vanno congiuntamente esaminati, pur muovendo dalla corretta affermazione di principio, confortata da costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui il danneggiato da reato, quand’anche posto in condizioni di costituirsi parte civile nel processo penale, mediante la notifica dei prescritti avvisi, ove non lo abbia fatto, agendo in sede civile tempestivamente (fino alla conclusione del processo penale) non incorre nella sospensione del relativo giudiziose subisce gli effetti dell’eventuale giudicato penale assolutorio (v., tra le altre, Cass. nn. 13544/06, 14074/05, 1654/05, 1218/05, 775/04, 6373/97), non meritano accoglimento, tenuto conto dell’irrilevanza, in concreto, dell’evidenziato errore in cui è incorsa la corte di merito.

La decisione impugnata, infatti, non poggia esclusivamente sul ritenuto effetto vincolante, peraltro ravvisato soltanto con riferimento al B., del giudicato penale, ma si basa anche, e soprattutto, sulle risultanze del relativo processo che, unitamente a quelle acquisite in sede civile, sono state oggetto della libera valutazione da parte di giudici merito, concorrendo quali prove "atipiche", ammissibilmente acquisite ed incensurabilmente apprezzate (v. tra le tante Cass. nn. 6478/05, 22020/07, 5009/09, 27494/09) alla formazione del relativo convincimento (che può essere anche fondato sul contenuto della sola sentenza, ove ritenuto sufficiente: v. Cass. n. 22200/10) nell’ambito di una valutazione globale della vicenda comprensiva delle posizioni sia del suddetto, sia delle altre parti convenute. Tale operazione di "recupero" istruttorio in virtù della quale l’erronea argomentazione di cui sub a) in narrativa risulta non decisiva, comporta, dunque il difetto d’interesse della censura contenuta nel primo motivo, risultando la decisione impugnata comunque sorretta dall’altra ed ampiamente motivata ratio decidendi, che si basa sull’utilizzazione del suddetto materiale probatorio, nonchè l’infondatezza del secondo mezzo, evidenziandosi altresì irrilevante la mancata coincidenza soggettiva tra le parti del processo penale e quelle del civile, atteso che, con riferimento a quelle diverse dal C. e dal B., i giudici di merito non hanno ritenuto, estendendolo; ex officio anche alle stesseva ravvisata pregiudizialità del giudicato assolutorio, ma soltanto utilizzato quali elementi di prova le risultanze del relativo processo.

Con il terzo motivo vengono dedotte violazione e falsa applicazione degli artt. 1476, 1477, 1490, 1491, 1218 e 1453 c.c., censurandosi in particolare la valutazione del documento di "assistenza tecnica" redatto dal B. e sottoscritto dal C., contestandone peraltro la natura "confessoria", ai fini dell’esclusione della garanzia per vizi del macchinario venduto, assumendo che la condotta imprudente ascritta al secondo non avrebbe potuto esimere la venditrice e la produttrice dalla responsabilità contrattuale, incombendo alle medesime offrire la prova liberatoria, che quest’ultima non sarebbe stata fornita, mentre, per converso, le testimonianze addotte dall’attore avrebbero confermato il malfunzionamento. Il motivo è inammissibile, poichè, pur denunziando violazione di norme di diritto, si risolve in realtà nella proposizione di palesi censure in fatto, peraltro non evidenzianti omissioni o illogicità della motivazione, avverso gli accertamenti di fatto con cui i giudici di merito hanno posto a base dell’esclusione della garanzia un documento, sottoscritto anche dall’attore, nel contesto di una vicenda in cui , non essendosi ancora perfezionata la consegna della cosa venduta, oggetto di montaggio provvisorio ed ancora necessitante di alcuni elementi, il compratore aveva di sua imprudente iniziativa e disattendendo l’avvertimento dell’incaricato della venditrice, messo in uso lo stesso.

La sottoscrizione senza riserve da parte del C. del documento, nel quale si ravvisava la necessità dell’ulteriore intervento reso necessario dalla mancanza di alcuni elementi, è stata incensurabilmente valutata quale confessione stragiudiziale in relazione alla circostanza, nello stesso evidenziata e rilevante ai fini della esclusione della garanzia, che il compratore fosse stato reso edotto dello stato di non completo montaggio e di conseguente non immediata utilizzabilità del macchinario.

