Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9443

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. F.M. ha proposto ricorso per cassazione contro il Comune di Roma avverso la sentenza n. 25375 del 9 dicembre 2009, con la quale il Tribunale di Roma ha rigettato, con gravame delle spese del grado, l’appello da lui proposto avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 42147 del 9 ottobre 2006.

p. 2. Al ricorso, che propone due motivi, il Comune intimato non ha resistito.

Motivi della decisione

p. 1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia "violazione di norma di diritto e contraddittoria motivazione (ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5) circa il giudicato formatosi con la rinuncia agli atti dell’appello".

Con il secondo motivo si denuncia "violazione di norma di diritto e contraddittoria motivazione, (ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) circa la carenza di legittimazione passiva del Comune".

p. 2. Il Collegio ritiene che la struttura del ricorso non consenta lo scrutinio dei due motivi, in quanto è caratterizzata dall’inosservanza per un verso del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, per altro verso – ma gradatamente – di quello di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

p. 2.1. Sotto il primo aspetto si rileva che il ricorso dopo avere individuato nella prima pagina le parti e la sentenza impugnata, a metà di essa indica una rubrica del seguente tenore: "esposizione dei fatti rilevanti di causa e delle ragioni giuridiche della decisione".

Di seguito ad essa il ricorso contiene, fino a due terzi della pagina sedici, una lunga esposizione, che soltanto quando il lettore del ricorso, dopo avere letto il ricorso stesso nella sua interezza, passa alla lettura della sentenza impugnata, si rivela essere proprio l’integrale riproduzione di essa con la sola esclusione del dispositivo, tanto che la stessa rubrica sopra ricordata risulta essere anch’essa una riproduzione di quella che nelle ultime due righe della sua prima pagina la sentenza impugnata premette alla sua esposizione, che si sviluppa per ventinove pagine, le quali, evidentemente, nel ricorso sono state riprodotte con un carattere più piccolo.

p. 2.2. Ora, una simile struttura del ricorso si presenta assolutamente inidonea ad assolvere il requisito della esposizione sommaria dei fatti della controversia richiesta dall’art. 366, n. 3.

Il Collegio condivide il principio di diritto secondo cui al requisito di cui a tale norma può assolversi riproducendo l’esposizione del fatto della sentenza impugnata e, se del caso, l’intera sentenza in cui essa sia presente, ma ciò a condizione che l’una o l’altra siano idonee ad una chiara individuazione del fatto sostanziale e processuale. In particolare, merita approvazione l’affermazione che "il disposto dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, può ritenersi osservato quando nel ricorso stesso sia stata trascritta la sentenza impugnata, purchè se ne possa ricavare la cognizione dell’origine e dell’ oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle altre parti, senza necessità di ricorrere ad altre fonti" (Cass. n. 11338 del 2004).

Ebbene, nella specie, la lettura della sentenza riprodotta nel ricorso non contiene una parte specificamente idonea a soddisfare il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, in modo chiaro ed inoltre, nemmeno la sua integrale lettura e la combinazione di varie sue parti si rivelano idonee all’uopo.

Va ricordato che ai fini dell’osservanza del requisito di cui all’art. 366, n. 3, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ritiene quanto segue: "per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa" (ex multis, Cass. n. 7825 del 2006).

Nello stesso ordine di idee si è, inoltre, sempre ribadendo lo stesso concetto, precisato che "il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 3, postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata". E, in applicazione di tale principio si è dichiarato inammissibile il ricorso in cui risultavano omesse: la descrizione dei fatti che avevano ingenerato la controversia, la posizione delle parti e le difese spiegate in giudizio dalle stesse, le statuizioni adottate dal primo giudice e le ragioni a esse sottese, avendo, per tali fondamentali notizie, il ricorrente fatto rimando alla citazione in appello), (Cass. n. 4403 del 2006).

Va, altresì, considerato che costituisce principio altrettanto consolidato che, ai fini della detta sanzione di inammissibilità, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (ex multis: Cass. n, 1959 del 2004).

p. 2.3. Nel caso di specie la lettura della riproduzione della sentenza impugnata consente solo di individuare, attraverso un riferimento "all’atto introduttivo del giudizio promosso davanti al GDP di Roma" ed a ciò che si enuncia nella pagina uno e nella prima parte della pagina due, che il F. ebbe a proporre una domanda di pagamento della soma di Euro 1.645,51 ai sensi dell’art. 2041 c.c. per il deposito presso la propria sede di un’autovettura prelevata per la rimozione dalla sede stradale ad iniziativa della polizia municipale capitolina. Successivamente, però, nella lunga riproduzione non si da atto dello svolgimento del giudizio di primo grado e del suo esito o almeno non vi si fa riferimento in modo da consentirne una chiara ed immediata percezione in funzione dello scrutinio del ricorso. Si evoca anzi un altro precedente giudizio facendo riferimento al suo grado appello, anche qui senza individuarne le modalità della genesi. Non si fa una enunciazione della motivazione della sentenza di primo grado e nemmeno un riferimento chiaro alle ragioni dell’appello o almeno a ragioni che siano in relazione con i due motivi di ricorso articolati.

In tal modo è impossibile percepire il fatto sostanziale e processuale in modo chiaro, essendo l’argomentare della sentenza riprodotta svolto in modo da supporre la conoscenza di tutta una serie di elementi dello svolgimento del contraddittorio, evidentemente supposta per adempiere al dovere motivazionale.

Sicchè nella specie, dato che nel ricorso si è riprodotta la sentenza impugnata per intero, si è in presenza di un caso nel quale la stessa sua lettura non consente una chiara comprensione del fatto ai fini dello scrutinio dei due motivi. Sarebbe stato onere del ricorrente farsi carico della insufficienza dell’esposizione del fatto nella sentenza impugnata e provvedere, in ottemperanza al n. 3 dell’art. 366 c.p.c. ad eliminarla, i modo da rendere possibile lo scrutinio del ricorso.

E’ da notare che il principio di diritto sopra ricordato, di cui a Cass. n. 11338 del 2004 non è stato affatto contraddetto da alcune decisioni della sezione Tributaria di questa Corte, le quali, nel ritenere sufficiente la riproduzione della sentenza impugnata, pur sempre hanno sottolineato l’esigenza – ancorchè dalle massime ufficiali non traspaia – che la sentenza riprodotta sia esaustiva nel riferire il fatto sostanziale e processale: si veda da ultimo Cass. n. 5836 del 2011, che, riecheggiando altra decisione della stessa sezione, così si esprime: "Consegue che va condivisa la deduzione svolta nella sent. di questa sezione 2003/14001 cit., secondo cui inevitabile appare l’equivalenza fra la trascrizione della (parte espositiva della) sentenza impugnata e la spillatura del provvedimento stesso (a maggior ragione se in fotocopia integrale), trattandosi, in tutta evidenza, di un divario che attiene unicamente al segno grafico utilizzato – solo più elegantemente sostituibile con un sistema di riproduzione computerizzata. Onde, mentre non è dato ipotizzare (..) la necessità di leggere la sentenza, quale atto separato dal ricorso, del cui tessuto è ormai entrata a far parte, si tratterà unicamente, ai fini della ammissibilità, di verificare se la esposizione dei fatti di causa, nel documento così riprodotto, sia idonea ad assolvere, in rapporto alle censure formulate, alla funzione di adeguata conoscibilità dei fatti".

Come si vede, quindi, si sottolinea che la sentenza riprodotta deve garantire un’adeguata conoscibilità dei fatti.

3. Il ricorso, comunque, è inammissibile anche ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto i suoi motivi, pur coordinati con quanto risulta dalla sentenza impugnata in esso riprodotta (e sempre ferma la rilevanza assorbente della deficienza dell’esposizione del fatto), si fondano su una serie di atti e documenti dei quali non si fornisce l’indicazione specifica nei termini ritenuti necessari da consolidata giurisprudenza di questa Corte (ex multis:i Cass. (ord.) n. 22303 del 2008; Cass. sez. un. nn. 28547 del 208 e n. 7161 del 2010).

In proposito, si osserva che la struttura dei due motivi è singolare.

Entrambi si fondano, infatti, sulle affermazioni di altra sentenza emessa dal Tribunale di Roma, della quale vengono riportati, con una serie di "omissis" dei brani, i quali, però, fanno riferimento ad una serie di atti e risultanze processuali di quel giudizio (particolarmente evocanti altro giudizio), riguardo ai quali risulta carente l’indicazione specifica.

p. 4. Va, poi, considerato ulteriormente che l’esposizione dei due motivi è inidonea ad assolvere alla funzione propria del motivo di cassazione, là dove, contrariamente alla logica che deve presiedere all’enunciazione di un motivo di impugnazione, non identifica in alcun modo la parte della motivazione della sentenza impugnata che sarebbe incorsa nel vizio denunciato. Infatti, non si individuano nè le specifiche argomentazioni con cui la sentenza impugnata avrebbe commesso gli errori di diritto lamentati nè quelle concernenti la ricostruzione della quaestio facti in termini tali da aver determinato il vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (si vedano rispettivamente, ex multis, in proposito Cass. n. 5353 del 2007 e n. 828 del 2006).

p. 5. Conclusivamente, il ricorso è dichiarato inammissibile.

Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

p. 6. Va rilevato che il ricorso risulterebbe notificato in modo irrituale, cioè non al difensore del Comune nel giudizio di appello, bensì, senza alcuna spiegazione, presso al Comune presso un organo denominato commissario straordinario. L’esistenza delle plurime cause di inammissibilità ha indotto il Collegio a non dar corso ad un ordine di rinnovo della notificazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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