Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9456

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La Vittoria Assicurazioni S.p.A. propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Verona che aveva accolto la domanda avanzata nei suoi confronti dal Comune di Villafranca di Verona, per l’adempimento di una garanzia fideiussoria, assistita da delegazione di pagamento, emessa in favore del Comune e nell’interesse del Consorzio Cooperative Sportive, avente ad oggetto sia la corretta esecuzione dei lavori di costruzione del Palaghiaccio di (OMISSIS) che gli obblighi del Consorzio relativamente ad un mutuo acceso presso il Credito Fondiario per finanziare i lavori, per il quale il Comune si era reso garante. Il Comune aveva agito deducendo che la costruzione si era rivelata del tutto inidonea all’uso e che il Consorzio non aveva pagato alcuna delle rate di mutuo.

Il Tribunale aveva condannato la Vittoria Assicurazioni al pagamento in favore del Comune della somma di Euro 619.748,28 (pari al massimale di polizza), oltre accessori.

1.2.- L’appellante ripropose in appello le domande e le eccezioni disattese in primo grado: la decadenza ex art. 1957 cod. civ.;

l’annullabilità del contratto per essere stato sottoscritto dal suo agente P.R., che era stato anche il legale rappresentante del Consorzio; la mancanza in capo al P. di poteri rappresentativi; l’avere il Comune taciuto situazioni di inadempimento del Consorzio, già verificatesi alla data di stipulazione della polizza.

1.3.- Con separato, precedente, atto di appello era stata impugnata sia da P.R. (chiamato in causa in primo grado dalla Compagnia assicuratrice), in via principale, che dalla Vittoria Assicurazioni, in via incidentale, la sentenza non definitiva del Tribunale di Verona che aveva rigettato le querele di falso presentate sia dalla Vittoria Assicurazioni che dal P. relativamente alla sottoscrizione della polizza, che appariva a nome di quest’ultimo.

1.4.- In entrambi i giudizi di appello si costituì il Comune di Villafranca e chiese il rigetto dei gravami. Nel giudizio d’appello avverso la sentenza definitiva si costituì anche P. R., che propose appello incidentale relativamente alla sua condanna alle spese di primo grado in favore della Vittoria Assicurazioni.

2.- La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 27 luglio 2006, riuniti i giudizi, ha rigettato l’appello principale del P. e quello incidentale della Vittoria Assicurazioni avverso la sentenza che aveva rigettato le querele di falso; ha parzialmente accolto l’appello principale proposto dalla Vittoria Assicurazioni contro la sentenza di condanna ed ha dichiarato che il diritto del Comune ad avvalersi della polizza fideiussoria si era estinto per decadenza ai sensi dell’art. 1957 cod. civ.; ha condannato il Comune di Villafranca di Verona alla restituzione di quanto ricevuto in adempimento della sentenza di primo grado ed ha compensato le spese di lite tra quest’ultimo e la Compagnia assicuratrice; ha rigettato l’appello incidentale del P. e l’ha condannato al pagamento delle spese del grado in favore della Vittoria Assicurazioni S.p.A..

3.- Avverso la sentenza, il Comune di Villafranca di Verona propone ricorso, affidato a tre motivi. Si difende con controricorso la Vittoria Assicurazioni S.p.A., che propone ricorso incidentale condizionato affidato a sei motivi.

Entrambi hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Non si sono difesi P.R. ed il fallimento del Consorzio Cooperative Sportive soc. coop. a r.l..

Motivi della decisione

Preliminarmente, i ricorsi vanno riuniti.

Entrambi sono soggetti, quanto alla formulazione dei motivi, al regime dell’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, ed abrogato dalla L. 18 giugno 2008, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), applicabile in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (27 luglio 2006).

1.- Col primo motivo del ricorso principale è denunciata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1936, 1945, 1956 e 1957 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Nell’illustrare il motivo il Comune lamenta che la Corte territoriale non abbia correttamente qualificato il contratto, avendo ritenuto trattarsi di fideiussione, piuttosto che di contratto autonomo di garanzia. Deduce, al riguardo, che la clausola contrattuale con la quale si prevedeva la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento immediato del credito "a semplice richiesta" si sarebbe dovuta interpretare come del tutto equivalente a quella di "senza eccezioni" ed, anche indipendentemente dalla qualificazione del contratto come contratto autonomo di garanzia, avrebbe dovuto essere intesa come derogatoria della disciplina tipica della fideiussione, con la conseguenza che la Corte avrebbe dovuto reputare inapplicabile l’art. 1957 cod. civ.. Prosegue il ricorrente sostenendo che l’interpretazione anzidetta conseguirebbe non solo al tenore della clausola contrattuale n. 5 delle condizioni generali di assicurazione, ma anche alla clausola dattiloscritta indicata nel frontespizio della polizza (l’una e l’altra riportate alla pag. 9 del ricorso), che avrebbero avuto il significato -non inteso invece dal giudice a quo- di derogare al disposto dell’art. 1957 cod. civ..