A tale dichiarazione, in quanto resa al B., parte nel presente giudizio, correttamente è stata ascrittaci sensi dell’art. 2735 c.c., comma 1, prima parte, efficacia probatoria, in relazione al fatto sfavorevole ammesso, pari a quella resa in giudizio, mentre, nei rapporti tra l’attore e le altre parti, in quanto resa ad un terzo, la stessa ben avrebbe potuto essere, ai sensi della seconda parte del citato comma, liberamente valutata dal giudice di merito, come lo è stato nella specie con apprezzamento adeguatamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.

Dell’inammissibilità del motivo costituisce, del resto, conferma l’inadeguato quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., nel quale si chiede a questa Corte di pronunziarsi sulla corretta applicazione delle citate disposizioni civilistiche, in tema di garanzia e inadempimento contrattuale, dando tuttavia per scontate dell’assertiva premessa, circostanze controverse (e peraltro accertate, dai giudici di merito, in termini opposti a quanto si sostiene), secondo cui vi sarebbe stata una definitiva installazione e consegna del macchinario, cui avrebbe fatto seguito il malfunzionamento dello stesso.

Con il quarto motivo si deduce carenza e contraddittorietà di motivazione su fatti decisivi, costituiti dalla mancanza di alcuna previsione contrattuale relativa al collaudo, dalla circostanza che il ponte elevatore fosse montato e collegato alla fonte energetica dell’acquirente dal B., il quale avrebbe dato, al pari della venditrice, ogni assicurazione circa il buon funzionamento, come confermato da due testi, escludendo ogni onere di successiva verifica, dall’archiviazione della denuncia penale a carico di tali testi, dalla dichiarazione confessoria del B. circa resistenza di problemi del lift table e dalle dichiarazioni rese da altri testi, con riscontri fotografici, circa episodi di malfunzionamento verificatisi successivamente a quello del dicembre 1997.

Il motivo va disatteso, risolvendosi nella formulazione di una serie di censure in fatto, che sena evidenziare effettive lacune o illogicità testuali dell’apparato argomentativo della decisione impugnata, propongono una rivisitazione nella presente sede delle risultanze istruttorie, la cui valutazione da parte della corte di merito risulta esaustiva e convincente. In particolare va, anzitutto, osservato che la mancanza di una espressa previsione contrattuale del collaudo è circostanza irrilevante, in un contesto nel quale i giudici di merito hanno ritenuto documentalmente provato che al materiale recapito, presso l’officina del compratore, della macchina non aveva fatto seguito il completamento del relativo montaggio, che per contratto e tenuto conto della natura del bene venduto avrebbe dovuto avvenire a cura della venditrice, sicchè la consegna comunque non avrebbe potuto ritenersi perfezionata, se non all’atto del successivo intervento.

In tale vicenda, che come ricostruita dai giudici di merito fu caratterizzata dall’improvvido uso del macchinario nel, non lungo, intervallo tra i due interventi di montaggio, nessuna rilevanza poteva assumere l’ammissione, scritta e poi confermata in giudizio dal B., dei problemi relativi al lift table, attenendo gli stessi allo stato provvisorio del congegno, dopo il primo intervento, all’esito del quale lo stesso non era stato ancora autorizzato all’uso da parte del suddetto tecnico incaricato dalla SIPAV, prospettando la necessità di un secondo anche da parte di quelli della OMER, circostanza quest’ultima che la corte di merito ha evidenziato (v. pag. 23) essere stata anche ammessa dall’attore nel corso del suoi interrogatorio formale. Quanto alle testimonianze, la corte territoriale, con valutazioni di merito altrettanto incensurabili, ha dato conto: a) sia delle ragioni per le quali ha confermato l’inattendibilità (al riguardo poco o punto rilevando che la denuncia penale degli stessi fosse sfociata in un decreto di archiviazione, provvedimento privo di alcuna attitudine a costituire giudicato) delle deposizioni rese dagli assunti testimoni oculari dell’incidente, in quanto contrastanti con la circostanza acclarata documentalmente (dal rapporto dell’ASL, redatto sulla scorta delle acquisite dichiarazioni) e non fatta oggetto di alcuna specifica censura nell’atto di appello, secondo cui l’infortunio non aveva avuto testimoni; b) sia di quelle, relative ai successivi assunti episodi di malfunzionamento, ravvisando la scarsa significatività delle stesse, non avendo alcuno dei testi assistito direttamente all’abbassamento del ponte, constatato in posizione statica successiva agli assunti eventi, nè alle manovre che l’avevano preceduto, non potendosi così escludere che la constatata asimmetria tra le due pedane del ponteggio fosse da ascrivere ad inopportuni accorgimenti posti in essere dal C. (uso di un crick per agevolare l’elevazione), analoghi a quello riferito dal teste M., pur de relato (ma con particolare attendibilità, in quanto apprese dal padre dell’attore), relativamente al primo e più grave episodio, altresì osservando, con argomentazione altrettanto incensurabile, che la consulenza tecnica di ufficio aveva evidenziato, pur a distanza di quasi cinque anni da tali fatti e nonostante il protratto impiego dello stesso, l’assenza di alcun vizio o difetto, sia pur da usura, nel macchinario in questione. Le riportate argomentazioni vengono, pertanto, censurate nella presente sede sul piano non della logica, ma della opinabilità, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.

