Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9448

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. P.A. risultò vittoriosa, con sentenza 8.9.04 del tribunale di Trani, in un’azione di rivendicazione della quota del 50% di un appartamento in (OMISSIS), oggetto di un decreto di trasferimento in favore dei coniugi T.A. e C.R.R., reso il 4.6.93 dal giudice dell’esecuzione in procedura esecutiva promossa da tale srl Virgo contro M.A., marito di essa attrice.

1.2. La stessa P. risultò vittoriosa, con successiva sentenza 29.10.04 del medesimo giudice, in un’opposizione di terzo avverso la medesima procedura esecutiva, intentata nei confronti degli aggiudicatari, dell’esecutato e di tutti i creditori, procedente ed intervenuti ( M.A., Virgo srl, B. G., C.F., Curatela Fall. M.E., D.D., D.M., D.M., Esattoria Imposte Dirette, G.A., G.M., INPS, S.N.).

1.3. I soccombenti T. – C. impugnarono entrambe le sentenze con unitario atto di appello, cui seguì appello incidentale di P.A., D.D. e D.M..

1.4. La corte di appello di Bari, con sentenza 3.5.07 n. 468, dichiarò inammissibili l’appello principale e, poichè tardivi, quelli incidentali e condannò gli appellanti principali alle spese in favore di quelli incidentali.

1.5. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono, affidandosi a quattro motivi, i coniugi T. – C.; e, resistendo la sola P. con controricorso, illustrato da memoria, alla pubblica udienza del 3.5.12, le parti partecipano alla discussione orale.

Motivi della decisione

2. I ricorrenti formulano quattro motivi:

2.1. il primo dei quali – rubricato "incongrua ed insufficiente motivazione in punto di declaratoria di inammissibilità dell’appello (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 323 e 342 c.p.c.)" – concludono con tale quesito: … se, in mancanza di alcuna specifica contraria previsione normativa, in deroga al dato estrinseco della autonomia dei procedimenti sia dato impugnare con un unico atto distinte decisioni, ognuna delle quali riguardante -seppur sotto diverso profilo – la attribuzione del medesimo bene della vita perseguito dalle parti;

2.2. il secondo dei quali – rubricato "omessa pronuncia sull’istanza di riunione dei giudizi quale implicito motivo di censura delle sentenze gravate. Error in procedendo. Violazione di norma (art. 360, comma 1, n. 3, in relazione all’art. 274 c.p.c.)" – concludono con il seguente quesito: … se il giudice d’appello sia tenuto a rilevare la mancata osservanza, da parte dei giudici a quo, del procedimento ex art. 274 c.p.c., comma 2, trattandosi di vizio esulante dalle questioni di merito (a valutarsi successivamente) e dalla identicità delle parti coinvolte; per quindi all’uopo surrogarsi ad essi prima di ogni altro provvedimento (ipotesi di dichiarata inammissibilità dell’appello proposto con unico atto verso più sentenze relative a giudizi connessi);

2.3. il terzo dei quali rubricano: "eccezione di giudicato – nullità della sentenza Trib. Trani n. 51/05 – inammissibilità dell’appello relativo (art. 360, comma 1, n. 4 in relazione all’art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c.)"; e concludono con il seguente quesito: … se la prova del giudicato interno formatosi su sentenza correlata, per comunanza di questioni e di parti, ad altra oggetto di appello, comportandone l’inammissibilità dell’impugnazione, possa essere per la prima volta prodotta in sede di legittimità;

2.4. il quarto dei quali rubricano: "violazione del principio di soccombenza, limitatamente al regolamento delle spese nei confronti dei litisconsorti necessari costituiti (art. 360, comma 1 in relazione all’art. 91 c.p.c.)"; e concludono con il seguente quesito:

… se la soccombenza ai fini della regolamentazione delle spese, di cui alla norma richiamata, possa configurarsi sulla base della formale posizione processuale delle parti o non invece all’esito del contenzioso relativo ad istanze contrapposte.

3. Va preliminarmente considerato che alla fattispecie si applica l’art. 366 bis cod. proc. civ.:

3.1. tale norma è stata introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e resta applicabile – in virtù dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto -ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione – a far tempo dal 4 luglio 2009 – ad opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58, comma 5, di quest’ultima (con ultra-attività ritenuta conforme a Costituzione, tra le altre, da Cass., ord. 14 novembre 2011, n. 23800);

3.2. i criteri elaborati per la valutazione della rilevanza dei quesiti vanno applicati anche dopo la formale abrogazione, nonostante i motivi che l’avrebbero determinata, attesa l’univoca volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma (per tutte, v.

espressamente Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194);

3.3. quanto ai quesiti previsti dal comma 1 di tale norma, in linea generale:

– essi non devono risolversi nè in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420), nè in un’enunciazione tautologica, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia (Cass. Sez. Un., 8 maggio 2008,, n. 11210);

– in altri termini (tra le molte e per limitarsi alle più recenti, v. : Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704), essi devono compendiare (e tanto che la carenza di uno solo di tali elementi comporta l’inammissibilità del ricorso: Cass. 30 settembre 2008, n. 24339): a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie;

3.4. quanto poi al capoverso dell’art. 366-bis cod. proc. civ., va rilevato che per le doglianze di vizio di motivazione, occorre la formulazione – con articolazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico passaggio espositivo del ricorso – di un momento di sintesi o di riepilogo (come puntualizza già Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002, con indirizzo ormai consolidato, a partire da Cass. Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603: v., tra le ultime, Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680) il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo, chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure – se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002; da ultimo, v. Cass., ord. n. 27680 del 2009); tale requisito non può ritenersi rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprendere il contenuto ed il significato delle censure (Cass., ord. 18 luglio 2007, n. 16002).

4. In applicazione di tali criteri alla fattispecie:

4.1. il primo motivo, espressamente qualificato come basato su vizio motivazionale, non è concluso dal momento di sintesi coi requisiti riassunti sopra al punto 3.4;

4.2. i quesiti a conclusione degli altri motivi sono formulati in termini talmente generici da risultare inidonei a definire la fattispecie perfino in caso di risposta positiva, mancano della sommaria indicazione della fattispecie concreta, della regola applicata dal giudice del merito e soprattutto di una chiara regula iuris suscettibile di applicazione ad una potenziale serie di successive controversie analoghe.

5. Il ricorso è pertanto inammissibile; ma il fatto che non si fosse consolidata, al momento della formulazione del ricorso, la rigorosa giurisprudenza di questa corte sugli specifici requisiti di forma e di sostanza dei quesiti qui risultati inidonei rende di giustizia, ad avviso del collegio, l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *