Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 02-01-2012, n. 9 Occupazione abusiva o illegittima

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Con ricorso n. 2316/2006, i signori Ca.Ma.Ro., Ca.Ga. e Ca.Em., adivano il T.A.R. della Sicilia, sede di Palermo, chiedendo l’annullamento del provvedimento del 6 giugno 2006 con il quale il Dirigente del Settore "Edilizia privata e condono" del Comune di Gela aveva respinto l’istanza di condono edilizio per il fabbricato sito in via Generale Cascino.

In seguito, con il ricorso n. 1554/2009, i signori Ca.Ma.Ro., Be.Sc.Os.An.Ma., Ca.Ga., Ca.Lu. e Be.Le.Al.Ma. impugnavano: a) la delibera di G.M. n. 245 del 28 maggio 2009 con la quale la Giunta municipale di Gela aveva disposto, ai sensi dell’art. 43, comma 1 e 2, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, l’acquisizione al patrimonio indisponibile dell’Ente di un’area urbana, quantificando il valore venale e risarcitorio degli immobili appartenenti ai ricorrenti in complessivi Euro 262.137,89 e gli interessi moratori in complessivi Euro 39.356,46; b) tutti gli allegati alla delibera di G.M. n. 245/2009; c) la determinazione dirigenziale n. 99930 del 30.6.2009 a firma del Settore urbanistico del Comune di Gela avente a oggetto "accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 1029 del 5 ottobre 1981 – art. 31 del D.P.R. n. 380/01"; d) l’ordinanza n. 2249 del 18 settembre 2009, a firma del Vice Sindaco, con la quale è stato ordinato lo sgombero immediato del fabbricato abusivamente realizzato in Gela, via Generale Cascino n. 363.

Infine, con il ricorso n. 1585/2009, il sig. Em.Ca. impugnava: l’ordinanza di sgombero n. 2249 del 18.8.2009; l’ordinanza del 21.8.2009; la determinazione dirigenziale n. 99930 del 30.6.2009; la delibera di G.M. n. 245 del 28.5.2009.

2) Con sentenza n. 2649 del 10 marzo 2010, il giudice adito, previa riunione dei summenzionati ricorsi, accoglieva il primo ricorso e, nei limiti di cui in motivazione gli altri due ricorsi, condannando il Comune al risarcimento dei danni in favore dei ricorrenti.

In particolare, detto giudice accoglieva, in relazione al primo ricorso, il quarto motivo di censura con il quale si deduceva la mancata emanazione del preavviso di rigetto che l’Amministrazione avrebbe dovuto comunicare ai proprietari dell’area.

La caducazione del summenzionato provvedimento comportava "a cascata", come osservato dal T.A.R. l’annullamento dei provvedimenti con i quali erano state eseguite le misure sanzionatorie già sospese per effetto della presentazione dell’istanza di sanatoria culminata nel predetto provvedimento di rigetto (determinazione n. 999930/09 e ordinanza n. 2249/09 e conseguente demolizione).

Quanto a questi ultimi provvedimenti, con i quali erano state disposte l’immissione in possesso e la conseguente demolizione del fabbricato di via Generale Cascino n. 363, andavano condivise, ad avviso del T.A.R., le censure dei ricorrenti circa il difetto di competenza del Vice Sindaco del Comune di Gela.

Il T.A.R. passava, poi, all’esame congiunto dei residui motivi di censura dedotti con i ricorsi n. 1554/09 e n. 1585/09 avverso il nuovo provvedimento di acquisizione sanante che seguiva quello annullato dalla decisione di questo C.G.A. n. 2999/09, nonché, successivamente, all’esame delle domande risarcitorie proposte.

Ad avviso del T.A.R., le censure in questione erano fondate solo in parte.

In particolare, in relazione alla richiesta risarcitoria relativa al fabbricato, la domanda con cui parte dei ricorrenti chiedeva la fedele ricostruzione del fabbricato non poteva essere accolta per la considerazione che una misura del genere assumeva in sé il carattere della eccessiva onerosità per l’Amministrazione cosicché, ai sensi dell’art. 2058 c.c., poteva disporsene solo il risarcimento dei danni per equivalente.

Diverse considerazioni andavano operate in relazione all’area di sedime del fabbricato per la quale poteva disporsi la restituzione, non avendo il Comune fatto richiesta di esclusione dalla restituzione del bene occupato.

Il T.A.R. accoglieva, infine, la domanda di risarcimento del danno per lo spossessamento ai sensi dell’art. 2043 c.c., e ciò sulla base di un criterio di raffronto con il valore reale del bene al momento dell’occupazione, in ragione di tutto il tempo della durata dell’occupazione fino all’effettiva restituzione, e individuato nel saggio legale d’interessi sulla somma che esprime il valore venale dell’immobile al momento iniziale dell’occupazione stessa.

3) Il Comune di Gela ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.

4) Resistono al ricorso gli appellati, i quali, ad eccezione di Ca.Em., hanno proposto appello incidentale.

5) Alla pubblica udienza del 9 giugno 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di appello si sostiene l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui, in accoglimento del ricorso n. 12316/2006, è stato annullato il provvedimento n. 715 del 2006 di diniego del condono edilizio per mancata comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della L. n. 241/1990.

Ad avviso dell’appellante, il diniego di concessione edilizia in sanatoria si configura come un atto vincolato, essendo palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

In particolare, il provvedimento di condono non avrebbe potuto essere rilasciato, posto che, come chiarito nella motivazione del provvedimento stesso, "il manufatto arreca turbativa all’assetto territoriale ricadendo lo stesso in area individuata e vincolata per la realizzazione del nuovo Palazzo di Giustizia".

La censura è infondata.

Il vincolo gravante sull’area in questione era scaduto, essendo decorso il termine quinquennale previsto dall’art. 9 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, sicché il contenuto dell’atto conclusivo del procedimento di condono avrebbe potuto essere diverso

2) La reiezione del primo motivo di appello consente di respingere il secondo motivo con cui è stata dedotta l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha annullato "a cascata" i provvedimenti concernenti la determinazione n. 930/09, l’ordinanza n. 2249/09, nonché ha disposto la restituzione dell’area di sedime su cui insisteva il manufatto abusivo demolito.

3) Con il terzo motivo di appello si assume l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui è stato dichiarato il difetto di competenza del Vice Sindaco ad adottare l’ordinanza di sgombero n. 2249/2009.

Al riguardo si osserva che il provvedimento di sgombero si è reso necessario e improcrastinabile al fine di portare avanti e, quindi, concludere i lavori per la realizzazione del Palazzo di Giustizia, bloccati da diversi anni proprio a causa dell’inottemperanza all’ordine di demolizione del fabbricato abusivo in questione.

La censura è infondata.

Come rettamente osservato dal giudice di prime cure, che ha richiamato le disposizioni legislative che regolano l’assetto delle competenze degli organi degli enti locali della Regione siciliana, la disposizione dell’art 2 della L.R. n. 23/1998 ha recepito l’art. 6 della legge n. 127/2007 a norma della quale la competenza all’adozione degli atti gestionali appartiene ai dirigenti dell’Ente locale.

In particolare, sono attribuiti ai dirigenti "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale".

4) Con il quarto motivo di appello si sostiene che nessuna censura poteva essere legittimamente sollevata nei confronti della quantificazione delle somme da corrispondere a titolo di risarcimento, essendo stata essa determinata in applicazione delle vigenti disposizioni di legge. In proposito rileverebbe la circostanza che nell’area in questione, a seguito della variante approvata con decreto dell’Assessore al territorio e ambiente n. 584 del 27.6.1996, è stata attribuita la destinazione urbanistica (zona F) con vincolo di tipo conformativo.

La censura è infondata.

Come rettamente rilevato dal giudice di prime cure, ai fini del risarcimento del danno da liquidarsi per effetto del provvedimento di acquisizione ex art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, l’importo da liquidarsi non avrebbe potuto prescindere dalla destinazione urbanistica del sito al momento dell’approvazione del progetto in variante, rivalutato alla luce dell’effettivo valore del bene al momento dell’acquisizione in argomento, risultando irrilevante a tali fini anche la sopravvenuta classificazione quale "zona di rischio rilevante".

Va soggiunto che, secondo il rilievo contenuto nella sentenza di questo Consiglio n. 299 del 22 aprile 2009, relativa all’acquisizione nel 2007 al patrimonio indisponibile del Comune dell’area in questione, decisione richiamata dal T.A.R., "rispetto alla valutazione dei beni operata nel 2002 e richiamata dalla deliberazione della Giunta municipale n. 39 del 2007, ai fini della determinazione del risarcimento del danno correlato all’adozione del provvedimento di acquisizione sanante, l’Amministrazione avrebbe dovuto considerare, specificamente, il contesto ampiamente urbanizzato in cui è ubicato l’immobile, nonché l’eventuale presenza di fabbricati".

5) Col quinto e ultimo motivo di appello si contesta l’accoglimento della domanda risarcitoria inerente al danno patito per l’avvenuta demolizione del fabbricato realizzato dagli appellanti e alla acquisizione della relativa area di sedime.

Al riguardo si sostiene che, alla data della demolizione, nessuna sanatoria era intervenuta nei confronti del manufatto de quo, il quale, quindi, non poteva che considerarsi abusivo.

La censura è infondata.

Una volta annullato il provvedimento di diniego del condono, diventa irrilevante, ai fini della qualificazione del danno, sostenere che il fabbricato sarebbe ancora abusivo.

Correttamente, quindi, la vicenda è stata inquadrata dal primo giudice nello schema dell’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 c.c.

6) In conclusione, l’appello principale va respinto.

7) Può, quindi, procedersi all’esame dell’appello incidentale che si palesa fondato nei sensi e limiti che qui di seguito si espongono.

Nelle more dello svolgimento del contenzioso in esame è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 293 dell’8 ottobre 2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2011.

Così inquadrato il tema della vicenda, osserva questo Consiglio che, la parte della sentenza che fa riferimento al citato art. 43 al fine di dettare prescrizioni all’Amministrazione comunale deve ritenersi non più corretta (cfr., in fattispecie analoga, C.d.S., Sez. IV, 1 giugno 2011, n. 3331).

Non potendo più essere azionato tale meccanismo procedimentale accelerato, deve ritenersi che il Comune abbia unicamente la possibilità di ottenere il consenso della controparte per la stipula di un contratto di vendita, anche con funzione transattiva, oppure agisca con un nuovo procedimento espropriativo.

Il Collegio deve, quindi, unicamente pronunciarsi sulle modalità cui dovrà attenersi l’Amministrazione per la quantificazione del danno risarcibile, fermo rimanendo che, perpetuandosi l’illegittima detenzione fino al momento dell’acquisizione della proprietà, fino a quel momento permarrà anche l’obbligo di tenere indenne il privato dalle conseguenze illegittime dell’azione amministrativa.

Acclarato che non può essere risarcito il danno alla proprietà, in quanto il diritto dominicale permane in capo al privato non legittimamente espropriato, il risarcimento del danno deve operare in relazione alla illegittima occupazione del bene, che costituisce illecito permanente, e deve, pertanto, coprire le voci di danno da questa azione derivanti, dal momento del suo perfezionamento fino alla giuridica regolarizzazione della fattispecie.

Ciò impone, quindi, che siano individuati il momento iniziale e quello finale del comportamento lesivo.

Alla stregua del citato precedente giurisprudenziale di cui alla Sezione IV del Consiglio di Stato si impongono le seguenti considerazioni.

In relazione al termine iniziale, "questo deve essere identificato nel momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l’intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra".

In relazione al termine finale, "questo deve essere individuato nel momento in cui la pubblica Amministrazione acquisterà legittimamente la proprietà dell’area, essendo stata eliminata ogni possibilità di individuare sistemi di acquisizione diversi da quello consensuale del contratto e quello autoritativo del procedimento espropriativo".

Venendo ai profili quantificatori del risarcimento del danno, "in reazione al valore da corrispondere al privato, dovrà tenersi conto di quello di mercato dell’immobile, individuato non già alla data di trasformazione dello stesso (non potendo a tale data, una volta venuto meno l’istituto della c.d. accessione invertita, il trasferimento della proprietà in favore dell’Amministrazione), e nemmeno a quella di pro-posizione del ricorso introduttivo, bensì alla data in cui sarà adottato il citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l’effetto traslativo de quo".

In relazione poi al danno intervenuto medio tempore, e quindi a quello conseguente dall’illegittima occupazione, intercorrente tra i termini iniziali e finali sopra precisati, "i danni da risarcire corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale capitale di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate saranno poi incrementate per interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza".

8) In conclusione, per le suesposte considerazioni, assorbita ogni censura o eccezione non esaminata, in quanto irrilevante e ininfluente ai fini della decisione, l’appello principale va respinto, mentre quello incidentale va accolto nei sensi e limiti sopra indicati con conseguente riforma della sentenza impugnata.

Le spese, le competenze e gli onorari dei due gradi di giudizio sono posti a carico del Comune di Gela e sono liquidati a favore degli appellati nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdzizionale, decidendo sul ricorso in appello indicato in epigrafe, così statuisce:

1) respinge l’appello principale;

2) accoglie, nel sensi e limiti indicati in motivazione, l’appello incidentale con conseguente riforma della sentenza appellata.

Condanna il Comune di Gela al pagamento in favore degli appellati delle spese, competenze e onorari dei due gradi di giudizio che liquida complessivamente in Euro 5.000 (euro cinquemila).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, nella Camera di Consiglio del 9 giugno 2011, dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, Guido Salemi, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 2 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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