Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-06-2012, n. 9460

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione in data 28 aprile 1998, il Comune di Riesi convenne in giudizio innanzi al tribunale di Caltanissetta G. e V.S. e S.G., esponendo che con contratto dell’8 giugno 1977 lo stesso Comune aveva acquistato dal Ministero delle Finanze il piazzale della locale ex stazione ferroviaria, comprendente due fabbricati semidiruti, con l’intenzione di destinarlo a museo etnografico. L’immobile adibito ad ex casello era illegittimamente occupato dai convenuti, sicchè ne era stato chiesto lo sgombero, ma costoro avevano affermato di possedere lo stabile da cinquant’anni. Pertanto, ritenuta la illegittima occupazione dell’immobile, il Comune chiese la condanna dei convenuti al rilascio dello stesso, ed alla restituzione dei relativi frutti civili e naturali, percetti e percipiendi, ed al risarcimento dei danni.

Il giudice adito, in accoglimento della istanza riconvenzionale di V.G., dichiarò che questi aveva usucapito l’immobile in catasto al foglio 36, particella 121, e condannò S. G. e V.S. a rilasciare al Comune di Riesi gli altri beni in questione.

Per la riforma della sentenza propose appello il Comune di Riesi.

2. – La Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza depositata il 4 gennaio 2006, rigettò il gravame. Il giudice di secondo grado ritenne infondata la doglianza relativa alla nullità della domanda riconvenzionale di usucapione avanzata da V.G. in primo grado per non essere stata la comparsa di costituzione che la conteneva notificata a V.S., che in primo grado era rimasto contumace.

Osservò al riguardo la Corte di merito che le comparse contenenti domande riconvenzionali devono essere notificate alla parte rimasta contumace qualora siano dirette contro la stessa o in qualche modo la coinvolgano, ma, trattandosi di obbligo stabilito nell’interesse esclusivo di quest’ultima, la nullità conseguente alla mancata notifica può essere eccepita solo dal contumace successivamente costituitosi.

Quanto al secondo motivo di gravame, con il quale il Comune deduceva la erroneità della pronuncia di usucapione per la non usucapibilità del bene, costituente res extra commercium, per il difetto di animus possidendi e per la mancata o insufficiente prova del possesso, la Corte di merito osservò, con riguardo alla prima questione, che i beni di cui si tratta, linea ferrata e sue pertinenze, non avevano mai assunto nè il carattere della demanialità nè quello dell’appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato, in quanto la soppressione dei lavori di costruzione di alcune linee ferroviarie escludeva la destinazione di detti beni all’uso pubblico.

Quanto al ritenuto difetto di animus possidendi in capo a V. G., esso si fondava sul contenuto di una nota a firma della "famiglia V.", nella quale era rappresentata la impossibilità di un immediato sgombero del casello, e veniva richiesta una proroga di dieci giorni. Dal contenuto di tale nota, il Comune inferiva non solo il riconoscimento dell’altrui diritto, ma la consapevolezza della precarietà della relazione materiale con la cosa, che escluderebbe l’animus rem sibi habendi. A fronte del disconoscimento di detta nota, il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta di verificazione avanzata dal Comune, sul rilievo che la relativa sottoscrizione era generica e non riferibile ad uno dei convenuti. Il Comune aveva osservato che la sottoscrizione ellittica non faceva venir meno la riferibilità della nota alla famiglia V.. Al riguardo, la Corte territoriale osservò che, dovendosi escludere che la nota fosse stata sottoscritta dal predetto V., correttamente il giudice di primo grado aveva escluso di poter desumere dal suo contenuto l’insussistenza dell’animus possidendi in capo al medesimo V.. Nè aveva errato il Tribunale nel non attribuire alla predetta scrittura alcuna rilevanza probatoria. Tale mancata attribuzione conseguiva alla esclusione della possibilità di riferire quella nota a V.G..

Quanto alla mancata prova del possesso, rilevò la Corte di merito che, essendo emerso che il fabbricato in questione era stato abitato sin dal 1947 da V.G. e dai figli, incombeva al Comune, a norma dell’art. 1141 cod. civ., comma 1, l’onere di dimostrare che il potere di fatto esercitato dal V. sul bene avesse avuto inizio come mera detenzione.

Con riguardo alle censure con le quali il Comune di Riesi si doleva del mancato riconoscimento in suo favore del diritto alla restituzione dei frutti e della mancata condanna di V.G. al risarcimento del danno arrecatogli dalla illegittima occupazione del fondo, la Corte le ritenne infondate alla stregua del rilievo del carattere retroattivo della pronuncia che dichiara la maturata usucapione, dal quale discende che al momento del decorso di detto termine viene meno sia il diritto ai frutti, che è legato alla perdurante qualità di proprietario del soggetto che li richiede, sia quello al risarcimento del danno provocato all’ex proprietario del fondo per il ventennale possesso necessario per l’usucapione.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Comune di Riesi sulla base di cinque motivi, illustrati anche da successiva memoria.

Resiste con controricorso V.G..

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. in relazione all’art. 1145 cod. civ., all’art. 822 cod. civ., e segg., al R.D.L. 21 dicembre 1931, n. 575, art. 4, nonchè omessa pronunzia, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, attinenti alla non appartenenza del bene in questione al patrimonio indisponibile dello Stato ed alla sua conseguente usucapibilità. Si assume che il mancato completamento del tronco ferroviario ed utilizzo dei beni per l’uso pubblico non farebbe venir meno la destinazione pubblica in caso di potenzialità o possibilità di ripristino di tale uso, che era consentito sino al momento della soppressione della linea ferroviaria i cui servizi "siano stati sospesi totalmente a mente dell’art. 1" (R.D.L. n. 575 del 1931, art. 4), e che la stessa sentenza aveva riconosciuto che solo nel 1965 erano state sollecitate le operazioni per addivenire alla la dismissione dei tronchi. Si aggiunge che la dichiarata disponibilità alla vendita dei beni, attestata dall’Agenzia dei demanio non comportava l’esclusione di un vincolo di destinazione dei beni, nè era significativa la menzione nell’atto di vendita della disponibilità del bene, atteso che il prezzo era confluito nel capitolo di bilancio relativo alla vendita di beni immobili dello Stato, demaniali e indisponibili, e non nel capitolo relativo alla vendita dei beni appartenenti al patrimonio disponibile.

2.1. – La censura è immeritevole di accoglimento.

2.2. – Deve anzitutto richiamarsi l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte in ordine alla distinzione tra beni demaniali e patrimoniali indisponibili. Al riguardo, con la sent. n. 2635 del 1993 si è chiarito che le strade ferrate, incluse nel demanio pubblico a norma dell’art. 822 cod. civ., comma 2 (nell’ipotesi, perchè di pertinenza dell’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato in epoca anteriore alla trasformazione della stessa in Ente Ferrovie dello Stato, avvenuta con L. n. 210 del 1985), comprendono il suolo e le essenziali strutture, necessarie al funzionamento della linea, mentre fanno parte del patrimonio mdisponibile, ai sensi dell’art. 826 cod. civ., u.c., il materiale rotabile e gli edifici, non inerenti alla strada ferrata, destinati al pubblico servizio ferroviario.

La medesima pronuncia chiarisce, quanto alla perdita della destinazione, che la sdemanializzazione di un bene può essere anche tacita, indipendentemente da un formale atto di sclassificazione, purchè risulti da atti univoci e concludenti, incompatibili con la volontà dell’amministrazione di conservarne la destinazione all’uso pubblico, e da circostanze tali da rendere non configurabile un’ipotesi diversa dalla definitiva rinuncia al ripristino della funzione pubblica del bene; la relativa indagine è rimessa al giudice del merito, il cui accertamento è incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e giuridici (v. anche le successive sentenze n. 17387 del 2004, n, 14666 del 2008).

2.3. – Ciò posto, va evidenziato che dalla sentenza impugnata emerge che la strada ferrata demaniale non era stata realizzata, nè è contestato che gli immobili non costituissero pertinenze della strada demaniali, facendo parte gli stessi, invece, del patrimonio indisponibile, in quanto destinati a pubblico servizio. Ne consegue che il rilievo che nel 1937 fosse stata disposta la soppressione dei lavori di costruzione del tronco ferroviario costituiva argomento sufficiente e logico per desumere che non si trattasse di possibilità di ripristino di un uso pubblico, mai realizzato, e di potenzialità di un tale uso idoneo ad imprimere un vincolo di destinazione ai beni.

3. – Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. in relazione all’art. 1140 cod. civ., e segg., all’art. 822 cod. civ., e segg., al R.D.L. 21 dicembre 1931, n. 575, art. 4, nonchè violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2702 cod. civ., degli artt. 214, 216 e 221 cod. proc. civ., nonchè degli artt. 116, 112 e 115 cod. proc. civ. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, attinenti all’animus possidendi in ragione della nota del 5 novembre 1991 della famiglia V., che riconosceva il diritto del Comune e la precarietà della relazione materiale. Il Comune si duole del mancato esperimento della procedura di verifica della sottoscrizione della nota dopo il suo disconoscimento da parte del convenuto e, comunque, della mancata rilevanza probatoria data a tale nota in quanto scrittura proveniente da terzi.

4.1. – Il motivo è infondato.

4.2. – La sentenza impugnata ha affermato che l’impossibilità di riferire la nota ad uno dei convenuti ne escludeva il valore probatorio. Anche la valutazione del documento come proveniente da un terzo imponeva l’identificabilità di tale terzo, risolvendosi diversamente la nota in uno scritto anonimo. Risulta, dunque, corretto il richiamo alla presunzione dell’art. 1141 cod. civ., risultando provata la occupazione dell’immobile come abitazione sin dal 1947, in presenza di un elemento contrario ricavabile da uno scritto non riferibile ad una persona determinata, pur se assunta quale portavoce della famiglia.

5. – Con la terza censura si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2702 cod. civ., degli artt. 214, 216 e 221 cod. proc. civ., nonchè degli artt. 116, 112 e 115 cod. proc. civ., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, attinenti al mancato accoglimento della domanda di verificazione della scrittura e dei mezzi di prova diretti all’accertamento della provenienza del documento.

6.1. – Il motivo è infondato.

6.2. – Con riguardo alla prima parte della censura, la motivazione della sentenza impugnata risulta sufficientemente e non illogicamente motivata, non potendo il procedimento di verificazione della firma che riguardare la sottoscrizione di un soggetto determinato.

Quanto alla seconda parte della doglianza, essa difetta di autosufficienza, non essendosi chiarito quali fossero le attività di accertamento richieste per acclarare la provenienza del documento in questione.

5. – Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1148 cod. civ., e segg. e art. 2043 cod. civ., e segg., in relazione all’art. 1158 cod. civ., all’art. 1145 cod. civ. ed all’art. 1140 cod. civ., e segg., all’art. 822 cod. civ., e segg., al R.D.L. 21 dicembre 1931, n. 575, art. 4; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2702 cod. civ., degli artt. 214, 216 e 221 cod. proc. civ., nonchè degli artt. 116, 112 e 115 cod. proc. civ., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Avrebbe errato il giudice di appello nel rigettare sia il motivo con il quale il Comune aveva lamentato che il tribunale avesse omesso di riconoscergli il diritto alla restituzione dei frutti che gli sarebbero spettati almeno sino all’anno 1967, sia quello relativo alla omessa condanna del V. al risarcimento del danno arrecato al Comune dalla illegittima occupazione del fondo, dovendosi ritenere la sussistenza di tale danno in re ipsa.

6. – Il motivo è inammissibile siccome condizionato. Infatti, il ricorrente si limita a sottolineare che l’auspicato accoglimento dei precedenti motivi di ricorso, rifluendo positivamente sulla reiezione della domanda di usucapione del V., travolgerebbe la pronuncia della Corte d’appello.

7. – Resta, infine, assorbito dal rigetto dei motivi precedenti l’esame del quinto motivo, relativo alla condanna alle spese del Comune in quanto soccombente nel giudizio di secondo grado.

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono, in ossequio al criterio della soccombenza, essere poste a carico del Comune di Riesi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2200,00 di cui Euro 200,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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