Altrettanto inammissibile è il quinto motivo, deducente "nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 13, n. 4", per essere stata indebitamente posta a fondamento della decisione la suddetta testimonianza de relato, sebbene relativa a circostanze non apprese direttamente dall’attore e prive di altri riscontri, perchè deduce impropriamente, una violazione di norma processuale inficiante la validità del giudizio, in assenza di alcuna disposizione che vieti al giudice di avvalersi di siffatte testimonianze indirette. La doglianza si palesa, in realtà, diretta avverso la motivazione, censurando un apprezzamento discrezionale, quale è quello di utilizzare una testimonianza de relato, che non ha costituito l’unico, ma uno dei tanti elementi di giudizio convergenti, la cui valorizzazione i giudici di merito hanno, nell’esercizio del "prudente apprezzamento" attribuito dall’art. 116 c.p.c., adeguatamente motivato, evidenziando come lo stretto legame parentale tra il deponente e l’attore (fonte delle ammissioni) ed il riscontro oggettivo nel rapporto dell’ASL., la rendessero particolarmente significativa.

Con il sesto motivo si contestano, per violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., due passaggi argomentativi della sentenza impugnata, ravvisanti, il primo la genericità delle censure mosse dall’appellante alla consulenza tecnica di ufficio recepita dal primo giudice, il secondo la mancata confutazione dell’argomento evidenziante il contrasto tra le deposizioni testimoniali di C. P. e Co.Ma. ed il rapporto dell’ASL. Anche tali censure sono inammissibili, per difetto di specificità e di autosufficienza, limitandosi, l’una e l’altra, a richiamare genericamente, senza riportarne i rispettivi contenuti, le deduzioni che sarebbero state contenute in precedenti atti difensivi (motivo di appello n. 3, dichiarazioni dei testimoni, relazione del proprio c.t.p.), così non consentendo a questa Corte di valutarne la portata e rilevanza e, conseguentemente, l’assunta inadeguatezza delle ragioni d’inammissibilità ravvisate dal giudice di secondo grado;

per quanto attiene poi al richiamo al decreto di archiviazione ed alla relativa richiestaci ribadisce quanto già considerato in precedenza, circa la natura neutra del provvedimento ai fini della sussistenza o meno dei fatti denunciati.

Con il settimo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e segg., perchè non sarebbero state valutate ai fini della responsabilità per atto illecito, esclusiva del B. o solidale tra il medesimo e la società produttrice del ponte sollevatore, le rispettive condotte, consistite nell’aver montato il ponte collegandolo all’alimentatore elettrico, così non impedendone l’utilizzo, e nell’aver commercializzato un prodotto difettoso.

