Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-06-2012, n. 9463 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 7/6/2006 D.M.G.E. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dal direttore generale dell’Azienda Trasporti Milanesi con la quale le era ingiunto di pagare la somma di Euro 138,00 quale sanzione amministrativa per avere viaggiato, in data 19/7/2004, su un mezzo pubblico senza valido titolo di viaggio.

Il giudice di Pace di Milano con sentenza del 15/12/2006 rigettava l’opposizione.

Il Tribunale di Milano, decidendo in sede di gravame sull’appello proposto dalla D.M., con sentenza del 18/3/2010 rigettava l’appello condannando l’appellante alle spese del grado. Il Tribunale rilevava:

– quanto al primo motivo di appello, che nella legge regionale lombarda (L.R. n. 22 del 1988) non era previsto un termine entro il quale emettere l’ordinanza ingiunzione per la sanzione amministrativa ed era pertanto applicabile il termine generale quinquennale previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 28, non decorso e non il termine di 60 giorni per la conclusione dei procedimenti amministrativi, previsto dalla L. n. 241 del 1990;

– quanto al secondo motivo di appello, che la legge regionale impone il possesso fisico del documento di viaggio sul mezzo pubblico per tutta la durata del viaggio e, pertanto, la circostanza che il titolo abilitante, costituito dall’abbonamento (sulla cui effettiva esistenza v’era pure motivata contestazione da parte di ATM) fosse stato dimenticato a casa non escludeva la sanzionabilità della condotta. D.M.G.E. propone ricorso affidato a tre motivi; resiste con controricorso l’Azienda Trasporti Milanesi S.p.A..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 28, e mancata applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 2; essa sostiene che la L. n. 689 del 1981, art. 28, che fissa il termine di prescrizione quinquennale per la riscossione della sanzione non riguarda il termine per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione che pertanto avrebbe dovuto essere emessa nel termine di 60 giorni, come previsto dalla L. n. 241 del 2001, art. 2, per la definizione dei procedimenti amministrativi; la necessità di distinguere il termine di prescrizione dal termine per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione sarebbe confermata anche dall’art. 204 C.d.S., che fissa un termine ridotto per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione, pure essendo previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 28, il termine di prescrizione quinquennale.

1.1 La questione relativa all’applicabilità anche alle ordinanze ingiunzioni irrogative di sanzioni amministrative del termine stabilito dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, comma 3, per la conclusione dei procedimenti amministrativi, fin dal 2006 (ossia ben più di un anno prima della proposizione dell’appello della D. M.) è stata risolta da questa Corte a S.U. (Cass. S.U. 27/4/2006 n. 9591) in conformità al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità fondato sull’inconciliabilità della norma di cui si tratta con la disciplina delle sanzioni amministrative, contenuta nella L. 24 novembre 1981, n. 689 (v., ex multis, Cass. 16/4/2003 n. 6014, Cass. 22/12/2003 n. 19617, Cass. 21/1/2004 n. 874, 26/8/2005 n. 17386).

Infatti è stato rilevato che la L. n. 689 del 1981, costituisce un sistema organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenziosa scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di termine breve come quello stabilito dalla L. n. 241 del 1990. Le S.U. rilevavano che per il principio di specialità, che prescinde dalla successione cronologica delle norme, quelle posteriori non comportano la caducazione delle precedenti, che disciplinano diversamente la stessa materia in un campo particolare e la L. 7 agosto 1990, n. 241, è, appunto, speciale rispetto alla L. 24 novembre 1981, n. 689, riguardando, l’una, i procedimenti amministrativi in genere, e l’altra (costituente un sistema normativo organico e in sè compiuto) quelli finalizzati all’irrogazione delle sanzioni amministrative, caratterizzati da questa loro funzione del tutto peculiare, che richiede una distinta disciplina.

Nella richiamata pronuncia si osservava, inoltre, che solo per le violazioni di norme sulla circolazione stradale (trattandosi di normativa avente a sua volta natura speciale rispetto alla normativa di cui alla L. n. 689 del 1981, per il generale ambito delle sanzioni amministrative) la validità dell’ordinanza ingiunzione è subordinata al rispetto dei termini stabiliti per la sua emissione dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 20 4, comma 1.

Questa giurisprudenza ha successivamente avuto costante applicazione (v. ex raultis Cass. 16/11/2006 n. 24436; Cass. 23/4/2007 n. 9644;

Cass. 24/4/2010 n. 9841) e, in applicazione di tali principi che in questa sede si condividono e si ribadiscono, deve dichiararsi la manifesta infondatezza del motivo di ricorso nel quale non si tiene in alcun conto l’espresso richiamo ai principi affermati dalle S.U., pur contenuti nella sentenza impugnata.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 18 perchè il direttore della ATM sarebbe venuto meno all’obbligo di sentire la parte che aveva formulato istanza di audizione; la ricorrente richiama la citata norma in quanto, nel disciplinare il procedimento per l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione, stabilisce che l’autorità competente senta l’interessato che ne abbia fatto richiesta e sostiene che non avrebbe potuto ritenere fondato l’accertamento dell’infrazione in mancanza di previa audizione.

2.1 Anche questo secondo motivo, comunque inammissibile quanto alla mancata audizione da parte del direttore dell’ATM (trattandosi di deduzione difensiva nuova essendo stata in precedenza dedotta la mancata audizione da parte del prefetto, che tuttavia, era autorità incompetente per le sanzioni dell’Azienda Trasporti), è fondato su argomenti già ritenuti infondati da questa Corte a S.U. (Cass. S.U. 28/1/2010 n. 1786, pure richiamata nella sentenza impugnata, senza che la ricorrente, nel suo ricorso, l’abbia presa in alcuna considerazione) che ha affermato il principio (poi ribadito da successiva giurisprudenza: v. Cass. 19/4/2010 n. 9251) secondo il quale in tema di ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative – emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 204, ovvero a conclusione del procedimento amministrativo L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 18 – la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale.

La Cassazione a sezioni unite aveva, tra l’altro, osservato che l’audizione dell’interessato è preordinata all’esposizione di elementi favorevoli alla propria tesi che l’interessato vuole far conoscere all’Autorità preposta all’adozione dell’ordinanza e, quindi, la tutela del trasgressore non è lesa dal mancato uso di tale facoltà, atteso che quelle stesse ragioni potranno senza dubbio alcuno essere prospettate in sede giurisdizionale; pertanto il vizio di omessa audizione non può comportare l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione, attesa la rilevata pienezza di cognizione che compete al giudice del rapporto. A tali principi, neppure considerati nel ricorso, occorre dare continuità.

Ne discende la manifesta infondatezza del motivo.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., e sostiene che sarebbe stato violato il divieto di frazionamento dell’iter procedurale in materia di liquidazione delle spese.

3.1 Il motivo pare fare riferimento, senza esplicitarlo, al diverso regolamento delle spese nel primo grado all’esito del quale le stesse sono state compensate; il motivo è, comunque, manifestamente infondato in quanto la ricorrente è risultata soccombente sia in primo che in secondo grado; la sentenza di primo grado è stata confermata nel merito e, quindi, il giudice di appello non poteva, in mancanza di specifica impugnazione sulla compensazione (impugnazione alla quale sarebbe stata interessata ATM e non certo la ricorrente soccombente), modificare la relativa statuizione.

4. Il ricorso deve quindi essere rigettato per manifesta infondatezza; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara, rigetta il ricorso e condanna D.M.G. E. a pagare a ATM Azienda Trasporti Milanese S.p.A. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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