Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9453

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Co.Vi. e C.M. si opposero, con ricorso dep. il 22.2.03, all’espropriazione immobiliare in loro danno intentata presso il tribunale di Lagonegro dalla Banca Commerciale Italiana spa e fondata su contratto di mutuo con garanzia ipotecaria del 24.11.86 e successivo precetto del 28.7.94, deducendo, per quel che ancora qui interessa, tra l’altro che l’importo richiesto dalla creditrice era derivato dall’applicazione di interessi usurari.

1.2. Fu ribattuto da Intesa BCI Gestione Crediti spa, nella dedotta qualità di succeditrice della creditrice, che le somme dovute erano state calcolate tenendo conto dei cc.dd. tassi soglia ai sensi della L. n. 108 del 1996: sicchè, all’esito dell’istruzione, l’adito tribunale ha rigettato l’opposizione, ad ogni buon conto determinando l’entità del debito degli opponenti in Euro 61.773,36, oltre interessi al tasso contrattuale del 13,75% o, se inferiore, a quello soglia, dal 1.4.07 al soddisfo, con loro condanna alle spese del giudizio.

1.3. Per la cassazione di tale sentenza, pronunziata il 16.1.08 con il n. 18 e notificata il 22.5.08, ricorrono, affidandosi a sette motivi illustrati pure da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., i Co. – C.; e, resistendo con controricorso la Italfondiarxo spa nella qualità di mandataria tanto di Intesa SanPaolo spa (quale succeditrice di Intesa BCI spa) che di Castello Finance srl (quale cessionaria del credito azionato), solo il difensore di quest’ultima prende parte alla discussione orale alla successiva pubblica udienza del 3.5.12.

Motivi della decisione

2. Va in via preliminare ricordato che alla fattispecie si applica l’art. 366 bis cod. proc. civ. ; al riguardo:

2.1. tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, e resta applicabile – in virtù dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma 5, di quest’ultima (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione, tra le altre, da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);

2.2. i criteri elaborati per la valutazione della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formale abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v.

espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194);

2.3. quanto ai quesiti previsti dal comma 1 di tale norma, in linea generale:

– essi non devono risolversi nè in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420), nè in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008, n. 11210);

– in altri termini (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704), essi devono compendiare (e tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339): a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola dì diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;

2.4. quanto poi al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che; per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002; da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).

3. Tutto ciò posto, degli otto motivi di doglianza effettivamente dispiegati dai ricorrenti vanno preliminarmente considerati quelli – primo, secondo, terzo, quarto, parte del quinto ed ottavo – che riguardano la clausola contrattuale di variazione unilaterale del tasso per i periodi successivi a quello iniziale, essendo comunque prevista almeno la misura iniziale in ragione del 13,75%; al riguardo:

3.1. i ricorrenti:

3.1.1. con il primo di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio" (pagine da 3 a 20 del ricorso) – si dolgono dell’omessa valutazione della facoltà di modifica unilaterale del tasso, riconosciuta alla banca mutuante, ma in misura non predeterminata nè predeterminabile;

3.1.2. con il secondo di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso decisivo per il giudizio" (pagine da 20 a 26 del ricorso) – deducono l’erroneità del computo del tasso nella misura iniziale (del 13,75%), senza tener conto della variabilità successiva;

3.1.3. con il terzo di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 comma 3A c.c." (pagine da 26 a 32 del ricorso) – concludono con il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se, ai sensi dell’art. 1284, comma 3, in un contratto di mutuo ove, per convenzione scritta, l’interesse ultralegale venga determinato per una parte della durata del rapporto e per l’altra per relationena ad elementi estrinseci al documento negoziale, l’indicazione del tasso d’interesse in cifra esatta debba essere considerata la sola applicabile al rapporto";

3.1.4. con il quarto di essi – rubricato "art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1363 c.c." (pagine da 33 a 35 del ricorso) – concludono con il seguente quesito di diritto:

"dica la Corte se, ai sensi dell’art. 1363 c.c., in un contratto di mutuo in cui la misura degli interessi venga regolata da una clausola articolata testualmente in due frammenti, in uno dei quali si esprime la determinazione del tasso d’interessi ultralegale in cifra esatta, in un altro la determinazione del tasso d’interessi per relationem ad elementi estrinseci al documento negoziale, la volontà delle parti in ordine alla determinazione del tasso d’interesse regolatore del rapporto possa essere ricostruita riducendo il significato di uno dei frammenti a quello primariamente attribuito all’altro, in modo da espungere una delle due modalità di determinazione del tasso d’interesse dal significato della clausola";

3.1.5. con il quinto di essi – indicato come ulteriore "4" e rubricato l’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente motivazione su un fatto decisivo per la controversia" (pagine da 35 a 39 del ricorso) – lamentano la mancata considerazione dell’applicazione di un tasso di interessi in misura superiore al 13,75%, accertato quale tasso di interesse convenzionale, poi dolendosi, ma solo nel corpo del motivo, anche dell’omessa considerazione dei pagamenti intercorsi;

3.1.6. con l’ottavo di essi – indicato come "7" e rubricato "violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 c.c., comma 3 e art. 1419 c.c." (pagine da 49 a 50) – concludono con il seguente quesito di diritto: "è nulla la clausola di un contratto di mutuo stipulato antecedentemente alla L. n. 108 del 1996 ed al Testo Unico Bancario qualora si stabilisce un tasso di interesse numericamente determinato solo per il primo o per alcuni anni della durata del contratto e per gli altri anni successivi la determinazione viene affidata soltanto all’istituto di credito con riferimento alle variazioni che possono verificarsi nel mercato monetario e creditizio per violazione dell’art. 1284 c.c., comma 3, e art. 1346 c.c.";

3.2. la controricorrente deduce la novità della doglianza di nullità del contratto per indeterminatezza degli interessi fin dal primo grado, perchè dedotta per la prima volta nella comparsa conclusionale dep. il 16.8.07;

3.3. sul punto, il tribunale, nella qui impugnata sentenza:

3.3.1. prende in considerazione la doglianza di indeterminatezza del tasso dì interesse, rilevando che "detto tasso d’interesse viene determinato nel contratto sottoscritto dalle parti nella misura del 13,75%" (pag. 6, terz’ultimo capoverso) ed evidentemente non prendendo in alcuna considerazione lo ius variandi contrattualmente previsto, secondo quanto dedotto dagli odierni ricorrenti;

3.3.2. di tale ius variandi non tiene però alcun conto nello sviluppo della decisione, rendendolo di fatto assolutamente irrilevante ai fini di quest’ultima;

3.3.3. esso infatti ricostruisce il dovuto con un primo addendo corrispondente – pag. 8, secondo periodo, sub 1) – alle rate scadute ed impagate sulla base del piano di ammortamento originario, calcolato al medesimo tasso contrattuale del 13,75%, poi applicando gli interessi di mora al medesimo tasso convenzionale, ma ridotto entro i limiti del tasso soglia – pag. 8, secondo periodo, sub 2) – ed infine il capitale residuo pure in ragione del medesimo piano originario – sub 3) – con i relativi interessi di mora su questo solo ultimo e pur sempre in ragione dell’identico tasso originario;

3.3.4. corregge poi le risultanze della c.t.u. applicando i tassi definiti come "non contestati" e pari a quello ancora una volta a quello iniziale ed espressamente individuato del 13,75% fino al primo trimestre 1997 ed ai tassi soglia via via succedutisi;

3.3.5. di conseguenza, decide la controversia applicando esclusivamente l’unico tasso incontestatamente in origine pattuito nel suo esatto e specifico ammontare, pari al più volte ricordato saggio del 13,75%;

3.4. alla stregua di tale ricostruzione, a prescindere da pure evidenti vizi nella formulazione dei quesitì o dei momenti di sintesi, i motivi relativi alla mancata considerazione dello ius variandi del tasso – cioè il primo, il secondo, il terzo, il quarto, gran parte del quinto e l’ottavo – non sono pertinenti alla ratio deciderteli concretamente applicata, visto che il giudice del merito fonda ogni sua decisione sull’operatività esclusivamente del tasso originariamente pattuito, senza alcuna sua variazione successiva; e, del resto, a ben guardare in nessun passaggio specifico gli odierni ricorrenti sostengono che la previsione dello ius variandi possa comportare la nullità dell’intera pattuizione sui tassi e quindi anche nella parte in cui questa ha riferimento al ben preciso valore numerico del 13,75%.

4. Il secondo profilo del quinto motivo, relativo alla mancata considerazione dei pagamenti intercorsi, è inammissibile, perchè, pur introducendo un ulteriore profilo di vizio motivazionale, non è assistito da autonomo momento di sintesi coi rigorosi requisiti ricostruiti sopra al punto 2.4.