Anche tale motivo è inammissibile, perchè non evidenziando malgoverno della norma citata sulla responsabilità aquiliana, si risolve nella generica ripetizione delle censure di merito precedentemente esaminate, con le quali si è rimesso in discussione l’esito degli accertamenti, sulla scorta dei quali i giudici di merito avevano escluso sia che il macchinario, soltanto incompleto all’esito del primo intervento di montaggio, fosse affetto da vizi occulti, sia che il B. ne avesse consentito l’immediato uso, ritenendo invece che l’avesse implicitamente escluso nel palesare per iscritto la necessità di un intervento di completamento da parte dei tecnici della società produttrice, contesto nel quale la successiva iniziativa dell’acquirente di utilizzarlo, senza attendere tale intervento, configurò un comportamento colpevole, costituente la causa unica dell’evento dannoso (o comunque, aggiungasi, tale da interrompere, per la sua anomalia, il nesso causale). Anche in tale caso il quesito di diritto ex art. 360 bis c.p.c. è inadeguato, proponendo la richiesta di accertamento della responsabilità aquiliana sulla base delle assertive premesse fattuali, secondo cui il macchinario fosse ab origine affetto da difetti intrinseci ed il montatore ne avesse consentito o comunque non impedito l’uso.

L’ottavo motivo, deducente insufficiente e contraddittoria motivazione nella valutazione del documento redatto dal B. e delle dichiarazioni rese dal medesimo in sede di interrogatorio formale, secondo cui la corte avrebbe prima affermato l’affidabilità del tecnico e, poi, sostanzialmente ed illogicamente disatteso le sue ammissioni circa la presenza di problemi al lift table, poi esclusi dalla consulenza tecnica di ufficiosa respinto per difetto di rilevanza. Il nucleo centrale argomentativo della decisione impugnata, infatti, poggia non già sulla ritenuta affidabilità del giudizio tecnico espresso del suddetto in occasione del primo intere vento, bensì sull’accertamento di una precisa circostanza di fatto, documentalmente acclarata, secondo cui il tecnico montatore, accertata le necessità di ulteriori elementi per il completamento (per "mancanza tubi") dell’installazione del ponte elevatore e di avvertire la società produttrice, so stanzialmente rimettendosi alla stessa per il successivo intervento, aveva chiaramente evidenziato per iscritto che trattavasi di "montaggio provvisorio", come tale inidoneo all’immediato uso, indipendentemente dai pure ipotizzati "problemi al lift table", che in sede di consulenza tecnica non sarebbero poi risultati presenti; sicchè, quand’anche lo fossero stati all’atto dell’intervento del B., gli stessi avrebbero dovuto essere ritenuti eliminati dal secondo intervento, di completamento del montaggio e collaudo. Il nono motivo, con il quale si censura per violazione degli artt. 194, 195, 90, 91 disp. att. c.p.c., degli artt. 116, 157 e 161 c.p.c., perchè il c.t.u. avrebbe acquisito irritualmente, senza avvertire i c.t.p., nè riconvocarli, gli "schemi tecnici ufficiali" relativi al dispositivo lift table, è inammissibile, sia per novità della censura, che non risulta specificamente formulata – nè viene dedotto esserlo stata – quale motivo (o relativo profilo) dell’appello, nell’ambito del quale le censure erano, sia pur genericamente, rivolte ai contenuti sostanziali della relazione, sia perchè non precisa in quali termini, dall’utilizzazione del suddetto documento, che sarebbe stato irritualmente acquisito, siano derivate valutazioni tecniche pregiudizievoli per la tesi dell’attore.

Il decimo motivo, con il quale si denuncia "nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", per non avere la corte territoriale preso in considerazione la richiesta di ammissione di una nuova consulenza tecnica e le ragioni al riguardo esposte, è infondato, per insussistenza della lamentata omissione di pronunzia, essendosi il giudice di appello al riguardo pronunziato (v. pag. 26 – 27), considerando assorbenti le argomentazioni esposte circa la condotta imprudente dell’appellante e, comunque, generiche le censure mosse alla relazione peritale. Sotto quest’ultimo profilo neppure nel ricorso vengono precisate le critiche di carattere tecnico (al di là dei generici richiami alle testimonianze) che sarebbero state specificamente mosse nell’atto di appello o, comunque, nella relazione del proprio c.t.p., all’elaborato del c.t.u., limitandosi in questa sede il ricorrente a lamentare che l’indagine peritale era stata eseguita "a distanza di cinque anni dall’infortunio" (senza considerare che una nuova eventuale perizia sarebbe stata espletata dopo un tempo ancora superiore); sicchè anche a voler considerare il mezzo d’impugnazione sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lo stesso si palesa inammissibile per genericità.