1.1.- L’illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto:

"a) la clausola con la quale venga espressamente prevista la possibilità, per il creditore garantito, di esigere dal garante il pagamento del credito "a semplice richiesta" o "dopo un semplice avviso" all’obbligata, riveste, o no, carattere derogatorio rispetto alla disciplina della fideiussione? b) siffatta clausola, risultando incompatibile con detta disciplina, comporta, o no, l’inapplicabilità delle tipiche eccezioni fideiussorie, quali ad esempio quelle fondate sugli artt. 1956 e 1957 c.c.?".

2.- Orbene, mentre il quesito appare coerente con lo sviluppo argomentativo della censura, questo appare del tutto incompatibile con l’indicazione delle norme di diritto su cui la censura si fonda, così come indicate nell’intitolazione del motivo; in particolare, sia il quesito che l’illustrazione risultano incompatibili col vizio denunciato.

Il vizio denunciato è infatti indicato come violazione e/o falsa applicazione delle norme del codice civile nelle quali vengono delineati i tratti caratterizzanti il contratto tipico di fideiussione: l’art. 1936 cod. civ., che stabilisce il carattere accessorio della garanzia; l’art. 1945 cod. civ., che ne da conferma con riguardo alla disciplina delle eccezioni opponibili dal fideiussore, che, in ragione di siffatta accessorietà, coincidono con quelle che spettano al debitore principale; gli artt. 1956 e 1957 cod. civ., che sono volte a limitare la portata del rischio del garante, in relazione alle condizioni del debitore principale o alla scadenza della sua obbligazione, sempre in ragione del predetto rapporto di accessorietà.

Nel momento in cui la Corte d’Appello ha qualificato la polizza fideiussoria di che trattasi come inidonea ad assicurare l’indipendenza del rapporto di base dal contratto di garanzia, ed ha quindi ribadito il carattere non autonomo di questa e la sua accessorietà e dipendenza dal rapporto di base, e ne ha tratto la conclusione dell’applicabilità dell’art. 1957 cod. civ., non ha violato affatto questa norma ne nè ha fatto falsa applicazione; essa è applicabile al contratto qualora questo venga qualificato come contratto tipico di fideiussione. Soltanto se avesse applicato l’art. 1957 cod. civ., ma qualificando la garanzia come autonoma, si sarebbe avuta una falsa applicazione di quest’ultima norma.

2.1.- Piuttosto che la violazione delle norme richiamate, il ricorrente avrebbe dovuto denunciare il vizio di violazione di legge con riguardo ai canoni interpretativi del contratto, poichè ciò di cui si lamenta è appunto l’errata qualificazione che la Corte d’Appello ha dato alla polizza fideiussoria e, quindi, l’errata attività interpretativa del contratto, che ha condotto la Corte a tale errata qualificazione. Allora, il ricorrente avrebbe dovuto indicare quali canoni legali d’interpretazione contrattuale sarebbero stati, in concreto, violati nel compimento di tale attività interpretativa, denunciandone la relativa violazione, col riferimento all’art. 1362 cod. civ., e segg.. Non solo l’intitolazione del motivo è del tutto incompatibile con le ragioni che si assumono a base della censura, ma questa viene sviluppata contrapponendo all’interpretazione ed alla qualificazione del contratto date dal giudice del merito l’interpretazione e la qualificazione del ricorrente, senza che questi abbia nemmeno fatto cenno alle norme di legge relative all’interpretazione del contratto, nè le abbia, sia pure genericamente, richiamate; nemmeno risulta sviluppato, nell’illustrazione del motivo, un ragionamento atto ad evidenziare che vi sarebbe stata da parte del giudice di merito la violazione di determinate regole di interpretazione del contratto e come questa violazione sarebbe stata compiuta.

Nel caso di specie, trova applicazione il principio più volte espresso da questa Corte per il quale in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e cen-surabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg.. Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto tale secondo richiamato profilo, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati (cfr. Cass. n. 13242/10, n. 15890/07, n. 4178/07, n. 26683/06 ed altre).

2.2.- Il motivo, così come formulato dal Comune ricorrente, non rispetta tale ultimo principio e comunque si pone in contrasto col disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4, poichè pone a suo fondamento norme diverse da quelle delle quali avrebbe dovuto invece denunciare la violazione.

Pertanto, è irrilevante, nel caso di specie, la sopravvenuta decisione a Sezioni Unite di questa Corte del 18 febbraio 2010 n. 3947, richiamata dal ricorrente nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. Essa ha si affermato che la lettera di clausole quali quella "a prima richiesta e senza eccezioni" (ovvero altre equipollenti quale "a semplice richiesta") dovrebbe orientare l’interprete verso l’approdo alla fattispecie del contratto autonomo di garanzia (salvo che non si ponga in patente contrasto con l’intero contenuto "altro" della convenzione negoziale), ma questo "approdo" si colloca, appunto, all’esito di un’attività interpretativa delle clausole, che è riservata al giudice del merito, come è per ogni contratto e quindi anche per quello di garanzia (cfr., in particolare, Cass. n. 2742/02, secondo cui, in tema di fideiussione, la presenza nel contratto di clausole quali quelle di cui si discute, importa la risoluzione di una quaestio voluntatis, in sede di interpretazione contrattuale, onde stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto autonomo di garanzia ovvero una fideiussione, ed il relativo accertamento è riservato al giudice di merito).