5. Quanto al sesto motivo:

5.1. esso è indicato come "5" e rubricato: "art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, artt. 1 e 2, in relazione all’art. 1339 c.c.";

5.2. esso, contenuto nelle pagine da 39 a 47 del ricorso, è concluso con il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se la clausola contenuta in un contratto di mutuo bancario, stipulato anteriormente all’entrata in vigore della disciplina sull’usura (L. n. n. 108 del 1996) e con la quale sono stati pattuiti interessi in misura superiore ai limiti successivamente introdotti dai DD.MM. ex lege 108/96, deve essere sostituita ex lege, quanto alla misura degli interessi convenuti, con i tassi soglia previsti dai suddetti DD.MM.";

5.3. ad esso ribatte la controricorrente, la quale aderisce alla ricostruzione della gravata sentenza in ordine all’applicazione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, art. 1 (conv. con mod. in L. 28 febbraio 2001, n. 24), in conformità sia alla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 25 febbraio 2002, n. 29) che di legittimità (Cass. 25 marzo 2003, n. 4380), trattandosi di contratto di mutuo anteriore all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 e non potendosi qualificare il tasso come usurario alla stregua della normativa previgente;

5.4. è però inammissibile, perchè il quesito è formulato senza quegli elementi di specificità indispensabili per la sua pertinenza alla fattispecie (sull’indispensabilità della quale, per tutte, v.:

Cass. Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 4 gennaio 2011, n. 80; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901): infatti, effettivamente il giudice del merito ha proprio applicato il minore tra il tasso contrattualmente in origine pattuito e quello soglia, così operando secondo quanto gli stessi ricorrenti hanno ritenuto giusto e doveroso fare; la peculiarità sta in ciò, che l’applicazione del tasso soglia come parametro comparativo ha avuto luogo a far tempo dal 1.1.97, ma nel quesito i ricorrenti, appunto non specificando, non possono dirsi avere chiaramente sostenuto la tesi dell’applicabilità retroattiva (del resto, di impossibile configurabilità, non potendo trovare applicazione ciò che è ancora estraneo al mondo del diritto, in difetto di una specifica norma che a tanto autorizzi).

6. Quanto al settimo motivo:

6.1. esso è indicato come "6" e rubricato "art. 360, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c.", poi concluso con il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se, in caso di risoluzione di un contratto di mutuo per il quale sia previsto un piano di restituzione differita nel tempo, operata con atto di precetto con cui viene intimata la restituzione delle rate scadute nonchè del capitale residuo, sia legittimo, in difetto di previsione contrattuale, applicare gli interessi di mora sulla somma complessiva del capitale residuo e delle rate scadute comprensive di quota interessi";

6.2. ad esso la controricorrente ribatte ripercorrendo e condividendo i calcoli operati nella gravata sentenza, pure rilevando che il tribunale ha calcolato l’importo residuo dovuto in riferimento ai tassi soglia di cui alla normativa antiusura;

6.3. in disparte i profili di erronea formulazione del quesito (questo, da un lato, non facendosi carico di considerare che l’impugnata sentenza non ha mai applicato il tasso eventualmente variato e, dall’altro, mancando della sommaria indicazione della fattispecie concreta e della regola applicata dal giudice del merito), non danno i ricorrenti la prova della disciplina applicabile al rapporto in essere, omettendo – in violazione del principio di autosufficienza del ricorso – la trascrizione del contratto: in tal modo essi non consentono a questa Corte di verificare se al medesimo rapporto, garantito da ipoteca e sorto nel 1986, si applichi la disciplina del credito fondiario (in virtù della quale sugli importi corrispondenti alla quota interessi delle rate scadute si producono ulteriori interessi: per tutte, v. Cass. 3 maggio 2011, n. 9695 e, prima, Cass. Sez. Un., 19 maggio 2008, n. 12639), oppure quella sui mutui non fondiari (fin da Cass. 20 febbraio 2003, n. 2593, essendosi statuito che anche in tema di mutuo bancario non fondiario, con riferimento al calcolo degli interessi, vanno senz’altro applicate le limitazioni previste dall’art. 1283 cod. civ.).

7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile ed i ricorrenti, soccombenti su questioni non relative alla tecnica di formulazione dei quesiti del ricorso, vanno tra loro in solido, per l’identità della posizione processuale, condannati alle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna Co.

V. e C.M., tra loro in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di Italfondiario spa, quale mandataria di Intesa Sanpaolo spa e di Castello Finance srl, in pers. del leg. rappr.nte p.t., liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre maggiorazione per spese generali, CPA ed IVA nella misura di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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