L’undicesimo motivo, deducente "nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., e segg. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4", lamentando che la corte di merito avrebbe "sbrigativamente" disatteso, ritenendole assorbite, "le ulteriori argomentazioni dell’appellante sulla risoluzione del contratto e sui danni", omettendo di procedere, nell’ambito della complessa vicenda, ad una trattazione distinta delle due responsabilità, neppure evidenzia alcuna omissione di pronunzia, essendosi la corte di merito esaurientemente pronunziata, secondo quanto in precedenza esposto, sia sulla responsabilità extracontrattuale, escludendola in considerazione dell’accertata condotta imprudente dell’attore, ritenuta causa unica dell’evento infortunistico, sia su quella contrattuale delle due società convenute, sugli essenziali rilievi che la consegna si fosse perfezionata soltanto dopo il secondo intervento di completamento del montaggio e che l’accertamento tecnico avesse escluso la sussistenza dei vizi.

Il mezzo d’impugnazione, costituente una generica ed omnicomprensiva reiterazione delle precedenti censure, va pertanto respinto, ribadendosi le ragioni in precedenza esposte.

Il dodicesimo motivo, con il quale si lamenta "contraddittoria o insufficiente motivazione", con riferimento al contrasto tra quella dell’ordinanza presidenziale di sospensione ex art. 283 c.p.c. (ravvisante "l’appello non "manifestamente pretestuoso soprattutto in punto di regolamento delle spese di lite") e quella della sentenza di appello, con particolare attinenza all’entità delle spese, non merita accoglimento.

La doglianza relativa all’assunta eccessività dell’importo delle spese liquidate non risulta essere stata ulteriormente sviluppata nell’appello, nè il mezzo d’impugnazione evidenzia un vizio argomentativo intrinseco del provvedimento decisorio, cui resta estraneo quello inibitorio e provvisorio, emesso sulla base di una mera valutazione delibativa, come tale destinato ad essere assorbito e superato, non diversamente dalle altre ordinanze, dalla definitiva decisione.

Il tredicesimo motivo, con il quale si lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c." con riferimento al regolamento delle spese, è manifestamene infondato, con riferimento al primo dei suddetti articoli, essendo stato correttamente applicato il principio della soccombenza (nella specie totale dell’appellante attore), ed inammissibile con riferimento al secondo, costituendo la facoltà di compensazione, totale o parziale, delle spese, esercizio di un potere insindacabile riservato al giudice di merito, ancor più nel caso negativo, in cui neppure è ipotizzabile un vizio di motivazione.

Con il quattordicesimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per aver la Corte d’Appello ritenuto inammissibile per genericità il motivo di gravame concernente la liquidazione delle spese, doglianza che, invece, sarebbe stata specificata con riferimento alla "violazione del criterio di valore e del relativo scaglione di riferimento in diretta comparazione con le domande e le pretese azionate".

Con il quindicesimo motivo, infine, si censura, per "violazione o falsa applicazione degli artt. 10 e 91 c.p.c. dell’art. 2233 c.c. e del D.M. n. 127 del 1994", la verifica, compiuta dalla Corte d’Appello, della liquidazione delle spese contenuta nella sentenza di primo grado, al riguardo proponendone una diversa e di minore importo inferiore, ritenuta più adeguata al criterio del valore. I motivi, strettamente connessi, vanno entrambi disattesi, non risultando, dalla sentenza impugnata, nè venendo precisato nel ricorso che dette censure, a parte la generica doglianza secondo cui l’entità delle spese sarebbe stata "abnorme ed esagerata" rispetto al valore della lite, siano state specificamente (come lo sono state poi soltanto nella presente sede) dedotte nell’atto di appello. Resta pertanto insuperato il radicale ed assorbente rilievo di inammissibilità ex art. 342 c.p.c., da parte della corte di merito, del relativo capo di gravame, che è di per sè solo sufficiente a sorreggere la decisione reiettiva, mentre le censure contenute nell’ultimo motivo, in quanto dirette contro argomentazioni ultronee (con le quali il giudice di appello si è addentrato, pur non essendovi tenuto, nell’esame analitico della liquidazione operata da quello di primo grado), esposte solo in via subordinata, vanno dichiarate inammissibili, perchè dirette contro una parte non necessaria della motivazione.

Il ricorso va, conclusivamente respinto.

Le spese, infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna delle parti resistenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in misura di Euro 2.500,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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