Il ricorrente avrebbe dovuto denunciare l’errore interpretativo del giudice di merito, mediante il richiamo dei criteri di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., e non l’error in indicando mediante il richiamo delle norme sulla fideiussione: soltanto correggendo il primo di tali errori, e qualificando il contratto in termini diversi da quelli della fideiussione tipica, il giudice di merito sarebbe potuto giungere alla disapplicazione dell’art. 1957 cod. civ., invocata dal ricorrente.

In difetto del richiamo, sia pure implicito, delle regole di ermeneutica contrattuale, il motivo è inammissibile.

3.- Con i restanti motivi si denuncia il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, relativo, per il secondo motivo, all’indicazione della data della scadenza dell’obbligazione principale; per il terzo, all’indicazione della prima istanza contro il debitore principale. Il ricorrente, sostanzialmente, lamenta che la Corte territoriale avrebbe mal individuato la data da cui far decorrere il termine semestrale dell’art. 1957 cod. civ. e non avrebbe considerato che, prima della domanda giudiziale di insinuazione nel fallimento del Consorzio, il Comune avrebbe rivolto a quest’ultimo numerose diffide stragiudiziali utili ad interrompere il termine dell’art. 1957 cod. civ..

3.1.- Quanto alla denuncia del vizio di motivazione, sarebbe stato necessario il momento di sintesi che questa Corte ha ripetutamente ritenuto indispensabile per una corretta formulazione del motivo ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., nel testo come sopra vigente (cfr., in particolare, Cass. S.U. n. 20603/07, secondo cui in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi -omologo del quesito di diritto- che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità).

Dal principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite e dalle applicazioni che ne ha fatto questa Corte si ricava che il requisito in parola richiede un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo di ricorso: questo deve consistere in un’indicazione riassuntiva e sintetica del fatto controverso, in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni di insufficienza della motivazione, tale che, essendo autonomamente valutabile, rispetto alle argomentazioni che illustrano la censura, consenta, di per sè, la valutazione dell’ammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 8897/2008, n. 22502/2010, nonchè Cass. ord. nn. 2652/2008 e 27680/2009, tra le altre).

3.2.- Ribaditi i principi espressi dai precedenti da ultimo richiamati, ritiene il Collegio che il secondo ed il terzo motivo del ricorso siano inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., seconda parte, perchè non si rinviene nè nel corpo dell’illustrazione dei motivi, nè all’inizio od in calce, una parte che contenga le indicazioni di cui all’ultimo inciso dell’art. 366 bis cod. proc. civ., come sopra interpretato.

Alla pag. 13 del ricorso, il ricorrente si è limitato ad indicare come segue "i fatti controversi in relazione ai quali la motivazione della sentenza impugnata è omessa, insufficiente e contraddittoria":

a) quanto al motivo sub 2, "l’indicazione della data di scadenza dell’obbligazione principale: v. la sentenza n. 1858/04 del Tribunale di Verona e il documento n. 11 del nostro fascicolo di primo grado";

b) quanto al motivo sub 3, "l’indicazione della prima istanza contro il debitore principale: v. la sentenza n. 1858/04 del Tribunale di Verona e i documenti nn. 11, 13, 15, 11, 20, 21, 25, 26 e 29 del nostro fascicolo di primo grado".

I due momenti di sintesi delle censure non consentono, in sè, di comprendere tali censure, che diventano comprensibili soltanto se vengano lette le illustrazioni dei motivi.

La parte conclusiva del ricorso, sopra riportata, non realizza lo scopo della prescrizione dell’art. 366 bis c.p.c., seconda parte, che impone di indicare con "chiarezza" il fatto controverso: nel caso di specie, per cogliere le ragioni per le quali i fatti dedotti come "controversi" siano anche decisivi e quindi rilevanti per il vizio di motivazione è necessaria la lettura della pagine precedenti. Ma v’è di più. La norma richiede che il fatto controverso non debba essere indicato in sè e per sè, ma "in relazione" al dedotto vizio di omessa o contraddittoria motivazione ovvero con l’indicazione delle ragioni per le quali l’insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Nel caso di specie, sono indicati "fatti" che si assumono controversi, ma manca totalmente un momento conclusivo riassuntivo degli argomenti del ricorrente, che in tanto sarebbe stato utile ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., in quanto si fosse espresso in modo da coordinare i diversi punti delle articolate illustrazioni dei motivi, fino a delineare in sintesi il vizio del procedimento logico-giuridico attribuito alla Corte d’appello, sul quale questa Corte è chiamata a giudicare.

La tecnica redazionale seguita rende, per quanto sopra, inammissibili i motivi secondo e terzo.

4.- L’inammissibilità del ricorso principale comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionate-condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in favore della resistente nella somma di Euro 15.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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