Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9452

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. Capitalia spa pignorò, dinanzi al tribunale di Velletri, i crediti del suo debitore C.M. verso Biosint spa, ma a tale espropriazione presso terzi si oppose – con ricorso dep. il 31.10.03 – l’esecutato, lamentando: la carenza di legittimazione attiva di Capitalia (per essere stato emesso il titolo in favore di Banca di Roma spa), il difetto di procura del legale costituito (in quanto incaricato da altro istituto bancario), l’illegittimità del credito vantato dalla creditrice per omessa considerazione dell’ammissione al passivo di altra società fallita e per il carattere anatocistico ed usurario degli interessi computati, nonchè, infine, l’impignorabilità dello stipendio in quanto già destinato in misura superiore al 50% al pagamento dell’assegno di mantenimento a moglie e figli.

1.2. Il giudice adito ha respinto tale opposizione, rilevando l’identità soggettiva tra Banca di Roma e Capitalia spa, la carenza di prova del soddisfacimento del credito azionato, l’intangibilità del giudicato recato dal decreto ingiuntivo azionato anche in punto di interessi, la carenza di prova della consistenza dello stipendio dell’opponente e l’operatività del divieto del cumulo soltanto fra più pignoramenti.

1.3. Avverso tale sentenza, n. 1936 del 25.9.07, notif. il 7.5.08, propone ora ricorso per cassazione, illustrato pure da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., il C., cui resiste con controricorso la Unicredito Italiano spa, il cui difensore compare alla successiva pubblica udienza del 3.5.12 per la discussione orale.

Motivi della decisione

2. Il ricorrente formula cinque motivi:

2.1. il primo dei quali rubrica: "insufficiente motivazione sulla legittimazione ad agire di Capitalia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5"; e conclude sostenendo che "risulta chiaro come la risoluzione adottata nella sentenza oggetto di impugnazione basata sul semplice mutamento di nome non riesca a fornire una spiegazione sufficiente al permanere della società Banca di Roma spa e quindi a chiarire chi sia il soggetto legittimato ad agire per il recupero del credito";

2.2. il secondo dei quali rubrica: "insufficiente motivazione sull’illegittimità del credito in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5"; e conclude sostenendo che "risulta quindi chiaro come il giudicante non abbia adeguatamente valutato gli elementi di prova offerti che, a seguito di un più approfondito esame anche in correlazione con la mancata produzione da parte dell’odierna resistente di prova contraria sul punto, avrebbero dovuto condurre ad un pronunciamento di segno opposto rispetto a quello fornito";

2.3. il terzo dei quali rubrica: "violazione della L. n. 108 del 1996, art. 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3"; e correda di un primo quesito del seguente tenore: "a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 la richiesta di interessi ad un tasso divenuto usurario, liquidati in un decreto ingiuntivo passato in giudicato antecedentemente all’entrata in vigore di tale norma, è illegittima e può essere eccepita in sede di opposizione all’esecuzione con la conseguenza che nessun interesse è dovuto ai sensi dell’art. 4 della citata legge"; per poi sostenere l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale e formulare un ulteriore quesito del seguente letterale tenore: "a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 2374/99, n. 3096/99 e n. 12507/99 che hanno sancito l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, gli interessi anatocistici liquidati in un decreto ingiuntivo passato in giudicato antecedentemente a tali sentenze sono illegittimi e tale circostanza può essere eccepita in sede di opposizione all’esecuzione con la conseguenza che la somma precettata deve essere ridotta per un importo pari all’effetto della capitalizzazione";

2.4. il quarto dei quali rubrica: "omessa motivazione circa la prova del reddito percepito dal sig. C. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5"; e conclude sostenendo che "è palese pertanto come erroneamente il giudicante abbia omesso di valutare la prova fornita dal Sig. C. del reddito percepito tramite produzione di copia del decreto di omologa della separazione nel quale era indicata palesemente la propria retribuzione annua";

2.5. il quinto dei quali rubrica: "falsa applicazione dell’art. 545 c.p.c., comma 5, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3"; e conclude formulando il seguente quesito di diritto: "ai sensi dell’art. 545 c.p.c., comma 5, al fine di calcolare la quota massima pignorabile dello stipendio devono essere computate per il simultaneo concorso delle cause di cui ai commi precedenti anche quei vincoli aventi data certa anteriore al pignoramento che gravano sulla retribuzione".

3. Dal canto suo, la controricorrente Unicredito Italiano spa eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per essere la sentenza impugnata già stata gravata di appello e poi contesta nel merito la fondatezza dei motivi di doglianza.

4. Va preliminarmente considerato:

4.1. che non sussiste la denunziata inammissibilità, in quanto: da un lato, il previo dispiegamento di un appello in materia sottratta, in forza del tenore dell’art. 616 cod. proc. civ., vigente prò tempore, all’ordinaria appellabilità, non elide in astratto la correttezza del dispiegamento del solo mezzo di impugnazione previsto e cioè del ricorso per cassazione; dall’altro lato, anche a voler considerare iniziata la decorrenza del relativo termine dalla notifica del precedente atto di appello, i sessanta giorni non erano ancora decorsi al momento della spedizione per la notifica del ricorso stesso.

4.2. che alla fattispecie si applica l’art. 366-bis cod. proc. civ.:

4.2.1. tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e resta applicabile – in virtù dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto -ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma 5, di quest’ultima (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione, tra le altre, da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);

4.2.2. i criteri elaborati per la valutazìone della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formale abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v.

espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194);

4.2.3. quanto ai quesiti previsti dal comma 1 di tale norma, in linea generale:

– essi non devono risolversi nè in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420), nè in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008, n. 11210);

– in altri termini (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704), essi devono compendiare (e tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339): a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della, regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;

4.2.4. quanto poi al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che, per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002; da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).

5. In applicazione dei criteri di cui al punto 4.2. ai quesiti formulati nella fattispecie:

5.1. i motivi qualificati come incentrati su di un vizio motivazionale e cioè il primo, il secondo ed il quarto, non sono conclusi dai rispettivi momenti di sintesi muniti dei rigorosi requisiti di cui sopra al punto 4.2.4;

5.2. i quesiti a conclusione degli altri motivi sono formulati in termini talmente generici da risultare inidonei a definire la fattispecie perfino in caso di risposta positiva; e mancano della sommaria indicazione della fattispecie concreta, della regola applicata dal giudice del merito e soprattutto di una chiara regula iuris suscettibile di applicazione ad una potenziale serie di successive controversie analoghe.

6. Tanto consente di omettere di rilevare che il ricorso è fortemente carente sotto il profilo della sua invece indispensabile autosufficienza: non facendosi carico dell’integrale riproduzione degli atti impugnati in relazione a ciascuna delle doglianze, se non pure – tranne che in due casi – della precisa indicazione della sede processuale in cui esse sono state sviluppate; mentre, quanto alla lamentata invalidità delle ricostruzioni in fatto, esso pretende da questa corte un’inammissibile nuova lettura delle risultanze probatorie, oltretutto senza neppure analiticamente trascrivere le risultanze di quelle che assume malamente considerate.

7. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile; ma il fatto che non si fosse consolidata, al momento della formulazione del ricorso, la rigorosa giurisprudenza di questa corte sugli specifici requisiti di forma e di sostanza dei quesiti qui risultati inidonei rende di giustizia, ad avviso del collegio, l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *